Da Dagospia (18-1-2006). 300 milioni !! “L’ESPRESSO” SCOPERCHIA LA CONTABILITÀ RISERVATA DI CONSORTE E SACCHETTI

in Rassegna Stampa
Peter Gomez e Vittorio Malagutti per L’Espresso, in edicola venerdì 3OO MILIONI!!! “L’ESPRESSO” SCOPERCHIA LA CONTABILITÀ RISERVATA DI CONSORTE E SACCHETTI QUESTA VOLTA NON C’È TRACCIA DI PARADISI OFF SHORE. TUTTO A LODI DA FIORANI CON TELECOM FRANA NELLE LORO TASCHE UNA MONTAGNA DI SOLDI: DOVE FINISCONO? Narrano le cronache di questi giorni, che Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti si erano fatti i conti off shore. E i loro soldi viaggiavano come trottole tra banche di Montecarlo e finanziarie in Lussemburgo. Ma i documenti all’esame dei magistrati milanesi che indagano sugli affari sporchi dei furbetti raccontano anche altre storie. Compresa quella di due conti correnti (il numero 1039/38 per Consorte e il 1038/37 per Sacchetti) dove sono passati nell’arco di soli 15 mesi circa 300 milioni di euro spartiti quasi in parti uguali tra gli ex manager di vertice dell’Unipol. Nessun indirizzo esotico, quindi. Questa volta non c’è traccia di paradisi off shore baciati dal sole dei Caraibi. Tutto in casa. Tutto in Padania. Perché quella montagna di soldi trovò un approdo sicuro alla Popolare di Lodi, nella banca dell’amico e sodale Gianpiero Fiorani. Tutto comincia nell’autunno del 2001. Per la precisione il 15 di novembre, quando nella filiale di via San Bassiano, agenzia numero 5, nel centro della cittadina lombarda, vengono accesi i due depositi ora al centro delle indagini. Inizia allora, come confermano le carte consultate da "L’espresso", un tourbillon di operazioni finanziarie che muove milioni e milioni di euro. Compravendite a raffica, a volte per decine di milioni al mese, cui seguono periodi di stasi. Il sipario cala nella primavera del 2003. I due conti gemelli chiudono insieme i battenti. Per Consorte e Sacchetti il saldo finale si aggira intorno ai 5 milioni di euro ciascuno. Una somma che tra marzo e aprile di quell’anno prende il volo da Lodi per destinazione ignota. Come si spiega una simile girandola d’affari? E, soprattutto, da dove arrivavano tutti quei soldi prontamente investiti in azioni dai due manager? Sono questi gli interrogativi chiave su cui da settimane si esercitano gli investigatori. Per azzardare delle risposte, però, conviene fare un passo indietro per tornare ai giorni cruciali dell’autunno del 2001 in cui vengono aperti quei due conti alla Lodi. Non è una data qualsiasi, quella. Sul palcoscenico della grande finanza era appena andato in scena l’ultimo atto della rocambolesca avventura della cosiddetta razza padana. Marco Tronchetti Provera, alleato dei Benetton, si era comprato Telecom Italia messa in vendita dalla cordata guidata da Chicco Gnutti e Roberto Colaninno, a cui partecipava con un ruolo importante anche l’Unipol. La trattativa si complicò strada facendo e dopo un primo accordo chiuso ai primi di agosto, si tornò ai tavoli della trattativa una quarantina di giorni dopo, quando l’acquirente chiese uno sconto che tenesse conto del crollo dei mercati finanziari (compresi i titoli telefonici) seguiti all’11 settembre. Consorte ebbe un ruolo decisivo nel secondo round di negoziati ed è per questo, secondo la sua tesi, che Gnutti gli avrebbe riconosciuto un premio di circa 50 milioni da spartire con il collega Sacchetti. Quei soldi, secondo la ricostruzione fornita dai loro avvocati, si troverebbero ancora nella disponibilità dei due manager. In altre parole, sarebbero rimasti parcheggiati, probabilmente su conti fiduciari in Italia o all’estero, per oltre quattro anni. I magistrati attendono ancora le conferme documentali a queste affermazioni. Di certo, però, si può concludere fin d’ora che quei 50 milioni, quelli della presunta consulenza a Gnutti, rappresentano solo una parte del tesoro attribuito ai due manager. Secondo quanto emerge dalle carte che "L’espresso" ha potuto consultare, Consorte e Sacchetti hanno beneficiato anche di operazioni borsistiche milionarie accreditate sui loro conti correnti alla Popolare di Lodi tra la fine del 2001 e l’inizio del 2003. In quei documenti bancari abbondano le operazioni anomale. O quantomeno curiose. Si comincia dal primo versamento, che porta la data del 20 novembre 2001 e che risulta identico, al centesimo di euro, per entrambi gli ex dirigenti di Unipol. Per l’esattezza si tratta di un bonifico di 2 milioni 587 mila 449,06 euro, pari a 5 miliardi di lire. Quello stesso giorno due terzi di quel denaro, circa 1,7 milioni, viene immediatamente investito in titoli. Ancora una volta Consorte e Sacchetti impiegano esattamente la medesima somma. A dicembre niente di nuovo, ma poi a gennaio arriva lo sparo dello starter e sui due conti si muovono milioni. Ancora operazioni fotocopia. Acquisti per 10,9 milioni. Vendite per 11,1. Fanno quasi 200 mila euro ciascuno spalmati su tre settimane. Niente male. A febbraio e marzo ordinaria amministrazione. Trading per circa 3 milioni di euro. Ma il bello deve ancora venire. E arriva a primavera. In aprile i due conti registrano acquisti azionari per oltre 85 milioni di euro complessivi. E i profitti superano i 2 milioni. A maggio si replica. Il volume complessivo delle compravendite azionarie sfiora i 60 milioni. E questa volta Sacchetti, con quasi 10 milioni di plusvalenze, batte il suo capo, fermo a circa 2 milioni. Qualche mese di pausa e poi si ricomincia. Alla grande. Tra gennaio e febbraio del 2003 i documenti bancari registrano movimenti per un centinaio di milioni in totale. E questa volta gli incassi maggiori finiscono sul conto di Consorte. Morale della storia: i due furbetti rossi per un anno e più hanno giocato alla grande in Borsa. E hanno sempre vinto, o quasi. Fortuna? Eccezionale tempismo condito da una grande conoscenza dei mercati? Può darsi. Ma gli investigatori stanno vagliando anche altre ipotesi. Risulta già dagli atti dell’inchiesta che nelle prime settimane del 2005 Consorte e Sacchetti, con la supervisione della Popolare di Lodi, hanno beneficiato di operazioni finanziarie in strumenti derivati per circa 1,6 milioni di euro ciascuno. Erano compravendite pianificate in modo tale che per i due manager sarebbe di fatto risultato impossibile perdere. Funzionava così anche tra il 2001 e il 2003? Una pista precisa porta alle società del gruppo di Gnutti, che in più di un’occasione avrebbero fatto da sponda in questo vorticoso trading azionario. Va ricordato che è proprio nel periodo compreso tra il 2001 e il 2003 che si saldano una volta per tutte i rapporti societari tra l’Unipol e la galassia bresciana, che già erano andati a nozze ai tempi della scalata a Telecom. È alla fine del 2001 che la compagnia bolognese, sottoscrivendo un aumento di capitale, incrementa dall’1,5 al 5 per cento la sua quota nella Hopa guidata da Gnutti. Ed è tra gennaio e marzo del 2003 che la partecipazione sale ancora, fino a sfiorare il 7 per cento. In quel periodo Unipol tentò, senza successo, di comprare la Toro assicurazioni messa in vendita dalla Fiat. E per l’occasione trovò un alleato proprio nella holding di Brescia. Insomma, i rapporti d’affari tra i due partner si moltiplicavano. E intanto Consorte e Sacchetti raccoglievano i frutti milionari dei loro investimenti accreditati sui loro conti correnti alla Popolare di Lodi. Non è solo una questione di trading. Dalla documentazione bancaria che "L’espresso" ha potuto esaminare spuntano anche altre operazioni quantomeno sorprendenti. Per esempio, il 6 settembre del 2002 i due manager a quel tempo al timone di Unipol ordinano un pagamento per la stessa identica cifra: 4 milioni e 651 mila euro. Dove finiscono quei soldi? L’estratto conto non indica il beneficiario del versamento milionario. Passano solo 20 giorni e tornano a piovere milioni. Ancora una volta è un doppio accredito per la stessa somma. Il 26 settembre, infatti, risultano accreditati circa 13,2 milioni, da dividere esattamente per due. Il denaro, come confermano i documenti, proviene da due depositi fiduciari aperti a nome dei due manager presso la Nazionale Fiduciaria, un’insegna che ricorre con grande frequenze nelle vicende dei furbetti. È questo, infatti, un crocevia decisivo di molte operazioni sospette all’attenzione dei magistrati. E che, in un modo o nell’altro, riconducono alla banca di Lodi, a Gnutti oppure ai numerosi prestanome di Fiorani. Anche Consorte e Sacchetti avevano scelto questo schermo per nascondere le tracce di molto dei loro affari. Uno dei più clamorosi, almeno per l’entità delle somme coinvolte, prende le mosse nel marzo del 2003, quando dai conti dei due manager alla Popolare di Lodi partono poco più di 25 milioni di euro indirizzati sui loro dossier personali alla Nazionale Fiduciaria. La sosta dura poco. Un giorno soltanto, tra il 27 e il 28 di marzo, quando nel giro di poche ore vengono comprate e subito rivendute obbligazioni emesse dalla Banca Antonveneta con un guadagno di circa 3,5 milioni per ciascuno dei fortunati investitori. A questo punto il denaro può tornare al mittente. Sui due conti della banca di Fiorani vengono così accreditati 28,5 milioni di euro. Un colpo grosso, a dir poco. Ma c’è un fatto che merita di essere segnalato. Né Consorte né Sacchetti disponevano del denaro necessario per un investimento tanto ingente. Sui loro conti alla Popolare di Lodi c’era meno di un milione di euro. Niente paura. La banca chiuse un occhio. Forse tutti e due. E ai due illustri correntisti venne consentito di andare in rosso per circa 24 milioni. Lo scoperto venne poi annullato a stretto giro di posta, quando sul conto affluirono i proventi della vendita di obbligazioni. Non era la prima volta. Spesso e volentieri dai due estratti conto finiti nel mirino degli investigatori emergono investimenti per importi anche di molto superiori a quelli effettivamente depositati. In altre parole, se non c’erano contanti a sufficienza interveniva la banca a finanziare gli affari, con lo strumento dello scoperto di conto corrente. Sulla carta è tutto regolare, perché venivano addebitati anche gli interessi passivi del caso. Poca cosa in confronto ai guadagni milionari della coppia targata Unipol, che continuò a correre di affare in affare sino alla primavera del 2003. A quel punto ce n’era abbastanza per chiudere in bellezza. I furbetti rossi passarono alla cassa. Le carte registrano prelievi in contanti allo sportello per decine di migliaia di euro. Il grosso però finisce su conti fiduciari, probabile tappa intermedia per nuovi investimenti. Quanto? In totale fanno una decina di milioni di euro. Da dividere in due, ovviamente. Come da copione. Dagospia 18 Gennaio 2006

19/01/2006

Documento n.5574

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