Il PuntO. A margine della polemica sul costo di un conto corrente bancario

in Il Punto

Il PuntO. A margine della polemica sul costo di un Conto Corrente bancario.
Di Mauro Novelli (23-9-2004)

I costi di gestione di un conto corrente indicati da Adusbef sono campati in aria, sostiene l’ABI. E giù a tenere desta l’attenzione su “costo alto si, costo alto no”. Indipendentemente dal livello del costo sopportato dal correntista, il problema vero è di civiltà giuridica, ma le banche cercano di mimetizzarne la presenza. La questione vera risiede nella possibilità, offerta dal Testo Unico bancario, di variare i parametri finanziari di un contratto (costi, spese, commissioni ecc.) in senso sfavorevole alla clientela, mettendo un semplice annuncio sulla Gazzetta Ufficiale, Seconda parte, Altri annunci commerciali. Possiamo aprire un conto a 120 euro? Per quanto tempo le spese di gestione rimarranno a quel livello? Non lo sa neanche il direttore che mi propone il servizio. Con molta probabilità, il settore del credito è l’unico, in Italia, a godere di un rischio d’impresa bassissimo, potendo contare sullo strumento della facile variazione delle spese per fare bilanci con utili di centinaia di milioni di euro: basta rivedere i costi applicati ai servizi, senza tema di scadere di competitività. Anche alla luce del fatto che la concorrenza non alberga certo tra le banche. Tanto meno è definita la valenza temporale di quelle modifiche. (Neanche le compagnie di assicurazione sono arrivate ad ottenere tanto). Inoltre, le banche sanno benissimo che chiudere un conto presso un istituto, vuol dire aprirlo presso un altro. Per inciso, fino a qualche tempo fa, non esisteva neanche la concorrenza di Bancoposta (comunque boicottato). Siamo giunti ad accollare all’Erario anche i 12 mila miliardi di vecchie lire di crediti del Banco di Napoli (più che inesigibili, malamente esatti) pur di non sanzionare una pessima gestione imprenditoriale. Non a caso i servizi bancari in assoluto più costosi sono quelli che deve affrontare il cliente che ha deciso di cambiar banca, tanto è ormai perso: la chiusura del conto ed il trasferimento titoli. Questa ultima voce ha il costo più spropositato. Si arriva anche a 75 euro per tipo di titolo trasferito (GU 12-7-04 Banca Di Credito Cooperativo di Cartura; GU del 31-8-04 CREDITO BERGAMASCO che, pudicamente impone un tetto massimo di 1.000 euro. L’alto costo del servizio era giustificato fino al 1999, quando i titoli in custodia erano costituiti da fogli cartacei (mantello e cedole): trasferire materialmente quei documenti comportava la loro raccolta in plichi da proteggere, da far viaggiare come “assicurata” ecc. Operazioni evidentemente molto costose. Da quando però è stata imposta la dematerializzazione dei titoli, mantello e cedole cartacei non esistono più: tutto è stato ridotto ad una notazione informatica. E’ evidente che trasferire una tale notazione non comporta più né alti rischi né alte spese. Di fatto (ulteriore vulnus giuridico), gli alti livelli di spesa costituiscono un impedimento all’esercizio del diritto di chiudere i rapporti con un istituto di credito per aprirne con altri, poiché si arriva a spendere anche oltre 1000 euro. Questa “mansalva” sull’imposizione dei livelli di spesa, al di là di ogni giustificato motivo, non permette di valutare neanche spannometricamente i costi che dovranno essere affrontati: dopo tre settimane si rischia di veder imposte condizioni del tutto stravolte rispetto a quelle in base alle quali decisi di firmare. Come uscirne?

23/09/2004

Documento n.4136

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