PROCESSO RATING, OLTRE AL PREGIUDIZIO SULL'ITALIA, IL COLLEGIO GIUDICANTE HA ACCLARATO UN QUADRO DI SOSTANZIALE RETICENZA, INTRECCI INCESTUOSI, COMPIACENZA DIRIGENTI MEF VERSO S&P, DA RECIDERE. ADUSBEF CHE AVEVA FATTO PARTIRE INDAGINE, RISPETTA SENTENZA PRIVA DI CORAGGIO

in Comunicati stampa

PROCESSO RATING, OLTRE AL PREGIUDIZIO SULL'ITALIA, IL COLLEGIO GIUDICANTE HA ACCLARATO UN QUADRO DI SOSTANZIALE RETICENZA, INTRECCI INCESTUOSI, COMPIACENZA DIRIGENTI MEF VERSO S&P, DA RECIDERE. ADUSBEF CHE AVEVA FATTO PARTIRE INDAGINE,RISPETTA SENTENZA PRIVA DI CORAGGIO

  Dalle 315 pagine della motivazione della sentenza sull’agenzia di rating- allegate-, firmata dal presidente del collegio giudicante Giulia Pavese del Tribunale di Trani, che aveva portato il 30 marzo 2017 all’assoluzione dei dirigenti di Standard & Poor’s,  accusati di turbativa di mercato, oltre al pregiudizio sull’Italia, emerge la plateale conferma di uno spaccato inquietante sui rapporti incestuosi, tra i dirigenti del Tesoro e le agenzie di rating, che occorre recidere con urgenza,  invece di premiare.

    Tutti gli interventi di Standard & Poor’s – si legge nella sentenza- riferiti nel corso del processo da esponenti qualificati del Tesoro e della Consob, sono stati adottati in un arco temporale ristretto, con valutazioni diverse da quelle delle altre agenzie di rating, peraltro, dopo essere stato risolto il rapporto contrattuale di consulenza di S&P con il Tesoro italiano, costituendo grave pregiudizio sull’Italia e debito sovrano.

   Il processo per manipolazione del mercato, istruito dal Pm di Trani Michele Ruggiero dopo una denuncia Adusbef, nei confronti di analisti e manager di S&P sul declassamento di due gradini dell'Italia (da A a BBB+) del 2012,  "ha fatto emergere" gli "intrecci tra azionisti, manager, analisti, dirigenti del Tesoro, banche di affari e agenzie di rating", ma non ha "consentito di delinearne in maniera definitiva i confini proprio per la 'reticenza' manifestata da alcuni testi".

    Secondo i giudici, i testimoni avrebbero dovuto avere il dovere  di fornire una più ampia e sincera collaborazione, frenata o da interessi personali o da interessi di natura politica in un chiaro tentativo di frammentare le singole condotte, ostacolando l'accertamento dell'elemento soggettivo del reato e, ancor prima, ostacolando la riconduzione a un disegno unitario di tutte le condotte, anche di quelle antecedenti all'azione del rating del 13 gennaio 2012, in un'ottica di sicuro pregiudizio per l'Italia, descritto dalla dirigente del debito pubblico Maria Cannata".    

    In un contesto di velata, ma sostanziale, reticenza dettata da interessi di natura personale commisti a compiacenza nei confronti di S&P - di cui hanno tratto vantaggi per la loro carriera - si collocano le testimonianze della general manager Maria Pierdicchi (all'epoca AD per l'Italia di S&P, poi premiata da Bankitalia con una poltrona nel Cda delle banche in risoluzione) e dell'analista bancario Renato Panichi.

  Intrecci di interessi, commistioni, dorate carriere, inaugurate nel 1992 dall’ex DG del Tesoro Mario Draghi, poi vice presidente per l’Europa di Goldman Sachs, proseguite da Domenico Siniscalco (Morgan Stanley) e Vittorio Grilli (JP Morgan), entrambi direttori del Tesoro e poi ministri dell’Economia, assoldati dalle banche d’affari ed accusati di negligenza dalla Corte dei Conti, insieme a Maria Cannata e Vincenzo la Via, sul rimborso di 3,1 mld di euro a Morgan Stanley nel 2012.

  I contratti derivati, pari a 163 mld di euro, che dovevano garantire l’Italia dalle fluttuazioni di tassi e cambi, hanno garantito alle banche di affari,24 mld di euro dal 2013 al 2016, al ritmo di 6 mld di euro  l’anno,gravanti sul debito pubblico arrivato a 2.300 mld. La sentenza di Trani ha indicato la strada per recidere connivenze e reticenze dei dirigenti del Tesoro.

 

 

 

29/09/2017

Documento n.10596

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