TISCALI AFFAIRE “SARDEGNA FATTI BELLA” - IL TRIBUNALE STA PER RINVIARE A GIUDIZIO SORU PER I CONTRATTI DELLA REGIONE CON LA SAATCHI & SAATCHI

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TISCALI AFFAIRE “SARDEGNA FATTI BELLA” - IL TRIBUNALE STA PER RINVIARE A GIUDIZIO SORU PER I CONTRATTI DELLA REGIONE CON LA SAATCHI & SAATCHI: IN PARTE FINIVANO A EX MANAGER DELLA SUA AZIENDA - PER IL PDL DIETRO LE SUE DIMISSIONI C’È UN TRUCCO… Gianluigi Nuzzi per "Panorama" Stavolta Renato Soru, l'infaticabile presidente della Regione Sardegna già lanciato dal gruppo De Benedetti come candidato per il post Veltroni del Partito democratico, non ce l'ha fatta. Non ha convinto. Era andato in gran segreto, prima del veglione di San Silvestro, a farsi interrogare dal pubblico ministero di Cagliari Mario Marchetti, pur di sfilarsi dall'inchiesta per turbativa d'asta e abuso d'ufficio sul fiume di soldi e appalti che l'amministrazione del «Barack Obama di Sanluri» ha fatto arrivare tra il 2006 e il 2007 alla multinazionale pubblicitaria Saatchi & Saatchi. Subito dopo la pausa natalizia Marchetti ha reincontrato il procuratore capo Mauro Mura. Senza dissidi, i due sembrano orientati a chiedere il rinvio a giudizio di Soru e di chi, tra dirigenti e funzionari regionali, ha messo mano in tre affari che si aggiudicò la multinazionale: l'appalto da 1 milione di euro per la campagna «Sardegna, fatti bella», affidato senza gara; quello per il logo della regione; e la gara per la pubblicità istituzionale della regione con un appalto da 56 milioni di euro, più Iva. Quindi è un conto alla rovescia. Avviata nel maggio 2007, l'inchiesta era stata chiusa già a settembre. Il pm Marchetti sta quindi svolgendo accertamenti suppletivi, a cominciare dagli interrogatori degli indagati, prima della richiesta di rinvio a giudizio. Ancor più perché la vicenda è delicata, afferma chi gli è vicino, si è mosso con grande cautela. A dicembre Soru, con un contropiede, si è dimesso dalla presidenza della regione, a febbraio si va alle urne con l'ex presidente che si ricandida e in tribunale pare ormai scontato che l'eventuale richiesta di rinvio a giudizio arrivi dopo il voto. Questo evita un sincronismo giudiziario di ambrosiana memoria e permette a Soru di affrontare l'impegnativa campagna elettorale senza imminenti ipoteche giudiziarie. Mauro Pili, predecessore di Soru alla presidenza e oggi parlamentare del Pdl, offre una lettura diversa: «Con l'imminente riforma stringente del codice etico del Pd Soru non si sarebbe potuto ricandidare in caso di rinvio a giudizio. Quindi sarebbe stato fuori dalle prossime elezioni. Dimettendosi in anticipo rispetto alla scadenza naturale ha potuto anticipare i tempi della giustizia». Eppure, Soru ha poco o nulla da rallegrarsi. Non solo perché la procura cagliaritana intende processarlo e perché alcuni coindagati hanno patteggiato e sono già stati condannati, come il segretario Carlo Sanna (5 mesi per falso ideologico). Quanto per gli indizi, le testimonianze e i verbali raccolti nei 26 faldoni degli atti d'inchiesta, che sembrano incrinare l'immagine costruita con abilità dall'imprenditore sardo. I verbali ritagliano un inedito ruolo centrale per l'ex presidente che avrebbe giocato in prima persona per pilotare l'appalto. Per il pm Marchetti tutto avviene in tre tempi. Due membri della commissione giudicatrice dell'appalto da 56 miloni per la pubblicità istituzionale, il presidente Fulvio Dettori, direttore generale in Regione Sardegna, e il consigliere Aldo Brigaglia hanno «consentito, prima che fosse aggiudicata la gara, che Soru, che non aveva legittimazione, prendesse conoscenza delle offerte ed esprimesse indebite valutazioni al riguardo». Ciò ha determinato l'accusa di rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio. Dopodiché proprio Soru e il numero uno della Saatchi & Saatchi Italia, l'amministratore delegato Fabrizio Caprara, avrebbero secondo gli inquirenti «determinato Dettori a influire sui componenti della predetta commissione perché il servizio di pubblicità istituzionale della regione fosse aggiudicato alla Saatchi-Equinox». Infine, sempre secondo l'accusa, si «manipola l'esito della votazione», cancellando di fatto un intero scrutinio, pur di far vincere l'azienda prescelta con uno scarto incolmabile dalla concorrenza. Dai computer degli indagati è uscito di recente un altro documento. Si tratta di una scrittura privata tra la Saatchi & Saatchi e alcune aziende subappaltanti sulla gara per la pubblicità istituzionale da 56 milioni. L'atto risale alla vigilia della presentazione in Regione Sardegna dell'offerta della multinazionale, nell'ottobre del 2006. In pratica la Saatchi&Saatchi si impegna a cedere il 30 per cento dell'appalto, prima dell'aggiudicazione, al consorzio Sardinia media factory, presieduto da Marco Benoni, ex direttore editoriale della Tiscali e amico di Soru. Emergono altre circostanze difficili da comprendere. La Saatchi & Saatchi indica un subappaltatore ancor prima di vincere l'appalto. Il consorzio, fino a quel momento inattivo, sembra sorto proprio per l'occasione. Per non parlare di quegli «intimi amici di Soru» come accusa Pili «visto che tutti gli otto fondatori del consorzio sono stati legati societariamente, funzionalmente e professionalmente alla società Tiscali del presidente della regione». I nomi che emergono sono tutti del giro Tiscali. Fra questi i due fratelli Benoni risultano soci della Three bees, azienda inattiva che fa parte dei soci fondatori del consorzio e attraverso la quale i Benoni sono soci pure di Richard Jonathan Browstein, già dirigente delle vendite Tiscali e partner della stessa impresa. Quest'ultimo è collegato e socio di Elserino Piol, già «fondatore» di Tiscali e Not on tv, tra i principali fornitori proprio della Tiscali. Né manca il gruppo Bernabé con il figlio Marco, presente tramite la società Green Media.

16/01/2009

Documento n.7708

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