SUL DECIMO ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA DI FABRIZIO DE ANDRE',IL SENATORE LANNUTTI.....

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Sul 10° anniversario della scomparsa da Fabrizio De André LANNUTTI (IdV). Domando di parlare. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. LANNUTTI (IdV). Signor Presidente, intervengo per ricordare, a dieci anni dalla sua morte, Fabrizio De André, il bardo di Genova, omaggiato a destra e a sinistra, nonché dal «Financial Times». «Anche se non capisci i testi, la musica si ti dà la pelle d'oca» scrive Tobias Jones: canzoni profonde, accompagnate da una voce languida e grave, tenera e malinconica. «Ma se capisci i testi, allora ti rendi conto di essere nelle mani di un genio» continua ancora Tobias Jones. Raccontava storie di emarginati, prostitute, drogati, criminali, soldati e suicidi con grazia più che con sentimentalità. De André viene descritto come un uomo per molti versi contradditorio: bohémien, timido e sentibile, intellettuale e populista. Di ricca famiglia, era figlio del vicesindaco di Genova e per tutta per tutta la vita è stato anarchico. Lui e la moglie furono rapiti in Sardegna e tenuti prigionieri per quattro mesi. Dopo il rilascio mostrò scarso rancore verso i suoi rapitori dicendo che erano prigionieri come lo era lui. Il «Financial Times» spiega che aveva una conoscenza molto ampia; tradusse le canzoni di Bob Dylan e Leonard Cohen, scrisse canzoni insieme a grandi musicisti. Tuttavia, forse la ragione per cui De André rimane così celebrato è la sua spiritualità: cantava la condizione umana, parlava di amore e morte senza mai ricorrere a stereotipi; anche se ha sempre detto che trovava difficile credere in Dio, era pieno di ammirazione per Gesù e il suo album «La buona novella» si rifaceva ai Vangeli apocrifi; nonostante fosse al massimo un agnostico, De André scrisse canzoni che sembravano parabole ed oggi molte sono suonate perfino nelle chiese. Onorevoli colleghi, ringrazio la Presidenza per aver consentito a un figlio del Sessantotto, arrivato su questi scranni quasi per caso e comunque al di fuori degli schemi tradizionali che, come diceva Max Weber, vedono la politica come professione, di ricordare in quest'Aula uno dei più grandi poeti del Novecento, un uomo libero e perciò osteggiato dal potere costituito che lo aveva persino schedato come sovversivo. (Applausi dai Gruppi IdV, PdL e LNP). PRESIDENTE. (Vannino Chiti) Colleghi, riguardo all'intervento, del senatore Lannutti. Infine, ringrazio il senatore Lannutti per il suo intervento. Forse a volte sbagliamo, ma non è certamente usuale ricordare nelle aule parlamentari momenti di vita del nostro Paese, in questo caso la scomparsa di Fabrizio De André, che invece meritano, non solo un ricordo bello come quello che ha fatto lei, senatore, ma anche una certa attenzione. Certamente De André ha segnato la vita di molte generazioni di italiani, non soltanto di quelli che lo hanno accompagnato negli anni ma anche di quelli che sono venuti dopo. Conosco molti giovani, a cominciare dai miei figli, che hanno una passione particolare per Fabrizio De André. È vero che De Andrè non è stato un semplice cantante: Fabrizio De Andrè è un poeta e le sue canzoni sono un testo quasi sempre profondo di umanità. Quindi, è giusto che vi sia stato questo momento di ricordo e di gratitudine da parte sua, senatore Lannutti, cui certamente la Presidenza si associa.

16/01/2009

Documento n.7709

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