RISANAMENTO,BANCHE E STAMPA SERVA: IL SEGUENTE ARTICOLO CANDIDATO DALL'ADUSBEF AL PREMIO "LECCHINO D'ORO".

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LA PROCURA SOSTIENE CHE LE AREE DI ZUNINO NON POSSONO ESSERE VENDUTE A QUEI PREZZI. MA DAVVERO È MATERIA CHE COMPETE AI PM? tratto da www.dagospia.it Manuel Follis per Milano Finanza "Davvero grande è lo sconcerto e la sorpresa per la presa di posizione assunta dal pubblico ministero con la memoria depositata in data 21 settembre 2009". E' l'incipit della lunga e articolata memoria datata 6 ottobre nella quale i legali di Risanamento rispondono punto per punto alle obiezioni dei pm Laura Pedio e Roberto Pellicano che da luglio chiedono al giudice di decretare il fallimento della società immobiliare. Oggi si svolgerà la seconda udienza presso il tribunale fallimentare di Milano ed è vero, lo sconcerto è grande. Forse anche maggiore di quanto gli stessi legali riescano a esprimere. Quelle tra società e pm potrebbero sembrare le tradizionali schermaglie legali che precedono la decisione del Tribunale, eppure considerando con attenzione i fatti e la documentazione nota questa volta c'è molto di più. Fatti e opinioni. Il primo aspetto che balza agli occhi è il differente piano di discussione tra accusa e difesa. Gli interventi dei pm nelle memorie del 21 settembre e del 12 ottobre sono certamente perentori e lapidari, ma anche vaghi. Non entrano mai nel merito del fallimento, ma fanno leva principalmente su considerazioni etico-soggettive che, anche ammesso trovassero riscontro nella realtà, non hanno niente a che fare con il tema del fallimento. Scrivono i pm che "la prospettiva di realizzo delle aree Falck e Santa Giulia appare di difficile concretizzazione stante la difficoltà già incontrata da controparte nel corso del 2008 di trovare un acquirente allo stesso prezzo al quale si spera ancora di venderla". La Procura, quindi, sostiene che quelle aree non possono essere vendute a quei prezzi. Ma davvero è materia che compete ai pm? No, è compito del mercato valutare la fattibilità degli obiettivi prefissati. Se così non fosse, allo stesso modo i pm potrebbero eccepire che Tiscali non raggiungerà gli abbonati sperati o che Fiat non venderà abbastanza Punto in Brasile. Francamente sembra eccessivo: il raggiungimento dei target non è competenza della Procura. Si potrebbe obiettare che senza i proventi della cessione di Sesto San Giovanni e Rogoredo non verrebbero ripagati i debiti, ma questo non è vero. Il piano Bain spiega chiaramente, conti alla mano, che le prime iniezioni di liquidità (e non i successivi realizzi industriali) coprono le spese per l'anno in corso e per il prossimo. "Sino alla fine del 2010 (e prevedibilmente anche oltre) le risorse sopra indicate saranno largamente sufficienti a coprire tutte le spese di funzionamento e altre uscite di cassa. Si noti, infatti, che il saldo di cassa al 31 dicembre 2010 sarebbe positivo per circa 82,5 milioni". Banche e banchieri nel mirino. Nel documento della Procura del 12 ottobre si criticano anche i bilanci delle banche che non hanno effettuato "una esatta valutazione del rischio, posto che fino al giugno 2009, salvo i crediti del Banco Popolare sulle società controllanti del gruppo, tutti gli altri crediti risultavano iscritti in centrale rischi della Banca d'Italia in bonis, nonostante il tentativo almeno dalla fine del 2007 di dare corso a dei piani di ristrutturazione". Ma è così pacifico che la Procura faccia valutazioni sulle scelte di una banca come provenissero direttamente da Via Nazionale? Ammesso che qualcuno condivida le considerazioni dei pm, quale relazione c'è con il fallimento di Risanamento? Quella dei pubblici ministeri sembra l'opinione che porta un analista finanziario a rivedere al ribasso il target price su un titolo, non quella che dovrebbe sancire il fallimento di un gruppo industriale. Le banche, le banche, ancora le banche. Ma l'inchiesta non riguarda Risanamento? Eppure il richiamo agli istituti di credito è una delle costanti dei tre documenti prodotti finora dalla Procura: fin da subito l'impressione è che fossero banche (e banchieri) l'obiettivo finale dei pm. Nell'ultima memoria difensiva di Risanamento, i legali del gruppo immobiliare giungono alle stesse conclusioni cui era giunto Milano Finanza sabato 26 settembre. Scrivono i legali: "Con la richiesta di dichiarare il fallimento, il pubblico ministero vuole sanzionare tutta una serie di comportamenti che non si limitano al debitore ma (si estendono) agli istituti bancari creditori. Dunque, spiace dirlo, ma i pm si arrogano una funzione di supplenza, peraltro del tutto estranea ai propri poteri/doveri". Bisogna poi aggiungere che le banche si impegnano a sottoscrivere un aumento di capitale da 150 milioni, a rafforzare il patrimonio per 500 milioni a garantire il rimborso di un prestito obbligazionario da 270 milioni, a mettere a disposizione linee di credito per altri 150 milioni, il tutto con una nuova governance. Insomma, a fronte di un debito di 3 miliardi vengono messi sul tavolo più di 1 miliardo (di soldi veri, direbbe Emma Marcegaglia), nuovi amministratori e nuovi azionisti di controllo. E qual è l'osservazione illuminata dei pm, evidentemente male assistiti da improbabili periti? Si tratta di una manovra "economicamente irrilevante destinata solo (forse) a migliorare lo standing reputazionale del gruppo". L'interesse pubblico. Perché tanto accanimento? Per l'interesse pubblico. Cari lettori, avete capito bene, è interesse vostro che Risanamento fallisca. Scrivono i pm: "L'azienda insolvente, tanto più se quotata, deve essere isolata dal mercato per il bene dell'economia". Viceversa si creano occasioni favorevoli "per la commissione di reati quali usura e riciclaggio". Ecco, è questo è l'interesse pubblico. Davvero? Ma così si ignorano totalmente le conseguenze del fallimento di un'impresa. Un perito particolarmente affidabile (anche per diversi Tribunali) come Stefania Chiaruttini ha ipotizzato quali sarebbero gli effetti in caso di attuazione dell'accordo di ristrutturazione e quali (ben peggiori) in caso di fallimento. E i pm? "Non pareva necessaria addirittura una perizia per raccontare che la liquidazione è preferibile al fallimento". Ma come? Ma non è il fallimento che tutela l'interesse pubblico? Forse se la Procura avesse valutato più attentamente le carte, avrebbe considerato anche il fatto che il fallimento "avrebbe conseguenze altamente rovinose per tutti i soggetti interessati e, in primis, per i creditori sociali e per l'azionariato diffuso". Forse dà fastidio pensare che anche le banche possano beneficiare del salvataggio del gruppo. O forse i pm parlano considerando i grandi benefici generati a livello mondiale dal crack Lehman Brothers. Il fallimento, segnalano i legali di Risanamento, "avrebbe conseguenze gravissime sia in termini di costo sociale (si tratterebbe del dissesto più grave dopo Parmalat) sia sul comportamento delle istituzioni finanziarie chiamate a risolvere le numerose crisi d'impresa". Il paragone con l'azienda di Collecchio è stato molto enfatizzato dai media, anche se le analogie riguardano solo le possibili conseguenze e non i reati effettivamente commessi. In quel caso i manager vennero pescati con le mani nella marmellata; qui, per ora, ci sono solo supposizioni. C'è per esempio l'accusa di insolvenza, che però va dimostrata. A loro volta, i legali di Risanamento evidenziano quando, secondo la giurisprudenza, si incorre nella fattispecie dell'insolvenza e dimostrano con i fatti che l'azienda non è insolvente. La Procura però mette in discussione i conti dell'ultima semestrale e quelli del bilancio 2008, sfigurando (letteralmente) il lavoro dei revisori. Ma anche qui i pm compiono un brutto scivolone che permette ai legali del gruppo immobiliare di affondare la lama spiegando loro come funziona la revisione contabile. In breve: l'assenza di commenti al bilancio da parte dei revisori fa parte del normale codice comunicativo (standardizzato per legge) e non implica affatto un mancato controllo. Così come non è stata affatto superficiale la valutazione dell'esperto chiamato ad asseverare il piano, lo Studio La Croce. Considerazioni finali. Dunque, da una parte valutazioni non suffragate da evidenze, peraltro molte delle quali non fanno parte delle competenze della Procura; dall'altra spiegazioni, quelle della difesa, che paiono inappuntabili nel merito e nel diritto. Da una parte toni sorprendentemente supponenti, dall'altra sconcerto e preoccupazione. E quando si apprende che "il presidente della società e questa difesa si sono più volte offerti di chiarire al pubblico ministero, anche in via informale, tutte le questioni e i termini dell'accordo di ristrutturazione senza che tale disponibilità abbia avuto alcun riscontro, neppure da parte dei consulenti tecnici della Procura", cadono le braccia. Si dovrebbe vergognare chi, senza aver letto le carte (tutte le carte) e senza avere a cuore l'interesse del sistema, gioca con le parole esprimendo giudizi da bar sport su una vicenda tanto delicata. "Le piccole imprese non ricevono credito, morte ai banchieri", si grida in un perfetto clima da caccia alle streghe. Non sono in discussione le opinioni, ma il diritto e il buon senso. Che vanno rispettati tanto quanto le piccole imprese.

15/10/2009

Documento n.8237

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