RAI: GLI ALLEGRI APPALTI DEI VERTICI AZIENDALI ! DA UNO STUDIO DI SERGIO CUSANI (PER CONTO CGIL),LA RAI POTREBBE FARE LA FINE DELL'ALITALIA

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Rai, dai conti agli appalti: ora va in onda il declino ( Corriere Economia del 12/05/2008 ) Stampa - Guida Pericoli La Slc-Cgil analizza i bilanci dal 2002 al 2006. E lancia l'allarme. Le possibili perdite Rai, dai conti agli appalti: ora va in onda il declino L'azienda spende il 64% dei ricavi per acquistare fiction e varietà Ma aumentano anche i costi interni. Il rischio è finire come l'Alitalia N on bastano 11.436 dipendenti fissi (più 1.872 contratti a tempo determinato). E non sono sufficienti neppure 43 mila collaboratori. La Rai non può fare a meno degli "appalti esterni", quasi non avesse energie e talenti all'altezza dei propri compiti. Se si tolgono i tg e qualche programma di informazione (come "Report" o "La Storia siamo noi") praticamente tutto quello che vediamo su Rai1, Rai2 e Rai3, dalla mattina a notte fonda, è confezionato all'esterno. Cuochi, pacchi, nonni, piste da pattinaggio, ballerini sotto le stelle, seggiole e divani. Tutto, o quasi: le fiction, i varietà della prima serata, i talk show, i documentari. Nel bilancio 2006 su un totale di ricavi pari a 3.111 milioni di euro, 1.516 sono stati stanziati per "l'acquisto di beni e servizi esterni", cui vanno aggiunti 580 milioni di euro di investimenti per comprare diritti televisivi. Totale: 2.096 milioni di euro spesi fuori casa, a fronte di 979 milioni di euro versati al personale interno. Il consuntivo del quinquennio 2002-2006 mostra che per ogni 100 euro che entrano nelle casse aziendali, 64,4 vanno ad alimentare una "mezza Rai" che negli anni si è sviluppata lontana dagli studi di Saxa Rubra o di via Teulada. Queste risorse si trasformano negli incassi delle società di produzione, tra le quali spiccano Endemol (che fa capo a un pool di azionisti guidato da Mediaset), Magnolia (De Agostini) e la Ballandi Entertainment. La Rai, l'azienda del servizio pubblico, la "compagnia di bandiera" della tv italiana, può andare avanti così? La Slc-Cgil (Sindacato lavoratori della comunicazione) ha fatto esaminare i bilanci degli ultimi cinque anni (2002-2006) da un gruppo di esperti coordinati dal consulente finanziario Sergio Cusani. Ed è giunta a una conclusione che è allarmante. No, la Rai non può continuare così, perché di questo passo l'azienda presieduta da Claudio Petruccioli è destinata al declino. Sia chiaro: non a un tracollo violento come quello dell'Alitalia; piuttosto un cedimento lento, ma inesorabile. Uno slittamento dei conti, con le perdite che si accumulano, gli investimenti che non tengono il passo dell'innovazione e le risorse del canone che non bastano più. L'analisi della Slc, guidata da Fulvio Miceli, parte da un pacchetto di dati "strutturali". Dal 2002 al 2006 (quattro anni e mezzo di governo Berlusconi, sei mesi con Prodi), l'azienda di viale Mazzini ha incassato 7.261 milioni di canone, cioè di denaro pubblico, più 5.900 milioni dalla raccolta pubblicitaria. Il 21,2% degli incassi (cioè 3.131 milioni) è stato investito soprattutto nell'acquisto di diritti televisivi (2.753 milioni). Solo una quota residuale, 482 milioni è servita per svecchiare il parco degli impianti, dei macchinari, delle attrezzature da studio. Negli anni il costo del lavoro è cresciuto con regolarità (dagli 868 milioni del 2002 ai 979 del 2006), oscillando su un livello pari al 20-21% dei ricavi. Completa il quadro la voce più cospicua, il 45,7% (6.751 milioni) destinato ai "beni e servizi esterni", da sommare ai 2.753 milioni di euro per investimenti "fuori porta" (18,6% dei ricavi), per un totale di 9.504 milioni pari al 64,4% del fatturato. Di nuovo, attraverso le cifre, la Cgil arriva a quello che considera il passaggio cruciale: dal 2002 al 2006 "il ricorso a produzioni esterne è cresciuto in media dell'11%". Vista da un'altra angolazione: nel 2002 a fronte di un euro speso per i dipendenti, ce n'era 1,38 per gli esterni. Nel 2006 questo rapporto è salito fino a quota 1,46. Illuminante anche il confronto con gli altri operatori europei che si avvalgono del canone. Dall'esame del "piano triennale 2008-2010" messo a punto dai vertici di viale Mazzini, risulta che l'azienda italiana può contare sul 75% di lavorazioni interne, il 3% di co-produzioni e il 22% di esterne. Tuttavia, si legge nel documento del sindacato, "le produzioni interne di Rai attengono sostanzialmente ad attività a basso valore aggiunto e non caratteristiche del business". In altri termini in casa si fanno le cose più facili e, spesso, meno pregiate. Gli inglesi della Bbc, invece, hanno una quota più bassa di "interni" 62%, il 34% di co-produzioni e solo il 4% di esterni. La Bbc è inarrivabile? Non proprio. Basta osservare nella tabella pubblicata in queste pagine che i francesi di Tdf e i tedeschi di Ard si regolano nello stesso modo. Fin qui i numeri di quella che la Cgil definisce "l'anomalia" della Rai. Lo stesso studio, comunque, sottolinea come l'impianto finanziario dell'azienda abbia sostanzialmente retto. A monte dell'attività il margine operativo lordo (nel 2006) pari a 702 milioni di euro, ha dato copertura a sostanziali investimenti. Il punto è che, anche qui, la gestione ha utilizzato i due terzi delle risorse all'esterno e il resto, 109 milioni, ai "beni tangibili" (fabbricati, impianti e macchinari). Il risultato è che il patrimonio interno diventa sempre più obsoleto e quindi è chiaro che, alla lunga, appare più semplice ricorrere alle lavorazioni esterne (studi, troupe eccetera). Secondo la Slc-Cgil la tendenza sarebbe destinata a durare. Nel piano triennale 2008-2010 della Rai i costi esterni "non subiscono riduzioni": si parte dai 1.327 milioni previsti nel 2007 e si arriva a 1.311 milioni nel 2010. Tuttavia la direzione generale di viale Mazzini è convinta di poter riportare i bilanci in attivo. Esiste, però, anche un'altra simulazione, quella del cosiddetto "scenario inerziale". Che cosa succederà se le dinamiche di spesa dei prossimi tre anni continueranno ad aumentare con il ritmo del biennio 2006-2007? Le cose si metterebbero male, avverte il gruppo di esperti guidato da Cusani. I conti chiuderebbero in rosso, accumulando a fine percorso (2010) una perdita di quasi 200 milioni e una posizione finanziaria negativa per 500 milioni di euro. E a quel punto la svolta sarebbe obbligatoria. ( Corriere Economia del 12/05/2008 )

12/05/2008

Documento n.7296

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