RAI: DOPO LA RINUNCIA DI FLEBUCCIO SI ALZERA' LA MONGOLFIERA MIELI ?

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IN QUESTE ORE SI STA ALZANDO DA VIA SOLFERINO LA MONGOLFIERA DI PAOLO MIELI - LA DECISIONE PRESA DIECI GIORNI FA IN UN INCONTRO A MILANO TRA GERONZI E BAZOLI - DUE MOTIVI PER IL NO RAI DI FLEBUCCIO: LE FORBICI DI TREMONTI E IL POTERE POLITICO L'avevano chiamato "patto della mimosa" e nessun fiore meglio di questo esprime la forza e la femminilità che si addiceva all'intesa che dove portare Flebuccio De Bortoli alla presidenza della Rai. L'accordo aveva un sapore esclusivamente politico, cioè senza interferenze da parte di quei poteri forti che in queste ore si preparano a risolvere il nodo del "Corriere della Sera". Protagonisti della svolta che avrebbe costretto Claudio Petruccioli ad anticipare le vacanze sotto l'ombrellone di Capalbio, erano il Gran Visir del Cavaliere, Gianni Letta, e il ragazzo dal pullover alla Marpionne, Dario Franceschini. Erano loro i protagonisti sulla scena, ma dietro le quinte la regia si vedeva la manina pesante del Cavaliere che avrebbe voluto dare un'accelerazione al ricambio di viale Mazzini. La soluzione De Bortoli sembrava accontentare tutti, o quasi tutti. Sul 56enne giornalista milanese, che profuma di shampoo e conosce a memoria la lezione di tolleranza scritta da Montesquieu e da Tocqueville, non si può discutere. Flebuccio è un uomo goloso di professionalità e di questa si è nutrito nel cursus honorum che lo ha portato ad attraversare le stanze del "Corriere della Sera" e del "Sole 24 Ore" dove è arrivato nel 2004. E' un giornalista di razza che non si è mai innamorato della servitù (intesa come genuflessione servile al potere) e ha capito che nei giornali e nell'editoria in genere sta per arrivare uno tsunami di proporzioni bibliche. Lunedì prossimo Flebuccio avrebbe potuto salire al settimo piano di viale Mazzini, ma già ieri sera qualcuno si chiedeva se la sua scelta fosse un atto di saggezza oppure la prima sbandata della sua vita professionale. La Rai è un Vietnam e riesce difficile immaginare come il direttore dalla capigliatura cotonata avrebbe potuto convivere nel perimetro disegnato dalla feroce lottizzazione degli uomini del centrodestra. Di certo si può capire che il direttore del "Sole 24 Ore" abbia sentito in questi ultimi mesi una gran voglia di lasciare ad altri le forbici che dovranno tagliare i bilanci e di sganciarsi dal profilo basso del suo editore Confindustria. Ma il colpo di scena con cui stamane ha rinunciato alla presidenza di viale Mazzini avrebbe due motivazioni: da parte Tremonti ha tuonato contro i 700mila euro di stipendio pattuito con Flebuccio tirando fuori il tetto ai compensi di manager di aziende pubbliche; da una parte, dall'altra la considerazione di Flebuccio di non aver nessun potere esecutivo come presidente (la legge non lo prevede) con il rischio più che probabile di finire schiacciato al pari di Lucia Annunziata tra i poteri politici. Il paracadute su viale Mazzini non si è aperto, ma in queste ore si sta alzando da via Solferino la mongolfiera di Paolo Mieli, il megadirettore che per ben due volte (nel settembre '92 e nel dicembre 2004) è approdato alla guida del "Corriere della Sera". Il tempo di Paolino, uomo colto e cinico, sembra scaduto e a decidere la sua sorte non sarà il "patto della mimosa", ma il patto di sindacato dei soci Rcs che si riunisce il 18 marzo. In questo caso non sono i politici a farla da protagonisti bensì quel parterre di industriali e finanzieri che con le loro quote controllano il primo quotidiano italiano. Per loro valgono sia la premura che la paura. La premura è di sbarazzarsi dell'uomo che 12 giorni fa ha compiuto 60 anni ed è entrato a far parte della terza età. Ma a nuocergli non è il dato anagrafico perché più della terza età, Paolino è vittima della "terzietà" cioè della presunzione di essere un soggetto super partes capace con la sua intelligenza di condizionare il corso della politica. Ci ha provato l'8 marzo del 2006 quando con un editoriale indimenticabile ha sposato la causa di Romano Prodi, una scelta che poi gli è costata in modo determinante sia dal punto di vista politico che da quello del mercato dove molti lettori della borghesia lo hanno abbandonato. Il peccato di "terzietà" si è riflettuto con il progetto che ruotava intorno al tandem Luchino di Montezemolo-WalterEgo Veltroni, un disegno di modernità che si è rivelato fragile come una canna al vento. Il risultato fallimentare della sua vita politica non si è raddrizzato nemmeno con l'utilizzo occasionale degli editorialisti omogenei al centrodestra come Panebianco, Galli della Loggia, PG Battista e Sergio Romano, anzi la "terzietà" ha fatto soltanto incazzare ancor di più il Palazzo della politica e i cosiddetti editori che siedono nel patto di sindacato. E il giochetto di ergersi a baluardo della libertà di informazione, giocando al solito nel ruolo di kingmaker quandi di king ce n'è uno solo (Berlusconi), ha soltanto accelerato i tempi della sua sostituzione. La decisione di sciogliere gli ormeggi della mongolfiera Mieli è stata presa dieci giorni fa in un incontro a Milano tra i due Grandi Vecchi, Cesarone Geronzi e Abramo-Bazoli. Per questi due rappresentanti della terza età, la "terzietà" di Mieli è un'equazione incomprensibile perché sono abituati da sempre a confrontarsi con scelte radicali per poi trovare una mediazione utile a entrambi. Da qui la decisione di mandarlo a casa forse anche prima della riunione del 18 che è stata convocata per definire la lista dei consiglieri del Patto in vista dell'Assemblea di fine aprile. Il megadirettore romano ha capito l'arrivo del temporale e ha cercato nelle ultime settimane di ricrearsi una catena di consenso. L'incontro di Bazoli di qualche giorno fa è stato l'ultimo tentativo, seguito a 24 ore di distanza da ben tre articoli pubblicati in favore di BancaIntesa. Non è bastato. Per il tandem Geronzi-Bazoli, che assiste nervoso alla soluzione del problema Rai, l'operazione "Corriere" è distribuita in due tempi. Il primo manda in cielo la mongolfiera della "terzietà" e apre la strada a un direttore sul quale c'è riserbo assoluto per la semplice ragione che non hanno un nome condiviso. Anche le signore milanesi e gli uscieri di via Solferino che vivono la vicenda Rcs come il Festival di Sanremo, non sono in grado di dire chi prenderà il posto dell'allievo di Renzo De Felice. Dopo la premura c'è la paura ed è qui che scatta per gli azionisti del Patto Rcs il bisogno di mettere rapidamente a posto la corazzata del "Corriere" e il pianeta dei suoi giornali. I conti non tornano ma di questi se ne parlerà all'Assemblea di fine aprile dove in ballo è la poltrona di Antonello Perticone, il cui contratto in scadenza non è stato rinnovato. I problemi economici del Gruppo non sono molto diversi da quelli degli altri editori. È noto ad esempio che per risparmiare carta la "Repubblica" ridurrà di 3 cm e di 1-1,5 l'altezza e la larghezza del giornale. La foliazione diventerà rigidissima ed è altrettanto certo che stanno per essere eliminate tutte le collaborazioni esterne, anche se al "Corriere" ci stanno andando con mano meno pesante. Ma soprattutto sono intese le voci sugli incontri che i manager dei due gruppi di via Solferino e di De Benedetti, stanno dialogando per concordare insieme il sacrificio dei costosi allegati e delle promozioni che rappresentano un bagno di sangue. L'ultimo incontro sarebbe avvenuto venerdì ai margini di una riunione che si è svolta a Roma presso la Fieg, la Federazione degli Editori convocata per fare il punto sulle trattative del rinnovo del contratto con i giornalisti. Mentre la mongolfiera di Mieli sta per alzarsi su Milano, il popolo che lavora nella carta stampata si aspetta mobilità, prepensionamenti, lacrime e sangue. Lo tsunami è già cominciato.

09/03/2009

Documento n.7797

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