QUESTIONE MORALE: IL PLAZZO TEME L'ASSEDIO ! SE ARRIVASSE LA BUFERA SUL PD...

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WWW.CORRIERE.IT Il Palazzo teme l'assedio: arriva la bufera I boatos su nuove mosse della magistratura nei confronti dei massimi esponenti del Pd ROMA — «Noi non accettiamo di farci intimidire». Perché anche lei ha sentito i boatos di Palazzo che danno per imminente un coinvolgimento dei vertici del Pd nel tritacarne giudiziario, «anche a me sono giunte certe voci», dice il ministro ombra Linda Lanzillotta. Sono le stesse voci che la cattolicissima Paola Binetti — con agganci porporati oltre Tevere — aveva sussurrato di buon mattino a un deputato laziale rimasto senza fiato: «La procura di Roma sta per muoversi. Tu capisci...». Ovviamente ha capito. Non sarà una nuova Tangentopoli, ma i meccanismi somigliano a quelli che negli anni Novanta spazzarono via un'intera classe dirigente. Certo, c'è chi prova a sdrammatizzare, come Ermete Realacci, che ha dovuto calmare la sua segretaria in preda al panico: «Onorevole, c'è un ispettore di polizia qui fuori che la cerca». «Fallo entrare, sarà venuto per gli auguri». Il venticello che è tornato ad alzarsi dopo tanto tempo, scatena nel Pd sentimenti contrapposti. Anche Realacci ha sentito uno strano refolo, «se così fosse, se puntassero a colpirci ai massimi livelli, allora reagiremmo con fermezza. Perché non tutto quel che ha fatto la magistratura si è poi rivelato fondato». Ieri nell'Aula di Montecitorio i deputati democratici hanno prestato più attenzione alla lettura delle intercettazioni pubblicate dai giornali che alle votazioni sui decreti. La sensazione dell'assedio ha richiamato alla mente di Luigi Nicolais le difficoltà politiche di Veltroni: «Povero Walter, sta preso dai turchi». Quel modo di dire meridionale rende l'idea dell'accerchiamento: «E noi siamo preoccupati. Ma cosa possiamo fare? Siamo prigionieri — giustamente a mio avviso — della nostra linea. Abbiamo sempre combattuto contro la strategia berlusconiana dell'attacco ai magistrati. Ora dovremmo metterci in scia? Perderemmo tutto». Ma non tutti la pensano a quel modo nel Pd. La Lanzillotta ritiene che proprio assoggettandosi al giustizialismo «il partito perderebbe, perché si mostrerebbe impotente»: «Per questo va separato l'aspetto giudiziario da quello politico, va spiegato che noi non ostacoleremo le inchieste, ma che al tempo stesso ci impegneremo per contribuire al varo di una riforma della magistratura. Senza una riforma condanneremmo il Paese all'immobilismo per altri vent'anni». Lo dirà anche oggi alla direzione del Pd: «Servono le riforme». La sua, quella sui servizi pubblici locali, non vide la luce «ostacolata come fu, in modo trasversale, anche da alcuni dei personaggi che ora sono coinvolti nelle inchieste». Quella vischiosità la riconosce oggi nei boatos su nuove iniziative giudiziarie che riguarderebbero i massimi esponenti del Pd. Quelle voci sono interpretate insomma come un segnale: «D'altronde — chiosa maliziosamente — ci sono tanti pezzi di potere in Italia che fanno resistenza al cambiamento». Raccontano che Veltroni non citi mai la parola complotto, ma parli di «singolari coincidenze». E comunque l'affanno dei democratici si coglie nel linguaggio del corpo, nelle frasi lasciate a metà, nell'assenza di solidarietà che Salvatore Margiotta misura non su se stesso ma «sull'amico Lusetti». La Camera aveva appena votato contro l'autorizzazione all'arresto del deputato, coinvolto nell'inchiesta sul petrolio lucano. Dunque Margiotta avrebbe potuto limitarsi a poche parole di circostanza, invece ha rivolto un pensiero «a Renzo»: «Perché appena Italo Bocchino è stato tirato dentro le vicende giudiziarie in Campania, Ignazio La Russa è intervenuto in sua difesa. Per Renzo, Renzo Lusetti, nessuno ha speso una parola nel Pd». C'era un misto di sconforto e di comprensione: «Io li capisco i miei, però... Evito di pensare ai teoremi per non impazzire, ma... Certo, la preoccupazione che su certe vicende si parta dal territorio per arrivare a Roma...». I democratici sono posti dinnanzi a un bivio, anzi secondo il politologo Gianfranco Pasquino, i crocevia sono due: «Il primo è che il Pd ha problemi con la giustizia e farebbe meglio a riconoscerli, se non vuol perdere la credibilità rimasta. Per esempio, sarebbe stato meglio se Massimo D'Alema avesse autorizzato l'uso delle intercettazioni che lo riguardavano sul caso Unipol. Il secondo crocevia è decisivo: se il Pd pensasse di risolvere la questione con una collusione politica con il Pdl, si autodistruggerebbe e non ci sarebbe più un'alternativa di governo al centrodestra, perché il campo del centrosinistra sarebbe dominato da Antonio Di Pietro». Gli scranni dei deputati democratici confinano con quelli dell'Idv, ma è come se tra i due gruppi ci fosse ormai un check point Charlie. Perciò in pochi si sono accorti che la dipietrista Silvana Mura porta sul viso il segno dello scontro politico con gli «alleati». Quel livido sulla guancia è una metafora: gliel'ha provocato un faldone pieno di firme per il referendum contro il lodo Alfano che le è caduto addosso. L'Idv è il gemello siamese da cui il Pd vorrebbe staccarsi. Ma non può farlo né dirlo, così tocca a Francesco Cossiga spiegare quel che i democratici osano appena sussurrare. E cioè che «i magistrati stanno aiutando Di Pietro, l'unico che può chiedere loro di non infierire sul Pd. L'unico a cui danno ascolto e anche una mano. Perché nelle inchieste — spiega Cossiga — i pm si fermano davanti all'Idv. Mi dicono che a Napoli avevano trovato qualcosa su qualcuno, ma non si sono mossi. D'altronde Tonino li difende, e loro devono pur avere un partito di riferimento in Parlamento...». Francesco Verderami

19/12/2008

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