ORA TREMONTI NON TRAMA MA TREMA: ISOLATO DAL PDL, SOSTENUTO SOLO DA BOSSI (LA LEGA NICCHIA), GIULIETTO CHINA IL CAPINO E INCONTRA PROFUMO DI PASSERA

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ORA TREMONTI NON TRAMA MA TREMA: ISOLATO DAL PDL, SOSTENUTO SOLO DA BOSSI (LA LEGA NICCHIA), GIULIETTO CHINA IL CAPINO E INCONTRA I NEMICI PIù INTIMI (PASSERA E PROFUMO) - MA LA SUA DEBOLEZZA TRASPARE IN ENI E ENEL: anche se il ministero ne è azionista, i vertici rispondono di fatto a Silvio o a Letta... Francesco Bonazzi e Stefano Feltri per "il Fatto Quotidiano" Giulio Tremonti ieri era a Milano, per uno dei pochi appuntamenti rimasti sulla sua agenda dopo che, per sfuggire alle domande sulle polemiche di questi giorni, li ha disdetti quasi tutti. Ieri doveva presentare un libro su John Maynard Keynes (il più autorevole teorico della spesa pubblica, considerata in questi giorni un'esclusiva dello schieramento anti-tremontiano) ma non è andato, anche se avrebbe potuto duettare con Mario Monti. É da venerdì che in via XX Settembre hanno scelto il profilo basso, bassissimo, almeno fino all'inevitabile Giornata mondiale del risparmio che si terrà giovedì a Roma, a cui Tremonti non può sottrarsi anche se lì si troverà a confronto con il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. Proprio Draghi, secondo una tesi giudicata da tutti fantasiosa ma interpretata come un messaggio politico, è indicato da Vittorio Feltri sul "Giornale" come un possibile sostituto di Tremotni. A Milano Tremonti ha incontrato Corrado Passera, il capo operativo di Intesa Sanpaolo, con cui ha un rapporto altalenante, soprattutto dopo che il banchiere ha pubblicamente sconfessato la Banca del Mezzogiorno e ha rifiutato il sostegno dei Tremonti-bond. I due si sono visti alle 12, in un incontro a due. Poi il ministro ha pranzato con Alessandro Profumo , amministratore delegato di Unicredit, e con Giuseppe Guzzetti, il presidente della Fondazione Cariplo e dell'Acri, l'associazione di casse di risparmio che organizza il convegno di giovedì. Per ragioni di opportunità, in questa fase è meglio non far incontrare Passera e Guzzetti, visto che l'anziano avvocato è indicato da molti come il regista delle manovre per far saltare la poltrona del consigliere delegato di Intesa. "Si è trattato di uno dei periodici incontri con il mondo economico e finanziario", si è limitato a dire il ministro. Sarà. Ma di sicuro non è dato sapere se anche con loro Tremonti si sia sfogato, come fa in questi giorni con chi lo sostiene. Sia a Berlusconi che ai partner leghisti, ha agitato la minaccia di un declassamento del "downrating" (crasi per "downgrading" e calo del rating) del debito italiano, per la perdita di fiducia dei mercati nella solidità della finanza pubblica. Se succede, il costo del debito si impenna - ha ammonito - ed è difficile tagliare l'Irap se gli interessi sul debito costeranno diversi miliardi in più. Ne avrebbe anche discusso con Joaquin Almunia, il commissario europeo agli Affari monetari che non è mai stato troppo ostile al governo Berlusconi. "Non ho mai chiesto di essere fatto vicepremier", prova a spiegare in queste ore dopo il fallimento della trattativa con cui Tremonti aveva provato a consolidare la propria posizione domandando una promozione che sancisse la sua preminenza, anche formale, sul resto del governo. Invece l'unico risultato è che oggi è considerato ministro in quota leghista, visto che perfino al vertice di sabato ad Arcore si è presentato con i suoi due sponsor principali, Umberto Bossi - "era invitato anche lui", pare che ripeta sempre Tremonti in queste ore, per smentire che sia stata una sua (minacciosa) iniziativa presentarsi con il Senatùr- e Roberto Calderoli. Ed è proprio Bossi a rendere inutili le smentite del ministro dell'Economia. Anche ieri ha ribadito: "Tremonti sarà vicepremier". La debolezza esterna di Tremonti pare abbia conseguenze anche dentro le mura del ministero. Nei corridoi si racconta di una recente sfuriata al direttore generale Vittorio Grilli, accusato dal ministro di non curare a sufficienza i rapporti con i fondi di investimento americani e inglesi che hanno quote delle aziende partecipate dal Tesoro (vedi il caso Eni, con il fondo attivista Knight Vinke che ha contestato la gestione di Paolo Scaroni davanti a mezza Milano). In questo periodo le grandi partecipate sono fonte di pensieri per Tremonti, perché anche se il ministero ne è azionista, i vertici rispondono di fatto a Palazzo Chigi, a Silvio Berlusconi o a Gianni Letta, mentre in Via XX settembre riescono a esercitare la loro influenza. E adesso che la posizione di Tremonti è sempre più fragile e che i suoi migliori sostenitori sono quei leghisti che vorrebbero pesare di più nelle partecipate, il ministro comincia a capire di avere più di un problema

27/10/2009

Documento n.8259

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