LA LUNGA CRISI ITALIANA E LA VACUITA' DEL GOVERNO

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La Repubblica IL COMMENTO La crisi italiana e il cane di Pavlov di MASSIMO GIANNINI Sappiamo già cosa dirà ora il presidente del Consiglio. Ripeterà che "il nostro sistema bancario è sano". Che "se anche il Pil torna ai livelli del 2006, allora non si stava poi tanto male". E così via, alternando processi lacaniani e riflessi pavloviani. Ma il nuovo lunedì nero delle Borse mondiali, e l'ennesima caduta verticale del Prodotto lordo italiano, dimostrano una sproporzione sempre più clamorosa tra la gravità della crisi e la vacuità del governo. Nessuno può dare la colpa a Berlusconi, se in un solo giorno i mercati europei bruciano 200 miliardi di euro, Milano rompe gli argini per il fiume di vendite che travolge i titoli creditizi, Londra crolla di schianto al cospetto della colossale richiesta di ricapitalizzazione della Hbsc, e Wall Street vacilla di fronte alla gigantesca iniezione di liquidità richiesta da Aig. È la tempesta finanziaria, bellezza. Nessuno può dare la colpa a Berlusconi, se la crescita dello scorso anno si rivela addirittura peggiore delle peggiori previsioni già riformulate dal Tesoro, e se il Pil del 2008, invece di flettere "solo" dello 0,6%, segna un meno 1%. Dalle elezioni politiche del 13 aprile scorso, il Cavaliere non ha governato abbastanza per poter fare così tanti danni in così pochi mesi. E' la recessione economica, bellezza. Eppure, in tutti e due i casi non ci si può limitare a una strategia di determinismo passivo, o peggio ancora di illusionismo corrivo. A chi continua a perdere soldi in Piazza Affari, in molti casi per l'ingordigia degli operatori dei "borsini" o per l'imperizia delle autorità di vigilanza, non puoi solo dire "non ci posso fare niente". A chi continua a perdere il lavoro in azienda, in molti casi senza più lo straccio di un sussidio, non puoi più dire "non è vero niente". Questa è la vera colpa del governo. Non vedere, o fingere di non vedere, che la crisi sta ormai cominciando a mordere la carne viva della società italiana. Il "grasso" (cioè l'economia sommersa e il lavoro nero, che hanno salvato tante volte il Belpaese) si sta consumando velocemente. Il sedicente "pacchetto" di misure anti-crisi era già inconsistente quando è stato varato, all'inizio di autunno. Oggi, di fronte all'avvitarsi della spirale "collasso finanziario-paralisi industriale", mantenerlo inalterato non appare solo politicamente irresponsabile, ma anche socialmente insostenibile. L'offensiva del Pd sull'assegno di disoccupazione può essere giudicata parziale, imprecisa, a sua volta insufficiente. Ma l'affondo di Dario Franceschini, che sfida il premier a un pronunciamento parlamentare, ha un grande pregio. Tocca un nervo oggettivamente scoperto dell'inazione politica del governo. Lo mette in mora su un tema cruciale: non quello del vecchio assistenzialismo preteso da milioni di lavoratori garantiti e magari anche "fannulloni" (come vuol far credere una certa propaganda di destra), ma quello della nuova condizione vissuta di circa 3 milioni e mezzo di lavoratori precari, che a decine e decine di migliaia stanno perdendo la propria occupazione e si ritrovano dall'oggi al domani senza alcuna copertura sociale. E lo costringe ad arroccarsi, e ad usare un'arma difensiva che costò lacrime e consensi al centrosinistra che a suo tempo si definì "tecnocratico": il rigore contabile. Nessuno può ironizzare, sul tema delle risorse disponibili. Anche in tempi di crisi, resta vero che nessun pasto è gratis. Ma di fronte al dramma di tanti giovani e di tante famiglie, l'intangibilità draconiana del bilancio pubblico rischia di essere "stupida" come lo fu, in certi periodi, l'interpretazione statica del Trattato di Maastricht. Come ha dimostrato Tito Boeri su questo giornale, a saldi invariati ci sarebbero già ora risorse disponibili per finanziare un serio apparato di sostegni alla nuova disoccupazione. Ma si potrebbe persino azzardare di più, raccogliendo la richiesta del presidente di Confindustria Marcegaglia e la proposta del leader dell'Udc Casini: una vera riforma degli ammortizzatori sociali da collegare a una vera riforma della previdenza, ritoccando una volta per tutte i trattamenti di anzianità e l'età pensionabile delle donne. Ai tempi del governo Ciampi del '93, si sarebbe parlato di un "nuovo, grande patto tra le generazioni". Ma di quell'ambizione politica, e di quella forza ideale, in questo governo berlusconiano del 2009 non si vede la benché minima traccia.

03/03/2009

Documento n.7788

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