LA GRANDE GUERRA DEL CAPITALISMO.PROFUMO: RIGETTA L’ASSE GERONZI & BAZOLI E CERCA UN RUOLO DA PROTAGONISTA

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LA GRANDE GUERRA PER RIDISEGNARE IL POTERE IN ALITALIA, TELECOM, RCS, GENERALI PROFUMO RIGETTA L’ASSE GERONZI & BAZOLI E CERCA UN RUOLO DA PROTAGONISTA IN MEDIOBANCA STAT VIRUS GENERAZIONALE CHE VEDE IN CAMPO DRAGHI E BERNABE’ GERONZI - PROFUMO - DRAGHI - BERNABE' Il jet privato che come ogni settimana parte dall’aeroporto di Ciampino per portare Cesare Geronzi a Milano, si è alzato in volo intorno alle 11. Solitamente sul piccolo aereo a noleggio prendono posto anche l’amico di sempre Franco Carraro e Carmine Lamanda, il banchiere salernitano che è stato direttore generale di Capitalia e adesso siede nel board di Unicredit. Nei 40 minuti che occorrono per raggiungere Linate, Cesarone si diverte a sfottere amabilmente l’amico Lamanda a cui è legato dai tempi in cui lavoravano in Banca d’Italia. È probabile tuttavia che stamane sul jet l’aria sia stata particolarmente pesante perché i giornali sparano a titoli cubitali il veto che Alessandro Profumo ha messo di fronte al progetto di Geronzi di concentrare nelle sue mani tutto il potere di Mediobanca. Fino a ieri sembrava che i soci di Piazzetta Cuccia (Unicredit compreso) convocati per mercoledì prossimo, avrebbero accettato senza battere ciglio il blitz del banchiere di Marino deciso a far saltare per aria quel sistema di governance duale che ai suoi occhi rappresenta soltanto un accrocco nella gestione delle imprese. L’improvviso cambiamento di rotta di Alessandro Profumo e del presidente tedesco Dieter Rampl, fa salire la temperatura nel tempio che Enrico Cuccia fondò in un caldo ferragosto del 1944. La mossa di Profumo, che ha cambiato opinione nello spazio di 48 ore, spariglia i giochi e rappresenta un inatteso assist per Alberto Nagel, Renato Pagliaro e gli altri manager che non accettano di essere messi alla porta dal “romano” Geronzi. È una mossa sorprendente e del tutto inattesa perché anche il banchiere di Unicredit non aveva risparmiato nei mesi scorsi critiche sottili alla lentezza con cui Mediobanca affrontava i grandi temi della finanza e dell’economia, primi fra tutti quelli di Alitalia, Telecom e Generali. Già venerdì scorso Dagospia aveva raccolto nei bar intorno a via Nazionale, la voce che il Governatore della Banca d’Italia avrebbe tentato di bloccare l’operazione. In realtà Draghi non ha mai sposato con entusiasmo l’idea dell’accrocco, cioè la presenza di un Comitato di sorveglianza e di un Comitato di gestione come modello ideale per governare le banche, e anche durante l’ultima Relazione del 31 maggio si era tenuto alla larga da un giudizio definitivo sul funzionamento di questo modello. Adesso c’è chi vede nella mossa di Profumo (secondo azionista di Mediobanca con l’8,66% delle azioni) qualcosa di più di un tentativo di “smarcarsi” rispetto agli altri soci del salotto di Piazzetta Cuccia, e qualcuno parla apertamente di un asse di ferro tra il Governatore e l’ex-boyscout di Genova che l’11 giugno dell’anno scorso salutò con parole entusiaste la designazione dell’amico Geronzi al vertice della banca d’affari. Quello che si presenta davanti agli occhi è un autentico scontro di potere tra pezzi da novanta della finanza italiana, uno scontro destinato a lasciare tracce profonde nei rapporti del sistema economico e politico. Perché un fatto è certo: con la sua mossa improvvisa Cesarone Geronzi non ha manifestato soltanto la volontà di dare una scossa alla gestione “burocratica” di Nagel e Pagliaro, ma un tentativo di ridisegnare l’intera geografia del potere in vista delle grandi partite d’autunno. Per oltre un anno il 73enne banchiere di Marino è andato su e giù con il jet a noleggio e ha cercato di prendere confidenza con i Longobardi, una specie del tutto estranea al suo codice genetico e professionale. Eppure, non si può dire che al suo arrivo a Milano gli eredi di Cuccia e di Maranghi non si fossero messi sull’attenti con devozione e attenzione. E la stessa attenzione veniva rivolta all’ex-presidente di Capitalia quando nei migliori ristoranti milanesi i camerieri si facevano in quattro per costringerlo a ingoiare l’ossobuco, il piatto simbolo della gastronomia locale. Sulle prime Geronzi è rimasto inorridito di fronte a questa pietanza amalgamata dalla “gremolada”, il trito finissimo di scorza di limone, prezzemolo e acciuga che insieme alla cipolla riesce a dare un sapore particolare al risotto giallo. Per l’uomo di Marino che ha superato tante prove nella sua vita ed è stato abituato a colazioni frugali nel salottino al quarto piano di via Minghetti, l’ossobuco alla milanese gli ha fatto rimpiangere per mesi le fettuccine con i funghi della moglie Giuliana e l’abbacchio al forno preparato con amore da Barnabò Bocca, l’albergatore che ha sposato nel dicembre scorso la figlia Benedetta. Poi, piano piano, Geronzi ha cominciato a svuotare il midollo finché un giorno ha preso in mano l’osso di vitello e portandolo agli occhi si è accorto che dentro c’era ben poco. È stato a questo punto che Cesarone ha deciso di fare il suo affondo perché ha capito che dentro e fuori il tempio di Piazzetta Cuccia avrebbe potuto riempire i piatti con pietanze più robuste e adatte al nuovo clima politico. In questa decisione hanno avuto un peso determinante l’esito delle elezioni con il successo dell’amico Silvio, la crescita di Tremonti a “dittatore dell’economia”, e il recupero del feeling con Abramo-Bazoli, l’altro Grande Vecchio di BancaIntesa che non ha alcuna intenzione di farsi emarginare dal risiko bancario. Per Geronzi la nuova geografia della finanza italiana è disegnata su quattro punti cardinali: Berlusconi, Tremonti, Draghi e il presidente di Mediobanca. È questa la bussola che ha orientato il progetto di riordino e di rilancio di Piazzetta Cuccia dove – come ha scritto il “Financial Times” – i ragazzi Nagel e Pagliaro si sono mossi bene, ma al di sotto delle aspettative. Agli occhi di Cesarone una banca di “sistema” non può rimanere invischiata nella burocrazia di due comitati che frenano l’unità di comando. Una banca di “sistema” non può accettare che una partita delicata come quella di Alitalia venga rosolata da un Corrado Passera qualunque con l’unica certezza dello slogan inventato dal Cavaliere: “io amo l’Italia, io volo Alitalia”. Questa è roba da far ridere i polli e nel momento in cui i “ragazzi” ex-McKinsey ed ex-Bocconi (come Passera, Nagel, Pagliaro) sembrano pettinare le bambole intorno a problemi più grandi di loro, ecco affiorare l’uomo di potere che per 50 anni ha gestito trame delicate e si è abbeverato alla scuola di Giulio Andreotti. Ma c’è di più, perché tra i soci del salotto buono di Piazzetta Cuccia ci sono realtà come Benetton, Bollorè e Generali che stanno versando sangue per colpa di Franchino Bernabè e della sua Telecom. Sono soci pesanti che non possono aspettare più di tanto la soluzione dei problemi Alitalia e di quelli Telecom perché hanno il fiato sul collo del Cavaliere impunito che li vorrebbe pronti a difendere l’italianità a qualsiasi prezzo. Eppure non più tardi del 5 giugno scorso fu proprio Geronzi a incoraggiare Bebè Bernabè nel suo piano industriale. Parlando a Firenze davanti a 300 ragazzi il banchiere romano disse testualmente: “ora è il tempo di mettere mano ai problemi e nessuno meglio di Franco Bernabè può farlo. Vai Franco, dai Franco!”. Vai Franco, vai a casa se necessario, prima che il giovane Fossati e Cesar Alierta portino Telecom in terra spagnola. Vai, Franco, tira fuori dal cassetto qualche idea folgorante prima di buttare in mezzo alla strada 5.000 dipendenti e portare il titolo sotto 1 euro. Così la pensa Geronzi mentre a Palazzo Chigi c’è un signore dai capelli asfaltati che non è un campione di fedeltà matrimoniale (anche se ostenta fotografie affettuose con la moglie Veronica), ma ha in testa l’idea di uno sposalizio vincente tra Telecom e Mediaset. Cesarone è consapevole di questi desideri dell’amico premier e ne è l’interprete più fedele. Quando si trattò di scegliere il nuovo amministratore delegato di Telecom, per lui il profilo ideale era quello di Paolo Dal Pino, l’ex-braccio destro del faraone Sawiris, poi dietro le pressioni che arrivarono da più parti fece buon viso davanti alla nomina del prodiano Bernabè, caldeggiata da Angelone Rovati e dagli ambienti americani. Tutto questo appartiene a un passato che bisogna rimuovere con uno scossone a Piazzetta Cuccia, che rimetta Mediobanca al centro del sistema in modo da arrivare su quella poltrona delle Generali che sarebbe la conclusione gloriosa di un eccezionale cursus honorum. L’ossobuco alla milanese è pieno di intenzioni e il midollo succulento è un impasto di potere che butta a mare quel sistema duale disegnato con pazienza dal notaio Pier Gaetano Marchetti, ed è quest’ultimo che pur avendo voluto la scelta del duale anche contro le opinioni di Guido Rossi e le ambiguità di Draghi, ha riscritto in queste ore l’ipotesi di nuovo statuto per la banca d’affari milanese. Marchetti ce la mette tutta anche se sa benissimo che ha perso il ruolo di grande negoziatore tra i tanti interessi privati presenti nella creatura di Enrico Cuccia. Non bisogna dimenticare infatti che il notaio dalla cravatta rossa è presidente di Rcs Mediagroup, un altro tassello fondamentale del potere sul quale Geronzi vuole avere una parola decisiva. Il blitz improvviso di Alessandro Profumo rischia di scompaginare gli ingredienti della “strategia dell’ossobuco” e di svuotarne il midollo rimandando tutto a settembre. È evidente che il banchiere di Unicredit non accetta la logica dei grandi vecchi (Geronzi e Bazoli) e come scrive il “Financial Times” di oggi pensa che “la sfida maggiore sia sul mercato italiano dove oggi 1.000 clienti corporate (un quarto del totale) generano negatività per la banca”. Profumo rifiuta la nuova geografia del potere e cerca un ruolo da protagonista. È finito il tempo dei complimenti quando in un salone di Palazzo De Carolis a Roma, l’ex-boyscout di Genova e Geronzi brindarono alla fusione Capitalia-Unicredit scambiandosi baci sulle guance. A partire da oggi pomeriggio scatteranno tentativi di mediazione per tenere a bada i manager ribelli rispetto ai quali Geronzi può tirar fuori dal cilindro banchieri quasi insonni come Claudio Costamagna e altre carte a sorpresa. In ballo non c’è solo l’eredità di Cuccia, ma la leadership di una finanza dove si decide lo scontro tra due generazioni e un assetto di potere funzionale al nuovo corso politico che deve essere “decisionale” e almeno in apparenza “ecumenico”. Ne vedremo delle belle. Dagospia 28 Luglio 2008

28/07/2008

Documento n.7436

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