Il danno in re ipsa nell’illegittima segnalazione alla Centrale dei Rischi. Avv. A. Tanza

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Il danno in re ipsa nell’illegittima segnalazione alla Centrale dei Rischi Articolo di Antonio Tanza 14.03.2006 (intervento al convegno “La tutela del Consumatore – Nuovi orizzonti delle professioni” Napoli -13 marzo 2006) La segnalazione dell’indebitamento dell’utente dei servizi bancari che effettua la banca alla Centrale dei rischi presso la Banca d’Italia implica una valutazione da parte dell’intermediario finanziario della complessiva situazione economico-finanziaria del cliente e l’eventuale segnalazione dello stesso cliente nei c.d. crediti ad incaglio o peggio ancora a sofferenza non può, come invece spesso accade, scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito o del presunto debito. Il problema, ovviamente, non è l’indiscusso dovere di effettuare la segnalazione, ma come si segnala. Ora, il danno da errata segnalazione a Centrale dei rischi si profila sia nell’ipotesi di c.d. errore nella segnalazione di categoria (cioè a sofferenza e non ad incaglio, ecc..) che nel c.d. errore di quantificazione della presunta esposizione. Più grave è il primo errore, in quanto comporta la preclusione del credito, mentre il secondo comporta, nell’ipotesi più lieve, una saturazione del credito, sino all’effettiva impossibilità di ottenere credito. Ovviamente, nella maggior parte delle volte, gli errori convivono. Una segnalazione erronea di un credito a “sofferenza”, effettuata da un Istituto di Credito alla Centrale Rischi, è idonea a determinare una lesione del diritto di impresa, potendo creare difficoltà insormontabili all’imprenditore che voglia accedere al credito bancario o potendo determinare la revoca di quello già concesso (Trib. Brindisi 20 luglio 1999, T.F. Tecnologie per il Futuro/Banca del Salento, in www.studiotanza.it). In un sistema informativo generalizzato, infatti, teso proprio a consentire a tutti gli aderenti del circuito bancario la possibilità di valutare i rischi dell’affidamento richiesto, l’eventuale segnalazione di una posizione a rischio, con connessa rilevante difficoltà di andare a verificare le effettive cause, comporta un effetto a catena di mancati affidamenti o, peggio, di revoca di quelli già concessi. Vi è di più: una errata segnalazione può incidere sul regime di libera concorrenza e sullo stesso sistema creditizio; il mancato accesso al credito di un’impresa o la revoca degli affidamenti porta ad avvantaggiare le altre imprese operanti nel medesimo settore, cosi come può essere fuorviante per le stesse altre banche, condizionandone la loro politica economica (Trib. Brindisi 20 luglio 1999, T.F. Tecnologie per il Futuro/Banca del Salento). Pertanto, l’illegittimo blocco della ordinaria situazione generale di credito del ricorrente, e quindi della relativa situazione patrimoniale complessiva, l’impossibilità di ottenere da un giorno all’altro ogni finanziamento o movimentazione del credito indispensabile per l’ordinaria gestione dell’azienda, comporta l’effettivo e scontato “collasso” nella ordinaria gestione dell’azienda, con irrimediabile danno morale ed economico dovuto alla perdita di immagine, di competitività sul mercato, di ordinaria gestione di cassa, con evidente possibilità di addivenire quindi a posteriori e senza colpa alcuna ma per esclusiva responsabilità della Banca, in quella situazione di insolvibilità che causerebbe inevitabilmente il fallimento dall’azienda e la conseguente perdita di posti di lavoro. E’ evidente che la banca che accede alla lettura della Centrale dei rischi non ha la materiale possibilità di sapere che la collega segnalante è in causa con l’utente e, sempre più spesso, debitrice nei confronti dello stesso: il dato formale diffuso agli intermediari dalla Centrale Rischi, in effetti, ha prevalenza sul dato sostanziale. D’altro canto il danno dell’ingiusta lesione del diritto di immagine ed alla reputazione (cfr. Trib. Savona 3 aprile 2002 n. 1139 G.U. Dott. Caneparo, in www.studiotanza.it) della florida azienda ed il danno dell’ingiusta collocazione della stessa al di fuori del normale circuito creditizio, e quindi delle ordinarie regole di mercato, ben possono e devono essere considerati “danni irreparabili”, se non altro in quanto beni di impossibile esatta valutazione economica anche nella fase ordinaria del giudizio. La responsabilità degli istituti di credito per informazioni inesatte che abbiano portato ad una illegittima segnalazione in Centrale dei Rischi, è facilmente desumibile anche dal Foglio Informativo della Centrale dei Rischi medesima, laddove al paragrafo 5.4, stabilisce che “i dati registrati negli archivi della Centrale dei Rischi derivano dalla elaborazione automatica delle segnalazioni trasmesse dagli intermediari partecipanti al servizio, ai quali compete pertanto la responsabilità circa la esattezza delle stesse”. Il danno da informazione inesatta non si esplica soltanto nella mancata concessione di nuove linee di credito (danno patrimoniale) ma anche alla lesione della reputazione personale e commerciale, pregiudicata da un’erronea segnalazione che certamente costituisce causa di discredito del soggetto coinvolto, tanto più ove il discredito avvenga all’intero del sistema creditizio il quale fa fronte comune nella (di norma giustificata) difesa dagli insolventi o da chi è ritenuto tale anche da uno solo degli aderenti. Difatti “la segnalazione di una "sofferenza" non più esistente, conferendo pubblicità interbancaria ad un non reale protrarsi dell’insolvenza del debitore, è destinata ad assumere rilevanza peculiare in un’ottica commerciale ed imprenditoriale, risolvendosi in una complessa vicenda di indubitabile discredito patrimoniale, idonea a provocare un danno anche della reputazione imprenditoriale del segnalato. In tal caso è ipotizzabile una responsabilità dell’azienda di credito verso il cliente ingiustamente, e quindi antigiuridicamente, segnalato alla Centrale dei Rischi” (Trib. Bari, sez. I, G.U. dott. Cirillo, sent. del 22 dicembre 2000). Si determina in questo caso un danno che si ritiene in re ipsa e che legittima pertanto il diritto al risarcimento senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova dell’esistenza del danno (Cass. civ., Sez. III, sent. n. 4881 del 19/01/2001; Cass. civ. sent. n. 1103 del 05/11/1998). Tale orientamento è stato seguito dal Tribunale di Milano, che sul punto si è così pronunciato: “L’accertamento di una lesione della onorabilità della persona determina in re ipsa anche l’accertamento di un danno risarcibile, da liquidarsi equitativamente indipendentemente dalla prova di un concreto nocumento agli interessi commerciali e patrimoniali del soggetto leso” (Trib. Milano, ord. 19 febbraio 2001). La segnalazione alla Centrale dei rischi presso la Banca d’Italia, a cui tutto il sistema bancario è tenuto per legge, risulta quasi sempre del tutto illegittima poiché il saldo effettivo è differente da quello denunciato dalla Banca: il danno è pari a quello dell’illegittimo protesto e per la quantificazione dello stesso spesso l’utente non può che rimettersi alla Giustizia. La prova del danno da errata segnalazione a centrale dei rischi è, infatti, difficile da provare: le banche non rilasciano alcuna attestazione di diniego dell’affidamento. Tuttavia è altrettanto pacifico che una segnalazione negativa in Centrale determina la chiusura del credito: l’imprenditore che riesce a documentare i danni è rarissimo. Ecco perché la Magistratura più obiettiva ricorre, oramai, ad una liquidazione equitativa del danno da erronea segnalazione alla Centrale dei rischi. Seguono alcune recentissime pronunce in tal senso: Tribunale di Lecce, Sez. di Campi Salentina, Dott. Nocera, sentenza del 21 ottobre 2005 dal secondo cui: (…) “Quanto alla domanda risarcitoria per illegittima segnalazione alla Centrale Rischi presso Banca d’Italia spiegata dagli attori, lo scrivente ritiene che la stessa non sia stata sufficientemente provata. Occorre comunque rilevare come si sta facendo strada un nuovo orientamento giurisprudenziale, che codesto Giudicante ritiene di condividere, che partendo dall’assunto che <> (Trib. Bari, sez. I, G.U. dott. Cirillo, sent. del 22 dicembre 2000, da ultimo si veda altresì Tribunale di Roma, 25 novembre 2004, n. 31484, Corte d’Appello di Milano, 4 novembre 2003, Presidente Urbano, Tribunale di Milano, 17 marzo 2004, G.U. Formica) ritiene determinarsi in questo caso un danno in re ipsa e che legittima pertanto il diritto al risarcimento senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova dell’esistenza del danno (Cass. civ., Sez. III, sent. n. 4881 del 19/01/2001; Cass. civ. sent. n. 1103 del 05/11/1998). E tale orientamento è stato seguito dal Tribunale di Milano, che sul punto si è così pronunciato: “L’accertamento di una lesione della onorabilità della persona determina in re ipsa anche l’accertamento di un danno risarcibile, da liquidarsi equitativamente indipendentemente dalla prova di un concreto nocumento agli interessi commerciali e patrimoniali del soggetto leso” (Trib. Milano, ord. 19 febbraio 2001). E se non vi è dubbio che un’illegittima segnalazione provoca un danno all’attività imprenditoriale che deve essere provato, è altresì indiscutibile che la lesione della reputazione personale esime il soggetto leso dall’onere di fornire in concreto la prova del danno in quanto questo viene considerato in re ipsa. Il danno da informazione inesatta non si esplica soltanto nella mancata concessione di nuove linee di credito ma anche alla lesione della reputazione personale e commerciale, pregiudicata da un’erronea segnalazione che certamente costituisce causa di discredito del soggetto coinvolto, tanto più ove il discredito avvenga all’intero del sistema creditizio il quale fa fronte comune nella (di norma giustificata) difesa dagli insolventi o da chi è ritenuto tale anche da uno solo degli aderenti. E pertanto la richiesta di risarcimento danni da illegittima segnalazione può trovare accoglimento solo e esclusivamente con riferimento al danno alla reputazione e all’immagine patito agli odierni in quanto lo stesso considerato in re ipsa, non potendo invece essere risarcito alcun altro danno non essendo stata fornita la prova dello stesso. Il danno risarcibile viene determinato in via equitativa in un importo pari a €uro 1.000.”. (…) – integrale in www.studiotanza.it- Il Tribunale di Brindisi – Sezione distaccata di Ostuni, nella persona del Dott. Alberto MUNNO, nell’ordinanza n. 1 del 2006, emessa nel giudizio tra Sacol srl c/ Mps, concedeva a favore dell’utente l’ingiunzione ex art. 186 ter CPC, motivando tra l’altro (il testo intero è su www.studiotanza.it): (…) che la efficacia probatoria della relazione di CTU è ancor più valida per le ordinanze anticipatorie di condanna, costituendo esse un minus rispetto alla sentenza di cui tendono ad anticipare gli effetti; che la relazione di ctu depositata in data 23 settembre 2005 ha evidenziato in favore dell’attore un credito pari almeno ad euro 120.440,83 salva ogni altra diversa valutazione all’esito del giudizio di merito; che sussiste il pericolo di grave pregiudizio nel ritardo di cui all’art. 642 cpc, identificabile nel nocumento potenzialmente derivante al creditore dalla mancata disponibilità della somma, attesa la sua qualità di imprenditore commerciale ed i conseguenziali rischi connessi alla crisi di liquidità così derivante nei rapporti commerciali intrattenuti dall’imprenditore con altri creditori e fornitori, a sua volta potenzialmente foriera di inadempimenti ed insolvenza. (…) Il danno derivante all’utente dalle ingiuste azioni bancarie è anche mirabilmente descritto dal Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Frattamaggiore, con la sentenza n. 39 del 16 febbraio 2005, che ha così statuito: Per ciò che riguarda la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, spiegata dall’opponente in via riconvenzionale, occorre rilevare, in primo luogo, che ai sensi dell’art. 2043 c.c. qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno, dovendosi ritenere ammissibile anche il concorso tra una responsabilità contrattuale ed una extracontrattuale, non solo quando uno stesso fatto è imputabile a più autori, a diversi titoli, ma anche quando in capo ad una stessa persona danneggiata sussiste una molteplicità di situazioni protette, ossia quando un medesimo fatto viola contemporaneamente diritti derivanti dal contratto e diritti spettanti alla persona offesa indipendentemente dal contratto stesso (Cass. 96/418 – 95/2577). Nel caso in esame l’opponente ha lamentato che il …. SPA con la sua condotta illegittima ed in particolare con l’azione giudiziaria volta alla declaratoria di fallimento della …. – poi rigettata dal Trib. di Napoli – aveva arrecato un consistente pregiudizio all’immagine ed alla reputazione di detta società, nonché un rilevante danno non patrimoniale costituito dallo stress e dal patema d’animo subito in conseguenza dei fatti descritti nel presente giudizio. Ebbene, ritiene questo giudice che un’azione giudiziaria diretta alla declaratoria di fallimento in danno di una società, conferendo pubblicità ipso facto alla dedotta insolvenza del debitore, non è destinata ad assumere rilevanza soltanto in un ottica commerciale e/o imprenditoriale, ma si risolve in una più complessa vicenda- che si può rivelare di indubbio discredito – tanto personale, quanto patrimoniale, paventando l’esistenza di uno stato di dissesto della società debitrice dovuto alla sua evidente incapacità di far fronte ai pagamenti rateali pattuiti nei numerosi piani di rimborso. Ora dallo stesso tenore della motivazione resa dai giudici della sezione fallimentare del Tribunale di Napoli – i quali hanno constatato l’effettiva volontà della debitrice di adempiere alle proprie obbligazioni, nonché l’oggettiva insussistenza di uno stato d’insolvenza –si desume, in maniera chiara e pacifica, l’illegittimità dell’azione intrapresa dal … nei confronti della …. che ha comportato non soltanto una lesione dei diritti di quest’ultima, come quello alla reputazione, per cui il danno, da ritenersi in re ipsa, va senz’altro risarcito, senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova della sua esistenza, ma ha soprattutto determinato un rilevante pregiudizio all’immagine imprenditoriale di detta società, tenuto conto dell’attività svolta e dell’ambiente economico – commerciale nel quale essa viene esercitata trattandosi di un centro medio – piccolo, nel cui ambito la diffusione di informazioni di tal genere implicano la perdita di credibilità e di fiducia sul mercato. Ne consegue che, dovendosi procedere ad una valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dall’opponente il … Spa, filiale di Frattamaggiore, ora … Spa, quale mandatario della cessionaria … Spa, va condannato al pagamento della somma che appare adeguata di euro 77.648,55 (lire 150.000.000) a titolo di risarcimento danni cagionati alla ….” Ultimissima sentenza sul tema è quella del TRIBUNALE di LUCERA, Sezione distaccata di Apricena, che con sentenza del 3 marzo 2006 n. 30 (edita integralmente su www.studiotanza.it) che così dispone sul punto: ... tale orientamento risulta condivisibile, in quanto la Segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia integra in ogni caso la rappresentazione da parte della banca di un anomalia a carico del cliente nella gestione del rapporto negoziale, anomalia che seppur non possa essere automaticamente equiparata ad una indicazione di inslvenza o decozione del segnalato - comporta, in ambito creditizio, una palese rappresentazione sintomatica di una situazione di difficoltà economica, circostanza che - ove esportata con forme di pubblicità generalizzate; e qualora basata su una falsa ed illegittima rappresentazione della realtà - produce sicuramente ed in via automatica un danno all’immagine ed alla reputazione del singolo, a prescindere da ulteriori conseguenze relative all’attività commerciale ove concretamente svolta. Per tali morivi, la domanda deve essere accolta, potendosi ritenere congrua una liquidazione del danno nella misura di complessivi euro 1.500,00 in favore di entrambe gli attori, con vincolo solidale, somma già valutata all’attualità. Il Tribunale di Vibo Valentia nella sentenza n. 23 del 16 gennaio 2006, pur nel permanere di un debito in capo all’utente (ma molto inferiore a quello dichiarato dalla banca) e nella legittimità della segnalazione, non mancava di condannare la stessa per il danno arrecato all’utente dall’eccesso di segnalazione: “... ulteriormente decurtato di almeno lire 2.000.000 stabiliti in via equitativa, per il periodo a ritroso dal 1975 al 1990, lasso temporale che non è stato preso in considerazione dal CTU, il quale, inoltre non ha potuto considerare la problematica dei momenti di appostazione sul conto corrente delle valute. Per detto aspetto, nonchè per le commissioni di massimo scoperto nel periodo pregresso rispetto a quello considerato dal Dott. Di Vito, dal 1975 al 1990, può riconoscersi un ulteriore dimininuzione di lire 500.000, così pervenendosi ad un debito di lire 25.979.887 (lire 28.479.887 - lire 2.500.000 - lire 500.000), il tutto da riconvertirsi in euro e da riconoscersi alla data di maggio 2001. Per i comportamenti che violano le regole di correttezza nell’esecuzione dei contratti, come sopra esplicitate, e segnatamente per la segnalazione illegittima alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia, compete all’ing. D. un risarcimento dei danni, ragguagliato alla mancata liquidità che lo stesso avrebbe potuto conseguire presso un altro istituto di credito per sanare lo scoperto con la CARIME e, quindi, definibile in euro 12.500,00.” La giurisprudenza, insomma, svegliata dalla storica sentenza della Cassazione a Sezioni unite del novembre 2004, sempre più scopre la figura dell’utente tartassato dalle banche, dando sempre di più riconoscimento a diritti violati e, troppo spesso, dimenticati.

16/03/2006

Documento n.5814

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