GOLDMAN SACHS : UNA PIOVRA NOCIVA PER LA FINANZA – LA FIDUCIA NELL’ISTITUTO È AI MINIMI STORICI

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CROLLA IL MITO GOLDMAN SACHS – LA FIDUCIA NELL’ISTITUTO È AI MINIMI STORICI - NESSUNO SCANDALO, RESTITUITO IL PRESTITO AL TESORO, MA PROFITTI E BONUS RECORD CANCELLANO LA SIMPATIA DEGLI AMERICANI - SOTTO ACCUSA OPERAZIONI FATTE NEL MOMENTO DEL CROLLO DEI MERCATI… Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera" Il New York Magazine

l'ha disegnata, la settimana scorsa, in copertina come un «moloch» minaccioso e si è chiesto, nel titolo, se la Goldman Sachs sia la materializzazione del male. Quella che fino a ieri era considerata la regina di Wall Street - la banca più redditizia, seria, affidabile - è finita anche nel mirino di Rolling Stone che, in una lunga inchiesta, l'ha descritta come una piovra nociva per la finanza e per l'intera società americana, una vera e propria fabbrica di bolle speculative. Da una rivista giovanile di musica e politica non c'è, forse, da aspettarsi un'analisi pacata di errori ed eccessi commessi dai protagonisti del capita­lismo Usa, ma la sensazione che la crisi abbia seriamente compromesso la reputazione della Goldman Sachs è ormai diffusa nell'intera opinione pubblica americana e anche tra i risparmiatori.

A sostenerlo è addirittura il Financial Times che ieri ha pubblicato i risultati di un sondaggio commissionato a una società di consulenza dallo stesso quotidiano finanziario. La Brand Asset Consulting ha intervistato 17 mila cittadini americani arrivando alla conclusione che la banca più redditizia del mondo, quella che ha dato al governo Usa due ministri del Tesoro (Henry Paulson e Bob Rubin), leader politici, diplomatici e capi di istituzioni internazionali (dal governatore del New Jersey Jon Corzine al presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick), ha perso prestigio e credibilità tanto tra la gente comune quanto tra chi ha una conoscenza approfondita del mondo della finanza. Fino al punto che Morgan Stanley, un'altra banca d'affari la cui credibilità, in passato, è sempre stata molto inferiore a quella della Goldman, oggi gode (nel sondaggio) di maggiore rispetto. Cosa sta accadendo? Perché questo accanimento nonostante la banca guidata da Lloyd Blankfein non sia stata toccata in modo specifico da alcuno scandalo finanziario? Se lo chiedono con angoscia i dirigenti dell'istituto e i suoi addetti alla comunicazione anche perché il ritorno della banca a livelli record di profitti e la restituzione dei prestiti avuti nove mesi fa dal Tesoro, anziché migliorare la situazione, sembrano aver accentuato il malumore dell'opinione pubblica. In quanto istituzione-simbolo, Goldman certamente è la prima a pagare la disaffezione degli americani per la finanza, la rabbia dei contribuenti nei confronti di Wall Street. Ma c'è anche dell'altro. Se prima dello «tsunami» finanziario era ancora possibile mantenere un livello di reputazione molto elevata, pur in presenza del pagamento di bonus milionari a un gran numero di dirigenti e «broker» e di transazioni nelle quali si sfiorava il conflitto d'interessi, dopo il crollo e la recessione pagata dai cittadini americani con la disoccupazione, le tasse e l'esplosione del debito pubblico, nulla è più come prima. Considerate le principali responsabili del disastro, le banche hanno riconosciuto le loro responsabilità, ma poi si sono rimboccate le maniche e, aiutate dai contributi del Tesoro e dal denaro prestato dalla Federal Reserve a costo zero, hanno ricominciato a macinare utili. Ora, rimborsati i soldi avuti dal Tesoro, alcuni di questi istituti non solo non hanno più voglia di chiedere scusa, ma vogliono tornare al vecchio modo di fare affari, a partire dall'elargizione di megabonus ai loro dipendenti. Goldman Sachs, celebre per «ricoprire d'oro» non solo i suoi capi, ma anche gran parte del personale, è - inevitabilmente - la banca più esposta. I profitti record realizzati nel secondo trimestre 2009 (3,4 miliardi di dollari) si sono infatti tradotti in un accantonamento di risorse da distribuire in compensi molto più cospicuo: 6,6 miliardi di dollari, pari a 226 mila dollari per ogni dipendente dell'istituto. In soli 90 giorni. Certo, Goldman ha restituito al Tesoro i 10 miliardi di dollari avuti in prestito nell'autunno scorso e ha riscattato i «warrants» che avrebbero dato al governo Usa il diritto di entrare nel suo capitale. Ma l'opinione pubblica si è ormai convinta che i profitti realizzati dalla regina di Wall Street sono in larga misura il frutto di attività speculative con un forte potere destabilizzante - dalle scommesse sulle materie prime che fanno schizzare il prezzo del petrolio al cosiddetto «high frequency trading», una tecnica esasperata di moltiplicazione delle transazioni, eseguite in pochi millesimi di secondo - che mal si conciliano con l'immagine che Goldman ha sempre cercato di dare di sé: quella di una forza tranquilla e responsabile davanti ai suoi clienti e all'intera società americana. Per anni il pubblico e i risparmiatori hanno creduto alla rappresentazione di una banca i cui leader, riuscendo a fare soldi con grande facilità, avevano come supremo interesse non l'arricchimento personale - una realtà ormai scontata - ma la gestione professionale, efficiente, di un potere smisurato, che dalla finanza si allargava fino alla politica. La crisi ha cambiato questa percezione per tre motivi. 1) Nel momento del crollo dei mercati, Goldman ha talvolta eseguito, per conto proprio, operazioni di segno opposto rispetto a quelle eseguite per conto dei suoi clienti. È successo, ad esempio, con le scommesse sul mercato dei mutui «subprime». 2) Conflitti d'interesse, oltre che nei rapporti coi clienti, sono anche emersi nelle relazioni con organismi governativi. L'idea che il passaggio di uomini Goldman nei ranghi dell'Amministrazione fosse una sorta di «servizio civile», con la banca che metteva l'alta professionalità dei suoi dirigenti al servizio del bene comune è stata, in parte, minata da favoritismi che, nell'autunno scorso, hanno contrassegnato la convulsa gestione degli interventi di salvataggio del sistema creditizio: dopo il fallimento di Lehman Brothers, vertici d'emergenza affollati di uomini Goldman e un salvataggio di Aig deciso dal ministro Paulson (ex capo della banca) che ha avuto anche l'effetto di puntel­lare la banca guidata da Blankfein, le­gata a doppio filo al gigante assicura­tivo. Una situazione che ha portato qualche analista a ribattezzare scher­zosamente la banca «Government Sa­chs». 3) Restituire i soldi avuti dal Tesoro non è bastato a cancellare questa fama e a giustificare il recupero di una piena libertà d'azione: dopo la paralisi del credito, quando nessuno riusciva più a collocare obbligazioni, nemmeno Goldman avrebbe potuto riavviare i motori senza la garanzia pubblica della Fdic sulle sue emissioni.
Insomma le ferite, sul fronte della fiducia, sono profonde e difficili da ri­marginare: Goldman non ci riuscirà certo isolandosi, coi suoi dipendenti, in una bolla dorata o osteggiando la riforma dei meccanismi di controllo del sistema finanziario presentata qualche mese fa da Obama e dal ministro del Tesoro Tim Geithner e, da allora, bloccata sul bagnasciuga del Congresso, sotto il fuoco delle lobby. Certo, queste sono responsabilità del sistema creditizio nel suo com­plesso e non di una sola banca. Ma chi ha ricostruito gli antefatti della crisi attuale, sa che sulle decisioni che dieci anni fa hanno compromesso i meccanismi di supervisione che avrebbero potuto prevenire la crisi che stiamo vivendo hanno pesato molto l'attività lobbistica di Goldman Sachs (che dal 1998 al 2008 ha distribuito oltre 40 milioni di dollari in contributi ai politici Usa) e le scelte di uomini di governo con un passato nell'istituto.

04/08/2009

Documento n.8105

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