G8 - CHI HA SALVATO IL PRESIDENTE INFOIATO A L'AQUILA: BERTOLASO, MASSOLO, VALENTINI

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dietro gli accordi sul disarmo, Putin HA chiesto ad Obama di non toccare SILVIO - ANZI, HA PRETESO l’elogio di per la "forte leadership" (CHE VALE IL RISCATTO PER PAPI) - HU JINTAO, FURIOSO PER L'ACCORDO DI MOSCA CHE SEGA LA MONETA UNICA ANTI-DOLLARO, HA COLTO AL VOLO IL PRETESTO (STRAGE IN XINJIANG) PER ABBANDONARE IL G8 - CHI HA SALVATO IL PRESIDENTE INFOIATO A L'AQUILA: BERTOLASO, MASSOLO, VALENTINI. da www.dagospia.it 1 - CHI HA SALVATO IL PRESIDENTE MIGNOTTARO A L'AQUILA: BERTOLASO, MASSOLO, VALENTINI Nella sua infinita modestia papi-Silvio ha paragonato la sua follia a quella di Erasmo da Rotterdam, l'umanista olandese, figlio illegittimo, che nella sua giovinezza si legò a un ragazzo che descrisse come "metà della mia anima". Per il Cavaliere-muratore e statista, che non può essere certo sospettato di amicizie maschili, la metà dell'anima è rappresentata in questo momento da Guido Bertolaso che nel suo cuore ha preso il posto di Gianni Letta, e dallo staff dei fedelissimi che lo hanno aiutato durante il Summit. La follia di Berlusconi non è sempre lucida, ma comunque generosa e adesso i suoi collaboratori si aspettano che si manifesti in modo concreto. Per ripagare gli sforzi dei giorni scorsi non basterà certo una spilla a forma di farfalla come quella indossata in tv da Susanna Petruni, né i gadget raccattati da quei miserabili giornalisti che si sono accapigliati come morti di fame per portare a casa il kit del G8. Sicuramente papi-Silvio ha già maturato nella sua testa la lista dei beneficiati, un elenco che comincia con super-Guido Bertolaso, l'uomo di tutte le emergenze per il quale la nomina a ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture sarebbe un atto dovuto. In seconda battuta arriva Mario Catalano, l'architetto scenografo che dal vertice di Pratica di Mare del 2002 riesce a creare effetti speciali alla Spielberg, e accanto a lui i fidatissimi Gasparotti (ex-Mediaset) e la segretaria-assistente Marinella che con le luci e il trucco hanno reso i capelli del premier quasi naturali rispetto a quelli stralucidi di Gheddafi. Ma un'attenzione particolare papi-Silvio dovrà rivolgerla ai due uomini che più lo hanno aiutato sui dossier di politica estera e nei rapporti con i Grandi della terra. Il primo è Valentino Valentini, il politico bolognese 47enne che dopo un master a Publitalia è diventato parlamentare europeo e ha assistito Berlusconi come consigliere speciale per le relazioni estere. Per quest'uomo che nel 2008 è stato rieletto alla Camera dei Deputati è arrivato il momento di attribuirgli un vistoso riconoscimento in materia di politica estera e di buttarlo nell'arena della Farnesina perché ha dimostrato di essere uno "sherpa" più vivace e utile del gracile Frattini. Il vero exploit dovrebbe compierlo Giampiero Massolo, il diplomatico nato a Varsavia che ha mosso i primi passi nel 1980 all'ambasciata presso la Santa Sede e dal 2007 è Segretario Generale del ministero degli Affari Esteri. Per tutta la durata del G8 Massolo è stato l'ombra di Erasmo-Silvio ed è riuscito a contenere gli sgomitamenti dell'ex-ambasciatore Umberto Vattani cancellando la gaffe del "New York Times" che alla vigilia aveva parlato di "una programmazione imperdonabilmente negligente". Adesso il premier, che sembra intenzionato ad abbandonare il modello birichino, può spedirlo a Washington come ambasciatore italiano al posto di quel Gianni Castellaneta che camminava come un'ombra triste dentro la caserma di Coppito. 2 Nella sua infinita miseria Dagospia si è infilata durante il weekend a L'Aquila, tra le migliaia di turisti che hanno visitato le stanze dei potenti. Qui ha potuto ammirare le stampelle Foppa Pedretti sulle quali Obama ha posato la giacca e le mutande, e la scarpiera per le calzature con i tacchi di Sarkozy. In mezzo a tanta commozione Dagospia cercava anche qualche risposta agli interrogativi che nessun giornalista ha sollevato durante il G8. Le conferenze stampa del premier sono state un monumento al silenzio e al servilismo, e tutti hanno potuto constatare che nel corso dell'incontro finale con la stampa (disertato dai corrispondenti esteri) la sala è stata riempita con i finanzieri della Caserma. Eppure domande da fare al premier non ne mancavano, soprattutto sulla politica estera più che sulla vita privata dove la parola d'ordine circolante tra i giornali è stata quella di rinviare il bombardamento alle prossime settimane. Una prima questione riguardava ad esempio l'abbandono improvviso del presidente cinese Hu Jintao dai lavori del Summit. Il leader di Pechino era arrivato a Roma da alcuni giorni e con la moglie ha visitato per oltre 30 minuti il Colosseo dove gli è stato spiegato che l'anfiteatro poteva rinchiudere 70mila uomini. Hu Jintao ha sorriso in modo ambiguo, poi gli è arrivata la notizia della rivolta nello Xinjiang, una notizia grave ma propizia che gli ha consentito di tagliare la corda da un G8 dove non sarebbe stato protagonista. Ciò che sta avvenendo nella provincia cinese è sicuramente grave perché (come ha scritto Enzo Bettiza sulla "Stampa" di venerdì scorso) mette in discussione la stabilità strategica del Paese. Resta il fatto che la ribellione è stata soffocata nello spazio di 24 ore e che a Hurumqi, dove sono scoppiati gli scontri, è arrivato un membro del Comitato permanente del Politburo cinese che ha sistemato le cose con un rapido bagno di sangue (150 morti ammazzati su una popolazione di due miliardi è come un ammalato di influenza a Roma). A questo punto c'è da chiedersi se davvero il presidente Hu avesse ragione di lasciare precipitosamente il G8 dove avrebbe dovuto pronunciarsi sul clima e dal quale era stata cassata la questione monetaria che la Cina vuole sollevare da tempo per ridurre il peso del dollaro nel sistema internazionale. Accanto a questi motivi e sospetti c'è poi da considerare l'ombra che gli avrebbe creato il protagonismo di Obama, la vera star dell'Aquila, reduce dagli accordi di Mosca con Medvedev e dal primo storico incontro nella dacia di Vladimir Putin. E qui scatta una seconda domanda che i giornalisti avrebbero potuto fare a papi-Silvio per chiedergli se dietro l'elogio di Obama per la forte leadership dell'Italia (un'affermazione che ha riscattato le Mille e una notte del Sultano), non ci sia stata la manina del Grande Assente del G8, Vladimir Putin. A dispetto degli storici e dei cronisti la politica è un oggetto misterioso e imprevedibile, ma nulla impedisce di immaginare che dietro gli accordi di Mosca sul disarmo e le chiacchiere a quattrocchi nella dacia, l'amico Putin abbia chiesto ad Obama di non toccare l'amico Berlusconi, l'uomo grazie al quale l'imperialismo energetico della Russia si manifesta e si traduce in affari estremamente concreti e succulenti. Giù le mani dall'amico Silvio!, questo è probabilmente il messaggio che ha indotto Obama a esternare con tanto calore in favore del leader italiano che a metà giugno aveva ricevuto alla Casa Bianca per un semplice caffè senza gli onori di Stato. Onore invece allo statista businessman di Arcore che ha saputo intrecciare un sodalizio fruttuoso che da Mosca arriva a Tripoli. Con grande gioia dell'Eni e di Finmeccanica dove i libici (a dispetto di ogni smentita) stanno per entrare a piedi giunti.

13/07/2009

Documento n.8047

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