FINCANTIERI: L'INDUSTRIA DI STATO METTE A RISCHIO LA VITA DEGLI OPERAI

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di Fabrizio Gatti L'ESPRESSO Ritmi infernali. Subappalti selvaggi. Incidenti nascosti. Norme di sicurezza ignorata. Così al Nord-est le imprese mettono a rischio la vita degli operai. Dalle multinazionali all'industria di Stato Quando le fabbriche si sfidano, bisogna obbedire e vincere. Gli operai muoiono anche così. Vittime collaterali di gare decise da manager con l'ansia di prestazione. Prendete il comunicato interno dell'Alcoa di Marghera, lo stabilimento veneziano della multinazionale americana dell'alluminio. È il messaggio finale, dopo 30 giorni con i nervi a fior di pelle. Titolo: "Diario di bordo - ultimo atto". Scrive un alto dirigente: "Vittoria! Abbiamo ottenuto il nostro primo obiettivo, da un mese sognavo di poter intitolare così il pezzo dell'ultimo giorno di competizione. Si tratta di una vittoria nostra prima di tutto perché abbiamo fatto un mese da incorniciare, e questo fa bene a noi e al nostro business: 0 infortuni, 7.919 tonnellate, 264 tonnellate al giorno... Record assoluto di tutti i tempi". È una gara tra laminatoi, lanciati come camion sull'autostrada. Lo stabilimento veneto si piazza terzo fra tutti gli impianti Alcoa nel mondo. Solo che gli autisti di camion che corrono troppo vengono fermati dalla polizia. Non i manager di una multinazionale. Così va l'Italia della produzione senza limiti. Così va Marghera, fucina simbolo del Nord-est, tre morti e un operaio sfigurato dall'acido solforico in sette giorni, contributo locale al bollettino nazionale di 123 vittime del lavoro, 123 mila 494 feriti e 3.087 invalidi da inizio 2008. Quello che pesa non sono solo i numeri dell'ecatombe, ma il modello di eccellenza, così lo chiamano, che tutti devono seguire. Tutti: dagli scaricatori del porto ai carpentieri di Fincantieri, l'ultimo colosso di Stato dove lunedì 11 febbraio un elettricista è rimasto folgorato e quasi tutte le imprese di appalto fanno assunzioni fuorilegge. Il comunicato interno dell'alto dirigente di Alcoa è euforico: "Vi assicuro che il clima che si respirava in questi giorni e soprattutto la macchina che girava come un orologio erano straordinari... Essere terzi in Alcoa non è poco. Nel calcio sarebbe come arrivare terzi nella Premier league inglese, nella Liga spagnola, nel campionato di serie A italiano o ancora nella Bundesliga tedesca, ovvero essere in grado di competere per sicurezza, produttività, qualità e affidabilità con i migliori al mondo... C'è da esserne orgogliosi". È lunedì 2 luglio, l'estate scorsa, quando il dirigente scrive tutto questo. Giovedì 5 luglio i manager ne parlano ancora. Lo stabilimento continua a filare come una macchina da corsa. Centra obiettivi come una corazzata nel pieno della battaglia. Quel giovedì i passi di Mauro Calzavara, 46 anni, di San Donà di Piave, operaio del reparto collaudo, e la folle galoppata di Alcoa si incrociano. Dieci anni fa, raccontano i suoi colleghi chiedendo l'anonimato, le bobine di alluminio passavano per sicurezza all'esterno. Oggi, per guadagnare qualche minuto, i rotoli a 200 gradi vengono fatti raffreddare nei capannoni, in spazi ristretti: "Con tempi da Formula uno". In dieci anni la produzione non è cambiata: 80 mila tonnellate di alluminio all'anno. Ma è quasi raddoppiata la produttività degli operai: perché da 980 dipendenti l'Alcoa di Marghera è scesa a 530. Il bando per partecipare alla gara tra laminatoi forniva anche la formula per misurare la loro affidabilità: 'tempo di orologio' meno 'tutti i tempi di inattività' diviso 'tempo di orologio' meno 'tempo di inattività programmato' meno 'tempo di inattività per mancanza di ordini'. Quel giovedì, appena tre giorni dopo la fine della gara, Mauro Calzavara, operaio e sindacalista della Uil, cade travolto da una bobina di alluminio rovente e viene schiacciato dal carrello che la sta trasportando. Nello stabilimento di Marghera è il secondo dipendente ucciso in un anno e mezzo. Quasi allo stesso modo. Ma per l'inchiesta non c'è nessuna relazione tra la morte del sindacalista e la corsa tra laminatoi organizzata dai dirigenti. Della gara di produzione sparata sul filo delle 11 tonnellate di alluminio all'ora semplicemente non si parla. Gli imprenditori del Nord-est sanno trovare una ragione a tutto La domanda è da qualche milione di euro, il valore degli appalti affidati a Meccanonavale nel giro di qualche anno: come può una società con solo quattro operai e due responsabili in cantiere garantire la costruzione di sezioni di nave? Infatti non può ed è per questo che i tre dipendenti della ditta di Ottaviano sono lì. L'unico avviso che ricevono riguarda la pulizia dalle scorie di saldatura. Nessuno invece indica i pericoli del posto. Così quando Vincenzo Castellano perde l'equilibrio sulla scala, è normale per lui appoggiarsi al telo che ricopre la parete. Il telo cede e si apre sulla condotta di ventilazione che nascondeva. Questi incidenti a Marghera di solito finiscono con un funerale e l'archiviazione come fatalità. Ma Castellano si salva. Per modo di dire. "Dopo dieci minuti abbiamo cominciato a sentire delle lamentele", racconta Dritan Cano al processo, "però non sapevamo il punto esatto dove era finito. Io ho fatto quasi 50 volte su e giù, 20 piani della nave". Vincenzo Castellano ora abita con la madre e i fratelli che, per lui, si sono trasferiti da Napoli a Imola. "Per essere sottratto da quella buca", dice a 'L'espresso' la mamma, Carmela Volpe, "Vincenzo ha dovuto aspettare dalle 5,45 alle 8,45. Non sapevano dove fosse perché nessuno aveva lo schema della nave". Vincenzo Castellano è sul pavimento della sala macchine. Le ossa frantumate in fondo a un volo di 30 metri. Anche lui vittima di una gara. Dovevano correre: per completare un lavoro lasciato a metà da Meccanonavale. Fincantieri aveva chiesto una pausa per pulire le condotte della nave e voleva recuperare il tempo perso. Oggi Vincenzo Castellano è paralizzato dal torace in giù. Quasi ogni notte cade nei suoi incubi e chiede alla madre di aiutarlo a morire. Eppure per Fincantieri resta uno sconosciuto. Il direttore di Marghera, Carlo De Marco, e i suoi dirigenti non si presentano nemmeno al processo in cui sono imputati per lesioni gravi. Tengono duro. I loro legali ritardano il più possibile il risarcimento. A fine novembre l'industria rischia addirittura la figuraccia davanti al premier Romano Prodi e agli armatori della Carnival il giorno della consegna della Queen Victoria che ha come madrina Camilla Parker Bowles. L'avvocato di Castellano chiede il pignoramento della gigantesca nave da crociera. Gli imprenditori del Nord-est sanno trovare una ragione a tutto. Anche ai loro operai ammazzati. Questo è Giorgio Guerrini, presidente di Confartigianato, pochi giorni dopo i funerali delle prime due vittime dell'anno a Marghera: "Gli eccessi in discoteca sono un fenomeno reale che incide sui livelli di attenzione dei lavoratori". Guerrini ripete quello che hanno detto i presidenti di Confartigianato di Treviso e Padova, Mario Pozza e Walter Dalla Costa. Insieme, rappresentano le imprese di tre tra le province più aggressive del Nord-est. "La stanchezza dopo le notti a ballare può fare brutti scherzi", sostiene Pozza. Le segreterie venete di Cgil, Cisl e Uil protestano: "Parole vergognose". Paolo Ferrara e Denis Zanon non sono ragazzi da discoteca quando muoiono asfissiati nella stiva della World Trader il 18 gennaio a Porto Marghera: hanno 47 e 39 anni e quella notte, prima dell'incidente, non sono andati a ballare, ma direttamente al lavoro. Dimitrios Lenis, il marinaio greco schiacciato da un Tir su un traghetto il 25 gennaio, ha 33 anni e l'ultima notte l'ha passata a bordo. Nemmeno Vincenzo Castellano, 31 anni, di Napoli, era andato a divertirsi la notte tra il 9 e il 10 maggio 2002. La sera prima lui e i colleghi Ditran Cano e Biagio Basile entrano nel grande stabilimento di Fincantieri a Marghera e non escono fino al giorno dopo. Non c'è nessuno oltre a loro. Perché la notte Fincantieri ufficialmente non lavora. Per fare in fretta, i tre operai vengono mandati a saldare fuori orario i profili in ferro nel corridoio di una nave in costruzione. I tre non sono mai stati lì prima. Lavorano per la Montaggi e carpenterie industriali sas, una piccola ditta di Ottaviano, in provincia di Napoli. È un subappalto commissionato dalla Fincantieri deposita a garanzia un assegno da 2 milioni e mezzo di euro, che poi sono soldi dello Stato. E proprio questo è il punto. Perché Fincantieri appartiene allo Stato. E la sua filiera di produzione è un modello non solo nel Nord-est, ma in tutta Italia. Come funziona lo spiega il giudice del Tribunale di Venezia, Carla Ilaria Bitozzi, nelle motivazioni della sentenza depositate l'11 ottobre scorso sul caso Castellano: "Al riguardo è ampiamente provato che nel cantiere navale di Marghera la maggioranza delle lavorazioni sono svolte da operai di imprese terze mediante appalti reali o mere prestazioni di manodopera... i dipendenti delle imprese terze costituiscono quasi il 75-80 per cento della forza lavoro presente in Fincantieri". Secondo il giudice, la ditta che aveva assunto i tre operai costituiva una sorta di caporalato industriale: il titolare "fungeva solo da intermediario, per il quale percepiva un compenso a percentuale sul monte ore di impiego dei suoi operai". Alla fine il direttore di Marghera, Carlo De Marco, gli altri responsabili di Fincantieri, di Meccanonavale e della srl di Ottaviano vengono condannati in primo grado a due mesi di reclusione, assorbiti dall'indulto. E al risarcimento dei danni, 2 milioni di euro più o meno. Per Vincenzo Castellano i soldi che gli serviranno a curarsi arrivano soltanto il 9 gennaio di quest'anno. Quasi sei anni dopo l'incidente. Nel frattempo De Marco è stato promosso a dirigere il cantiere più grande, a Monfalcone. E ancora nel 2007 Meccanonavale è tra le società sempre scelte da Fincantieri. La sentenza veneziana è il riconoscimento della complicità dell'industria di Stato come committente nella filiera di subappalti. Ed è quanto da anni denuncia a prefetto e Asl lo staff di Giorgio Molin, segretario generale della Fiom Cgil di Venezia. Inutile dire che dal 2002 a oggi, a parte un protocollo formale sulla legalità, non ci sono state ispezioni in Fincantieri in grado di smascherare la rete di subappalti. Nemmeno dopo la scoperta a Trieste dell'infiltrazione negli affari di piccole società in odore di 'ndrangheta. E l'arresto di due dipendenti a Monfalcone per contratti gonfiati. Bisogna venire a Marghera e guardare per giorni da vicino i blocchi delle navi appesi alle gru, per capire quanto sia pericolosa la disorganizzazione in un grande cantiere come questo. Solo una minoranza tra gli operai indossa i caschi di protezione. A volte vedi saldatori bengalesi abbracciati alle ringhiere della Eurodam, la nave della Holland America Cruise Line in consegna quest'anno. Attorcigliano come funamboli le gambe alle sbarre di ferro, perché le mani sono impegnate: in una stringono il piccolo vetro di protezione, nell'altra il cannello della saldatrice. Niente occhiali, niente maschere, niente imbragatura per loro. I dipendenti di Fincantieri a Marghera sono 1.200. Gli addetti alla produzione poco più di 400, praticamente gli unici operai con garanzie sindacali, ferie e malattia. Nel 2006, 170 di loro (il 42,5 per cento) ha subito infortuni con prognosi superiore a tre giorni. Fino ad agosto 2007, sono 92 i feriti (il 23 per cento). Quattrocento persone non possono costruire una nave. Per questo nel 2007 hanno lavorato in Fincantieri 2.215 operai esterni. Sono distribuiti su 478 ditte di subappalto con uno, dieci, raramente più di 20 dipendenti. Piccole srl che nascono e svaniscono nel giro di due anni, con sedi in Campania, Calabria e Sicilia dove i controlli dell'Inps non esistono. Società paravento a loro volta ingaggiate dalle 64 imprese chiamate da Fincantieri. Sono queste a dividersi il grosso dei guadagni sull'allestimento di condotte di ventilazione e arredi. È il vero affare: le grandi navi da crociera, di cui Fincantieri ha conquistato il 43 per cento della produzione mondiale, costano 500 milioni di euro. Soldi che si incassano nel giro di un anno e mezzo: dalla prima lamiera posata alla consegna.L'importante è abbassare il costo del lavoro. Non tanto per competere con la Cina. Soprattutto per far guadagnare il massimo alle imprese appena sotto Fincantieri. È per questo che la grande maggioranza degli operai esterni, italiani o stranieri, è ingaggiata a paga globale. Sono contratti fuorilegge che permettono l'evasione di fisco e contributi Inps. Dieci, 12 ore di cantiere al giorno. Senza ferie, tredicesima, malattia, liquidazione: uno sconto quantificato dalla Cgil in almeno tre mesi all'anno. Gli imprenditori più spregiudicati tengono per sé perfino gli assegni familiari e mettono in busta paga 40 ore al mese. Il resto, tra le 160 e le 220, lo pagano in nero. A volte con un assegno. Fa parte del ricatto. Ogni lavoratore firma un foglio in bianco. Se mai decidesse un giorno di denunciare lo sfruttamento o iscriversi al sindacato, si troverebbe con la lettera di dimissioni già firmata. Ma se è stato pagato con l'assegno, il foglio in bianco potrebbe diventare il contratto di un prestito da restituire. Dipende da come viene compilato. Impossibile conoscere il numero dei feriti, se dipendono da ditte esterne. Solo i casi più gravi vengono scoperti. Come quello di Diego Pietrobon, 36 anni, dieci in Fincantieri, sposato, una bimba e una casa pignorata dopo l'infortunio: è invalido dal 2003, quando è stato investito dal crollo di una sezione di nave, e solo l'11 marzo ci sarà la prima udienza per la sua causa. Intanto la ditta Omega che l'aveva ingaggiato a paga globale è scomparsa. L'ultimo ferito grave è Massimo Volpe, 32 anni, elettricista di una ditta di subappalto. Verso le due del pomeriggio di lunedì 11 febbraio viene colpito da una scarica a 690 volt. "Una cosa è certa", dice il comunicato delle segreterie veneziane di Cgil, Cisl e Uil, "l'impianto della nave su cui lavorava era sotto tensione mentre non doveva esserlo".È il risultato del frazionamento degli appalti. Nessun operaio sa cosa stiano facendo i colleghi accanto. Sempre lunedì un blocco da 380 tonnellate cade per lo strappo dei golfari, i ganci di sollevamento: erano stati saldati male alla struttura. L'elenco degli incidenti con o senza feriti, ma potenzialmente mortali, è un brivido quasi settimanale. 'L'espresso' ha potuto leggere i rapporti interni. Gigantesche ruote di gru da 300 chili che cadono dal cielo. Manutenzioni e imbragature fatte da personale non specializzato. Carrelli che si ribaltano. Bilancieri dei carri ponte nelle officine usati per sollevare pesi eccessivi per le loro dimensioni. A volte le prove vengono occultate. Come sarebbe successo il 16 aprile 2007 dopo il ferimento di un operaio croato, Milenko Libic, 40 anni, della ditta Sonda, un subappalto: gli era stato ordinato di sollevare una lamiera con due pinze inadatte. "Se te lo ordinano i capi, lo devi fare", racconta un operaio a paga globale, "altrimenti ti dicono: da domani stai a casa". Più che capi, qualcuno di loro ricorda Kilgore, il colonnello del film 'Apocalypse Now' che faceva rischiare la vita ai suoi soldati per un'uscita in surf dopo la battaglia. Il paragone non è esagerato. Secondo Eurispes, sono morti più operai, muratori e agricoltori in Italia (5.252 dal 2003 al 2006) che militari della coalizione nella guerra in Iraq (3.520). In fondo la salute di un lavoratore a paga globale, in base alle tabelle applicate dai tribunali del Nord-est, costa poco: 44 euro al giorno per un'invalidità totale. Molto meno di un buon paio di scarponi da cantiere. (14 febbraio 2008)

20/03/2009

Documento n.7830

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