FABRIZIO DE ANDRE': IL "BARDO DI GENOVA" OMAGGIATO A DESTRA,SINISTRA E DAL FINANCIAL TIMES A 10 ANNI DALLA MORTE

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ILSOLE24ORE.COM De André, il bardo di Genova piace alla sinistra e alla destra (FT) di Elysa Fazzino 12 GENNAIO 2009 Per il Financial Times è «uno dei più grandi cantautori del Ventesimo secolo». Eppure Fabrizio De André è «quasi sconosciuto» in Gran Bretagna. Ma «in Italia è venerato come un profeta» e ha «un seguito evangelico». In occasione del decennale della sua morte, il quotidiano britannico ha dedicato un ampio articolo, intitolato «Il bardo di Genova». al fenomeno «da culto» di De André. «Anche se non capisci i testi, la musica ti dà la pelle d'oca», scrive Tobias Jones. Canzoni profonde, accompagnate da una voce «languida e grave, tenera e malinconica». «Ma se capisci i testi – continua - allora ti rendi conto di essere nelle mani di un genio». Raccontava storie di emarginati – prostitute, drogati, criminali, soldati e suicidi – «con grazia più che sentimentalità». La dizione, le immagini e le rime erano «sempre perfette». La storia della sua vita ha contribuito al culto, secondo il Financial Times, che ricorda come mise da parte la laurea in legge per dedicarsi alla musica. De André viene descritto come un uomo per molti versi «contraddittorio»: bohèmien, timido e sensibile, intellettuale e populista. Di ricca famiglia, era il figlio del vicesindaco di Genova e «per tutta la vita è stato anarchico». Lui e la moglie Dori Ghezzi furono rapiti in Sardegna e tenuti prigionieri per quattro mesi. «Dopo il rilascio, mostrò scarso rancore verso i suoi rapitori, dicendo che erano prigionieri come lo era lui». Il Financial Times definisce «ironica» la sua fama postuma, poiché in vita si rifiutava quasi sempre di apparire in tv, non dava quasi mai interviste, non amava essere fotografato, all'inizio non amava neppure dare concerti e faceva di tutto per evitare apparizioni pubbliche. Non riciclava formule di successo, ma «andava sempre in una direzione nuova e inaspettata». «Si possono immaginare i brontolii della casa discografica quando annunciò che voleva incidere un disco interamente nell'incomprensibile dialetto genovese». "Creuza de Mär" era destinato a diventare uno dei migliori dei suoi oltre 20 album. Aveva una conoscenza musicale molto ampia, spiega il quotidiano britannico. Usava spesso strumenti arcaici o etnici, era al contempo un «erudito classicista», era molto influenzato dagli chansonnier francesi e in particolare da Georges Brassens. Tradusse le canzoni di Bob Dylan e Leonard Cohen, scrisse canzoni insieme a musicisti italiani tra i migliori come Francesco De Gregori, Ivano Fossati, Massimo Bubola e Mauro Pagani. «Ma forse la ragione per cui De André rimane così celebrato è la sua spiritualità», osserva Jones. «Cantava la condizione umana», parlava di amore e morte, «senza mai ricorrere a stereotipi». Anche se ha sempre detto che trovava difficile credere in Dio, era pieno di ammirazione per Gesù e il suo album "La Buona Novella" si rifaceva ai vangeli apocrifi. «Nonostante fosse al massimo un agnostico, De André scrisse canzoni che sembravano parabole. Molte sono oggi suonate perfino nelle chiese». Dieci anni dopo la sua morte, conclude il Financial Times, De André è diventato qualcosa di «molto raro»: «una figura che piace a tutte le parti della società italiana, dalla sinistra anarchica alla destra cattolica». Capita spesso, secondo Jones, che nei locali in Italia qualcuno tiri fuori una chitarra e si metta a cantare una delle sue canzoni. «Il solo mistero è perché non sia più conosciuto al di fuori del suo Paese». Dopo questo tributo del Financial Times, molti inglesi lo conosceranno meglio.

12/01/2009

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