Derivati Divania: i periti del tribunale al libro paga dell'"imputato" UNICREDIT

in Articoli e studi

L'Espresso, 03/04/2015 pagina 35
Se la banca paga l' arbitro di Paolo Biondani

NELLA GRANDE partita dei derivati, la squadra più forte pagava gli arbitri? Tradotto in termini calcistici, suonerebbe così il provvedimento, più unico che raro, con cui il tribunale civile di Bari ha richiesto ufficialmente alla Procura di aprire un' inchiesta per corruzione in atti giudiziari a carico di Unicredit, il primo gruppo bancario italiano. I derivati sono quei prodotti finanziari ad alto rischio che già prima della crisi avevano mandato in rovina migliaia di aziende, minando anche i conti dello Stato e di numerosi enti pubblici. In teoria hanno finalità assicurative: dovrebbero aiutare i clienti a non perdere troppi soldi, ad esempio, con le valute estere o con i tassi variabili. In pratica i derivati somigliano a scommesse. E il problema è che le vincono quasi sempre le banche. A Bari, dal 2007, è in corso la più grande causa di risarcimento intentata da un' azienda privata, l' ex fabbrica Divania, che prima di fallire dava lavoro a 430 operai. La società, ora rappresentata dal curatore, chiede ben 280 milioni di euro a Unicredit, che invece respinge l' accusa di aver provocato il crac con derivati disastrosi. Il proprietario della fabbrica di divani, Saverio Parisi, aveva denunciato anche penalmente i vertici dell' istituto, dopo aver videoregistrato di nascosto i suoi incontri con i banchieri: una vicenda rivelata da "l' Espresso" già nel 2009. Da allora il pm Isabella Ginefra ha chiuso le indagini penali confermando le accuse a Unicredit di aver mandato in bancarotta quell' industria, imponendole derivati truffaldini o addirittura falsificati. Nel parallelo processo civile, invece, una super perizia sembrava scagionare la banca. Divania non è fallita per colpa dei derivati, ma può reclamare una decina di milioni al massimo, e solo se i giudici riterranno ingiusta questa perdita: così sentenziarono i due esperti nominati dal tribunale all' inizio della causa. Ora però i tre giudici del collegio civile sono cambiati. E con un' ordinanza del 18 febbraio scorso hanno ribaltato tutto, spiegando che «sono emersi dubbi sull' attendibilità e genuinità della perizia», firmata dal commercialista Alfredo D' Innella e dall' avvocato e docente universitario Umberto Morera, «con riferimento ai compensi pagati da Unicredit al di fuori da una liquidazione giudiziaria». La banca, in sostanza, ha versato ai due periti ben 470 mila euro senza che nessun giudice abbia mai approvato una parcella del genere. Morera, inoltre, è risultato difensore di Unicredit in altre cause, negli stessi mesi in cui faceva il perito imparziale a Bari. Di qui la drastica decisione dei nuovi giudici: la perizia è totalmente da rifare; a esaminare i derivati sarà un nuovo esperto indipendente da Unicredit; e la Procura dovrà indagare su quei 470 mila euro versati ai due "arbitri" ora esautorati. L' accusa di presunta corruzione nasce anche da una lettera in cui la banca dichiara di accettare la parcella chiesta dai periti, pur riconoscendo che è molto superiore alle «tariffe massime previste dalla legge». Interpellata da "l' Espresso", Unicredit fa sapere che dimostrerà la sua innocenza anche rispetto alle nuove accuse. La banca sottolinea che il professor Morera difendeva il gruppo Capitalia già da prima della fusione con Unicredit, cosa che lui stesso aveva segnalato al tribunale prima della perizia. L' istituto inoltre precisa che anche il proprietario di Divania aveva accettato di versare ai periti un minimo di 142 mila euro ciascuno, cioè più delle normali tariffe. In attesa che i tribunali stabiliscano chi ha ragione, il caso Divania solleva un problema generale: chi decide le parcelle dei periti che arbitrano i processi? I giudici imparziali o le parti private che pagano? n Unicredit versa 470 mila euro, senza il permesso dei giudici, ai due periti del processo sui derivati. E il tribunale di Bari ordina di indagare per corruzione Poteri forti.


Il Fatto Quotidiano, 03/04/2015 pagina 7
Derivati, "processate Profumo e Ghizzoni"
I PM: UNICREDIT CAUSÒ IL FALLIMENTO DI "DIVANIA". APERTO ANCHE UN ALTRO FASCICOLO PER CORRUZIONE GIUDIZIARIA.
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La procura di Bari chiede il rinvio a giudizio dell' amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, e del suo predecessore, Alessandro Profumo, ora in Mps, con l' accusa di bancarotta. Ma c' è di più: il colosso bancario - per la stessa vicenda - è al centro di un' altra un' indagine per corruzione in atti giudiziari. Tutto ruota intorno al crac dell' azienda barese Divania, fallita nel giugno 2011, che fino a poco prima contava 430 dipendenti, un fatturato di 70 milioni di euro ed esportava in tutto il mondo. LA DIVANIA - tra il 2000 e il 2005 - aveva investito 220 milioni di euro in derivati acquistati dal gruppo Unicredit: secondo l' accusa, l' azienda prima di finire in rovina a causa dei derivati-capestro - che avrebbero provocato una perdita di 15 milioni di euro, che ne bloccarono l' attività, portandola al dissesto - era in salute. Ed è per questi motivi che Profumo e Ghizzoni sono accusati di bancarotta. I derivati sono strumenti finanziari complessi: sulla carta servono a coprirsi da rischi futuri, spesso però, si rivelano un disastroso gioco a perdere. E soprattutto sono strumenti complicati da analizzare. Divania - prima del fallimento - chiese a Unicredit la restituzione di 220 milioni già pagati, più gli interessi maturati, per un totale di 280 milioni: s' instaura così - nel 2007 - una colossale causa civile. Nel processo viene disposta una perizia che, adesso, è il fulcro della seconda indagine che, come ha rivelato ieri l' Espresso, ipotizza la corruzione in atti giudiziari. Per comprendere quanto le due vicende siano intrecciate è sufficiente riflettere su un dato: nel chiedere il rinvio a giudizio di Ghizzoni, per la bancarotta di Divania, la pm barese Isabella Ginefra, sottolinea che l' allora ad di Unicredit non adempì alla restituzione delle somme spettanti all' azienda, contribuendo così all' insolvenza della società. La controversia su quella somma, come sappiamo, pendeva dinanzi al tribunale civile ed era oggetto di una perizia, in base alla quale, a Divania, non si dovevano restituire più di 10 milioni di euro né alcun interesse sull' investimento. Perizia che Unicredit cita anche nel prospetto informativo del 2011, spiegando ai propri investitori che l' analisi dei ctu, nominati dal tribunale, dà ragione al gruppo bancario: a fronte dei 280 milioni richiesti, secondo i consulenti, la banca dovrà sborsarne, nella peggiore delle ipotesi, soltanto 10. Il due febbraio scorso, dopo un' esposto di Saverio Parisi, amministratore di Divania, il tribunale di Bari segnala che, sulla perizia in questione, "sono emersi dubbi" riguardo "l' attendibilità e la genuinità". E ne dispone una nuova. I due vecchi consulenti - che sono stati pagati 470 mila euro - non sono stati retribuiti, spiega il tribunale, su disposizione della magistratura, che non ha emesso alcun decreto di pagamento. I due pubblici ufficiali sono stati pagati direttamente da Unicredit e, peraltro, non secondo le tariffe previste. "Il tetto massimo - scriveva Unicredit ai ctu Umberto Morera e Alfredo D' Innella - è piuttosto penalizzante per i consulenti. Concordiamo sul fatto che la particolarità della vicenda richiede una valutazione che prescinda dal rigoroso rispetto dei tariffari", vista "la complessità" e "la mole di lavoro" da svolgere. In sintesi il tribunale di Bari sostiene che Unicredit ha pagato i due periti con un compenso che il collegio non aveva mai disposto: 470 mila euro sarebbero stati saldati ai due "arbitri" che dovevano stilare il documento, utilizzato persino nel prospetto informativo, ora al centro dell' indagine della Procura. È emerso poi che Morera aveva già difeso Unicredit, in diverse cause giudiziarie, circostanza curiosa, non smentita dalla banca, che però al Fatto spiega: il perito aveva messo il tribunale al corrente di tutto. Intanto il tribunale dispone una nuova perizia: spetterà a un altro esperto, nominato sempre dai giudici, rivalutare l' effetto dei derivati e gli interessi relativi. RIGUARDO la richiesta di rinvio a giudizio per bancarotta, contattata dal Fatto, Unicredit fa sapere di non averne evidenza, ma ribadisce la "piena fiducia nella magistratura". Sulla lettera inviata ai due consulenti, invece, Unicredit spiega che "la prima a fornire l' assenso, in merito alla quantificazione dei compensi dei consulenti della Procura, che poteva variare da un minimo di 142 mila euro a un massimo di 213 mila euro cadauno, fu proprio Divania, salvo poi non provvedere al pagamento. Un mese dopo aderimmo anche noi". Il gruppo ricorda inoltre che "la perizia in questione è stata redatta da due diversi consulenti tecnici ed è perfettamente in linea con l' esito di altre due perizie redatte nell' ambito della stessa vicenda". La palla, però, ora passa alla procura, e l' accusa è davvero pesante.
di Carlo Di Foggia e Antonio Massari

04/07/2015

Documento n.10040

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