DERIVATI AVARIATI: CROLLA IL CASTELLO DI SABBIA DI CARLYLE,IL FONDO PIU' GRANDE DEL MONDO,SPONSORIZZATO DA CHICCO TESTA E LETIZIA MORATTI

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CARLYLE, IL FONDO D’INVESTIMENTO PIÙ GRANDE DEL MONDO, STA PER CROLLARE (22 MLD $ DI DEBITI) - ALLE FORTUNE ITALIANE HANNO CONTRIBUITO CHICCO TESTA E LETIZIA MORATTI – MENO PROPIZIO MARCO DE BENEDETTI… Luigina Venturelli per “l’Unità” Il fallimento è ormai imminente. Il colosso americano Carlyle - il gruppo privato d’investimento più grande del mondo, alle cui fortune italiane hanno contribuito personalità come Chicco Testa, Letizia Moratti e Marco De Benedetti - sta per crollare sotto il peso di una valanga di debiti. Le voci si rincorrevano ormai da giorni. Ieri è arrivata la conferma: Carlyle Capital, la divisione che si occupa della gestione dei fondi private equity, ha annunciato di non aver potuto rimborsare i 21,7 miliardi di dollari di prestiti ricevuti dalle banche e di prevedere quindi una perdita degli asset rimasti nel suo portafoglio. Il titolo, quotato alla borsa di Amsterdam, ha così perso il 93% del suo valore, trascinando al ribasso i finanziari su tutte le piazze mondiali. Quasi impossibile calcolare le conseguenze di una simile bancarotta: negli anni migliori, prima dell’attentato alle Torri gemelle di New York, il gruppo vantava 13 miliardi di dollari d’attivo in gestione, 16 miliardi di profitti annui e partecipazioni in 164 società con oltre 70mila dipendenti. Anche il gruzzolo investito in Europa era di tutto rispetto: oltre due miliardi di dollari, suddivisi in tre fondi di private equity ed affidati alle cure di un consiglio d’amministrazione pieno di vip. Il che, nel mondo della finanza, significa persone con le giuste entrature politiche: ex segretari di stato Usa come James Baker, ex segretari alla Difesa come Frank Carlucci, ex premier britannici come John Major. Una regola valida anche per i rappresentanti italiani, ben inseriti nei palazzi romani e nei salotti dell’alta borghesia nazionale, nonostante le credenziali meno appariscenti dei colleghi anglosassoni. Chicco Testa, per dire, è stato un militante della sezione milanese del Pci intitolata a Carlo Marx (quella in via Orti) prima di diventare deputato Pds, presidente di Legambiente, Enel, Acea, e quindi referente del gigante Carlyle, che grazie al manager incassò l’investimento di maggior successo mai realizzato in Italia. Era il 2003: la finanziaria statunitense comprò il 70% di Fiat Avio con Finmeccanica, con il via libera del Tesoro e della Difesa, e sbaragliò la concorrenza dei francesi di Snecma. Il tutto senza nemmeno spendere granché, 600 milioni di euro (più un miliardo finanziato con indebitamento scaricato sulla società acquisita) per un’azienda aerospaziale che fattura quasi il triplo e genera ogni anno 200 milioni di utili. Forse come contropartita, Finmeccanica è poi riuscita a ottenere commesse dall’amministrazione di George W. Bush per la fornitura di elicotteri. Parte del merito va riconosciuta anche a Letizia Moratti, oggi sindaco di Milano, che siedeva nel board londinese di Carlyle negli anni precedenti a Testa: la signora, già presidente Rai e poi ministro dell’Istruzione, portò la finanziaria Usa ad investire in due aziende leader come la Riello di Verona (bruciatori) e la Tecnoforge di Piacenza (raccordi per oleodotti). Mancò l’affare Marconi Mobile (comunicazioni militari, poi fagocitate da Finmeccanica), ma i buoni rapporti da lei costruiti con la politica avrebbero presto dato i loro frutti. La strategia del colosso finanziario statunitense si è dimostrata infallibile anche nella prima cartolarizzazione decisa cinque anni fa da Giulio Tremonti: il fondo Usa comprò immobili dal Tesoro per 230 milioni di euro, con uno sconto del 32% sul prezzo di partenza, e gli americani ricambiarono prendendo pochi mesi dopo l’intero patrimonio immobiliare del Sanpaolo-Imi (con la consulenza dei legali Clifford Chance, partner dello studio Tremonti). Meno fortunata, invece, l’esperienza di Marco De Benedetti, figlio dell’ingegner Carlo ed ex amministratore delegato Tim: nel maggio 2007 ha cercato di chiudere per Carlyle l’acquisto della maison di moda Valentino, ma è stato sconfitto dal fondo anglosassone Permira. I tempi ormai erano cambiati, la crisi di oggi era alle porte. Dagospia 14 Marzo 2008

14/03/2008

Documento n.7189

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