Da SoldiOnline (18-11-05) FMI, il creditore che incassa meglio

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FMI, il creditore che incassa meglio di Libero Irpino 18 novembre 2005 16.35 stampa l’articolo invia l’articolo In meno di due anni, il Fondo Monetario Internazionale ha incassato quasi 30.000 milioni di dollari, senza contare gli interessi. Argentina, Brasile, Russia e Turchia si sono fatti carico della maggior parte dell’amontare. E gli obbligazionsiti privati languono... Il Fondo Monetario Internazionale viene spesso messo sotto accusa in numerosi paesi del mondo per il ruolo svolto nelle crisi che periodicamente si sono abbattute sul sistema finanziario. Ma quando arriva il momento di tirare le somme e fare un rapido bilancio tra entrate e uscite, si nota un consenso unanime: il Fondo è il creditore più efficinete nella fase di incasso degli interessi maturati. Così, dopo aver lanciato nel 2002 un programma per ridurre il livello di rischio creditizio (in pratica, la probabilità di non riuscire a recuperare i soldi dati in prestito), in soli venti mesi il Fondo Monetario ha incassato dai Paesi più indebitati circa 30.000 milioni di dollari. Il piano ha permesso all’Istituzione di abbassare la propria esposizione creditizia di circa il 40%. Questa cifra non include gli interessi – anch’essi già recuperati – che ammontano a circa 10.000 milioni di dollari Usa. Curiosando nella lista dei paesi più indebitati del mondo, è interessante notare che la Russia è stato il paese più virtuoso nelle operazioni di restituzione del debito. Mosca ha cancellato per intero il debito con il FMI. A ruota seguono il Brasile (che ha ridotto del 45% il suo debito), la Turchia ( -34,4%) e l’Argentina (-30,5%). La riduzione del debito non risponde ad iniziative proprie dei singoli Stati debitori, ma è una conseguenza diretta di una politica globale del FMI. Nel 2002, i vertici del FMI hanno preso in seria considerazione i rischi derivanti dagli enormi prestiti concessi a Brasile, Turchia e Argentina. Dopo un’approfondita analisi della situazione, il FMI si rese conto che l’80% dei crediti concessi erano concentrati in cinque paesi. E’ chiaro che una dichiarazione di default da parte di uno solo di questi Paesi avrebbe avuto un impatto rilevante sui conti del Fondo. Nel caso argentino, la riduzione del debito con il FMI ha subito una forte accelerazione a partire del 2004, quando, di comune accordo, è stato sospeso l’accordo firmato nel 2003. In altri termini, l’Argentina continua a pagare gli interessi e a restituire i prestiti in scadenza, senza aver ottenuto i finanziamenti che il FMI si era impegnato a concederle nel 2003. Se fosse stato rispettato l’accordo originario, il FMI avrebbe dovuto sborsare circa 5.500 milioni di dollari, una somma vicina a quella incassata con l’incasso dei prestiti in scadenza. Il governo argentino ha potuto far fronte alle pressioni del Fondo solo elevando il superavit fiscale, chiedendo nuovi anticipi transitori al Banco Central, e collocando nuovi titoli di debito (obbligazioni) sui mercati internazionali. Secondo un report curato dall’economista Ruben Lo Vuolo, la decisione del governo di adattarsi agli indirizzi dettati dal FMI, rappresenta un segnale preciso di quanto importante sia per un Pvs non perdere la fiducia del FMI e dei paesi che lo controllano (G7), anche a costo di tradire gli impegni con gli altri creditori. Secondo Lo Vuolo, questo comportamento spiega il perchè l’esecutivo argentino abbia scaricato sugli investitori privati ( i possessori dei bond argentini) l’intero costo del default. Il FMI giustifica il suo atteggiamento sostenendo che il suo diritto di incassare per primo deriva dal rischio che l’Istituzione si accolla nel momento in cui presta somme rilevanti a Paesi che, in particolari fasi di mercato, non riuscirebbero a raccogliere capitali sul mercato. La replica degli osservatori indipendenti è che con questo meccanismo il FMI ha contribuito a prolungare l’agonia della convertibilità, finanziando la fuga di capitali iniziata nel 2001 e proseguita nel 2002.

22/11/2005

Documento n.5283

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