CRISI MUTUI: ASPETTANDO GODOT A BRETTON WOODS

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Aspettando Godot a Bretton Woods di Eugenio Scalfari ( Repubblica.it del 09/11/2008 ) Il 15 novembre, sabato prossimo, si riunirà a Washington il grande vertice d'Occidente per decidere quali misure prendere per impedire che la grave recessione si trasformi in una grande depressione e per gettare le basi d'una nuova Bretton Woods, cioè del nuovo assetto dell'economia mondiale. Sarkozy, nella riunione dell'altro giorno a Parigi dei ventisette paesi dell'Unione europea, ha detto che nell'incontro di Washington dovranno esser prese "decisioni forti". Previsione alquanto azzardata, almeno per ciò che riguarda la nuova Bretton Woods. Ed anche per i provvedimenti che servono a bloccare o almeno a contenere la crisi di "Main Street", come gli americani chiamano l'economia reale a differenza di "Wall Street" che sta a designare l'economia finanziaria. Se il vertice di Washington non producesse decisioni forti i mercati sarebbero delusi e questo sarebbe un grosso guaio. Il presidente francese parlerà il 15 novembre a Washington in nome dell'Unione europea da lui presieduta fino al prossimo 31 dicembre. Il suo interlocutore sarà George W. Bush, presidente in scadenza degli Stati Uniti. Bush ha ancora 72 giorni di permanenza in carica, il suo successore è stato eletto da cinque giorni e costituzionalmente entrerà in carica il 20 gennaio. Certamente darà suggerimenti a Bush e certamente quei suggerimenti saranno ascoltati per quanto riguarda le misure di massima urgenza. I programmi a lungo termine dovranno invece aspettare l'insediamento di Obama alla Casa Bianca. Perciò, almeno per buttar giù le fondamenta della nuova Bretton Woods, dal "meeting" di Washington non arriveranno che generici auspici e nulla di più. Del resto le proposte europee formulate dal vertice parigino consistono nell'attribuire al Fondo monetario internazionale poteri di controllo e di pronto intervento sui mercati finanziari internazionali e nella creazione di alcune Autorità di regolazione mondiale che veglino sulla trasparenza dei mercati e sulla natura dei titoli emessi. Sarebbe questa la Bretton Woods numero due? E la moneta internazionale resterebbe il dollaro? Moneta di pagamento e di riserva? Con facoltà per l'America di vivere sulle spalle del resto del mondo? L'Europa è stata a Parigi molto critica sull'attuale "dollar standard" ma non ha formulato alcuna proposta alternativa. E poi una nuova Bretton Woods che non sia una presa in giro non può esser nemmeno pensata senza la partecipazione delle potenze emergenti e di quelle che stanno invece inabissandosi nella povertà e nella disperazione. Vi pare che avremo "risposte forti" in materia dal vertice di sabato 15 a Washington? Dove non ci sarà neppure Barack Obama? * * * Torniamo alle misure di emergenza. Quelle sì, bisognerebbe prenderle subito. Obama ha già indicato alcuni punti di riferimento che però riguardano soprattutto l'economia americana. Anzitutto i riferimenti temporali: gli interventi necessari dovrebbero esser presi prima di Natale, cioè subito, per poter diventare esecutivi non oltre la metà di dicembre. Sul merito il nuovo presidente eletto ha dato per ora le seguenti indicazioni: dare liquidità alle tre "majors" dell'automobile, General Motors, Ford, Chrysler. Ci vogliono subito una quarantina di miliardi di dollari perché almeno due delle tre "majors" di Detroit rischiano l'insolvenza entro i prossimi trenta giorni. Obama ha poi chiesto sostegno creditizio per le imprese piccole e medie, ma non è andato oltre questa generica enunciazione. Si sa però che l'ordine di grandezza d'un siffatto intervento in prima battuta si aggirerebbe sui 150 miliardi. Ha suggerito infine un sostegno ai redditi delle famiglie fino ai 200mila dollari annui attraverso meccanismi di detassazione. E invece maggiori tasse sui redditi superiori ai 250mila dollari. Su questo capitolo le cifre sono puramente induttive ma è logico pensare ad altri 100 miliardi. Il totale raggiungerebbe dunque più o meno quei 250 miliardi che Bush e il suo ministro del Tesoro avevano stanziato come prima tranche per sostenere le banche in pericolo di "default" e rastrellare i titoli spazzatura. Per ora siamo a questo punto. Può darsi che Bush ripeta ai suoi interlocutori del 15 novembre questo programma del suo successore. Si tratta di misure strettamente limitate all'economia Usa, ma è pur vero che è lì il nucleo del problema e la fonte primaria della recessione in atto. Misure capaci di ripristinare la fiducia delle imprese e dei consumatori rilanciando la domanda e quindi alleggerendo le scorte e mettendo in moto impianti e cantieri. Se questo avvenisse, sarebbe certamente un contributo importante anche per l'economia europea e internazionale. Tutto dipenderà dalla determinazione con cui Bush parlerà ai suoi interlocutori e dalla sponsorizzazione che riceverà dal suo successore. Un piano di rilancio dell'ordine di 250 miliardi (se questa fosse la cifra indicata) è certamente imponente in senso assoluto ma modesto di fronte all'immensità del disastro che il Fmi ha ripetutamente quantificato tra i 1.500 e i 2.000 miliardi di dollari. I mercati riprenderanno fiducia di fronte ad un pacchetto che rappresenta più o meno un decimo del disastro totale? * * * Naturalmente per produrre una svolta positiva alla crisi in corso non bisogna guardare soltanto all'America. Sul piatto della bilancia vanno messe anche l'Europa e la Cina, la Russia, l'India. Lasciamo da parte questi ultimi tre paesi e soprattutto la Russia che naviga in acque assai brutte e fa anche il cipiglio all'Occidente. E vediamo qual è in Europa lo stato dell'arte. Lo stato dell'arte, cioè della politica economica europea, è pessimo. Non solo dal giugno sorso, quando ci furono i primi segnali della crisi americana dei "subprime" ma da molto tempo prima. Pessima la politica economica della Commissione di Bruxelles per la parte di sua competenza, pessima la politica monetaria della Bce e pessima quella di gran parte dei governi nazionali membri dell'Ue. Politica restrittiva dei tassi, dei parametri che presiedono al patto di stabilità, della vigilanza sul sistema bancario. Ho letto ieri su "24 Ore" un articolo di Fabrizio Galimberti dal titolo "Ma si può dir male della Bce?". Finalmente, ma ve ne accorgete soltanto adesso? Noi ne diciamo male da un anno e mezzo ma non siamo economisti accademici, siamo soltanto giornalisti dei quali si dice male tutti i giorni. Non costa nulla dir male dei giornalisti anche se talvolta vedono più lontano dei banchieri centrali e della folta schiera dei loro sostenitori. La Bce ha mantenuto il tasso di sconto al 4,25 per cento per almeno due anni fino ad un mese fa, quando già infuriava la tempesta recessiva. Due punti sopra al tasso Usa. Poi, un mese fa, ha cominciato a ridurlo a passettini, con il contagocce seguendo con ritardo il crollo delle Borse e lo stallo delle imprese. Non hanno capito assolutamente niente della natura e delle dimensioni di quanto stava accadendo nell'economia americana. Della devastazione dei titoli spazzatura. Dell'inquinamento dei "derivati". E soprattutto della politica del debito che era diventata la base di una piramide rovesciata, di un "boom" cartaceo che si reggeva sulla punta anziché sulla base. Si incoraggiava il debito facile e su di esso si creavano profitti enormi ma enormemente precari. Nel giugno scorso arrivò il primo scossone, ma le istituzioni in Europa hanno continuato come niente fosse. I "fondamentali" - così dicevano - sono solidi. Fino a quando ci abbiamo sbattuto il muso contro. Si dice: però fin dai primi segnali di crisi non hanno fatto mai mancare liquidità al sistema. Questo è vero: sia la Fed sia la Bce hanno inondato il sistema di liquidità. Con prestiti reiterati a breve e brevissimo termine. Nell'ultima fase, una ventina di giorni fa, anche i governi si sono finalmente svegliati intervenendo al salvataggio di alcune banche in "default" (in Gran Bretagna, in Germania, in Francia, in Olanda, in Belgio) e fornendo in tutti i paesi dell'Ue una garanzia pubblica sui depositi, con il motto "nessuna banca fallirà". Si pensava che bastasse, ma ovviamente non è bastato. La garanzia dei depositi è un puro e semplice "spot" mediatico. Può servire a ridare fiducia ma nessun governo del mondo sarebbe in grado di garantire i depositi di fronte ad un "default" bancario. Una grande banca amministra depositi per decine di miliardi. Lo "spot" serve a rassicurare i depositanti e non costa nulla, ma se i depositanti dovessero fare ressa agli sportelli anche di una sola grande banca, verrebbe giù tutto come un castello di carta. Per fortuna non siamo a questo. Allora tutto va bene? Nient'affatto. Sapete dove è finita la liquidità che la Bce ha fornito alle banche? E' finita nelle casse della Bce, questo è il paradosso. Era stata data nella speranza che il credito interbancario, cioè quello che le banche si prestano reciprocamente, riprendesse a scorrere fluentemente. Invece le banche hanno ridepositato la liquidità presso la Banca centrale. Ci lucrano un differenziale ma intanto tagliano i crediti ai clienti. Le cifre sono queste: il 10 settembre i depositi delle banche alla Bce di Francoforte ammontavano a 48 milioni di euro; al 31 ottobre ammontano a 280 milioni. E' evidente che il meccanismo si è inceppato ma nessuno è ancora corso ai ripari. Un altro problema non risolto e difficilmente risolvibile riguarda i Fondi d'investimento. I clienti scappano chiedendo la restituzione dei risparmi investiti. Nei primi dieci mesi di quest'anno le richieste di riscatto sono state di 55 miliardi di euro. Per farvi fronte i Fondi scaricano sulla Borsa i loro portafogli e i listini vanno giù. * * * Adesso è entrata in crisi l'economia reale: aumenta la disoccupazione, diminuisce il reddito reale delle famiglie, tutto il lavoro precario è sotto schiaffo. Il lavoro precario non usufruisce nemmeno di ammortizzatori sociali, non è prevista finora la Cassa integrazione. Attenzione: i precari sono ormai alcuni milioni di persone. Finora il problema era quello di favorirne il passaggio a contratti stabilizzati, ma ora il problema è un altro: evitare che le imprese li buttino sulla strada e predisporre qualche tutela per la loro disoccupazione. Gli impiegati statali si trovano anch'essi in questa situazione perché la pubblica amministrazione è piena di precari. Fannulloni? Alcuni probabilmente sì ma tutti sicuramente no. Ma è facile farli fuori alla scadenza dei contratti. Il governo ha stanziato un fondo di 650 milioni per sostenere le imprese. Ho riletto più volte questa cifra, credevo si trattasse di un refuso, che mancasse uno zero. Invece no, si tratta di milioni e non di miliardi. Altri 600 milioni dovrebbero servire per rafforzare la Cassa integrazione. Ma se arriva l'ondata dei precari anche questa cifra diventerà ridicola. "Non ci sono soldi" dice Tremonti ed è vero, non ce ne sono. Avete buttato dalla finestra tre miliardi e mezzo annui per abolire l'Ici sulle case degli abbienti. Malgrado i tagli alle spese il fabbisogno del Tesoro è in costante aumento e di conseguenza aumenta il debito pubblico e l'onere degli interessi. Vuol dire che la lotta all'evasione è stata abbandonata. Ora si sta studiando un provvedimento molto opportuno: prelevare l'Iva al momento dell'incasso del credito e non al momento della emissione della fattura. Un respiro per le imprese, ma ovviamente una diminuzione di entrate da parte dell'erario. Tuttavia salari e pensioni debbono essere aumentati altrimenti il consumo, gli investimenti, la disoccupazione andranno in crisi ancora di più. Ci vuole un piano di rilancio, bisogna immaginare una copertura e utilizzare i margini di flessibilità che l'Europa finalmente concede. Il governo pensa alla Cassa depositi e prestiti e ai 100 miliardi di risparmio postale che essa amministra. Per fare che cosa? Per metterli dove? Sono depositi di povera gente, libretti postali di vecchi, i risparmi di una vita. Che cosa volete farne? Lo deciderete in nove minuti per decreto e con la fiducia? Cento miliardi di povera gente in operazioni di rischio? Ma siete matti? Post Scriptum. Il clamore sulla "abbronzatura" del presidente eletto degli Stati Uniti ha indignato il premier italiano. Era una carineria - ha detto - e la stampa imbecille di tutto il mondo non l'ha capita. Io penso che Berlusconi abbia ragione, il clamore è stato eccessivo. Dovrebbe esser chiaro a tutti che l'Italia ha liberamente scelto di affidare il governo nazionale ad un comico. E' un comico un po' invecchiato ma pur sempre di prim'ordine. Chi se ne stupisce e se ne indigna è male informato. Si tratta di un attore della premiata ditta del Bagaglino. Barack Obama che è intelligente l'ha capito e gli ha telefonato. Forse qualche risata se la sarà fatta anche lui. (9 novembre 2008

10/11/2008

Documento n.7583

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