CRACK LEHMAN: IL SENATORE LANNUTTI, PRESENTA MOZIONE AL SENATO PER RIFORMA ORDINE MONETARIO,UNA NUOVA BRETTON WOOD.

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Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 1-00033 Atto n. 1-00033 Pubblicato il 2 ottobre 2008 Seduta n. 64 LANNUTTI , BELISARIO , ASTORE , BUGNANO , CAFORIO , CARLINO , DE TONI , DI NARDO , GIAMBRONE , LI GOTTI , MASCITELLI , PARDI , PEDICA , RUSSO , MUSI , BARBOLINI Il Senato, premesso che: le convulsioni finanziarie scatenate dal crollo dei mutui sub-prime dell’estate 2007, un vero e proprio tsunam, culminate con i fallimenti a catena di alcune banche di affari, come Lehman Brothers, la quarta banca americana (in data 15 settembre 2008), e le cui intensità e portata possono essere paragonabili alla caduta del muro di Berlino, sono solo un anello di una lunga catena di una crisi finanziaria ed economica sistemica; dopo aver fortemente ridotto il controllo regolatorio e tollerato rapporti poco chiari tra banche di affari, che emettevano montagne di denaro dal nulla con una leva finanziaria di 1 a 30, con le agenzie del rating, in alcuni casi controllate dalle stesse banche (le tre sorelle Usa della certificazione Moody’s, Standard & Poor’s, Fitch) che ne certificavano il massimo dell’affidabilità con rating di tripla “A”, l’America si è risvegliata improvvisamente con l’incubo di una crisi superiore, per intensità, durata e diffusione nei mercati globali, a quella del 1929; come è stato scritto, gli Stati Uniti hanno dovuto oggi firmare una cambiale in bianco che costa come la guerra in Iraq in un’unica rata del valore di 700 miliardi di dollari. Tanto costerà secondo il Tesoro il maxi-fondo federale destinato ad "alleggerire" le banche americane di tutti i titoli-spazzatura legati ai mutui insolventi. Per fermare la spirale dei crac il contribuente deve dunque accollarsi un onere che equivale al costo diretto sostenuto finora nei cinque anni e mezzo di occupazione dell'Iraq. Per salvare Wall Street dal naufragio il debito pubblico americano aumenta del 5 per cento del Pil, e sale a 11.300 miliardi di dollari. Ma la previsione potrebbe rivelarsi troppo ottimistica. Molti stimano che il costo del salvataggio pubblico di tutte le banche salirà a 1.000 miliardi di dollari. Tanto più che il piano della Casa Bianca è di un'estrema vaghezza. Praticamente, il segretario al Tesoro Henry Paulson chiede una discrezionalità assoluta per poter decidere a quali condizioni comprerà dalle banche la montagna di titoli oggi invendibili sul mercato; sempre in base a quanto riportato dalla stampa, tutto l'andamento del mercato è stato falsato tecnicamente, partendo da un presupposto discutibile: che i crolli delle azioni di Lehman Brothers o Aig fossero stati ingigantiti dalle manovre speculative dei ribassisti. La speculazione naturalmente esiste, ma non è "cattiva" solo quando punta al ribasso. È stata almeno altrettanto nociva quella speculazione rialzista che per anni ha gonfiato i titoli di istituzioni finanziarie che erano in realtà candidate alla bancarotta per le voragini di perdite nascoste nei loro bilanci. La stessa Sec che ora ha individuato i ribassisti come capro espiatorio, è uno dei massimi responsabili del lassismo: quattro anni fa appoggiò un allentamento delle regole per consentire alle merchant bank di alzare alle stelle il loro livello di indebitamento. Ne ha approfittato tra le altre Lehman Brothers, che alla vigilia della bancarotta aveva un quoziente di indebitamento di 30 a 1. Altri timori si concentrano sulle modalità di acquisto dei titoli-spazzatura da parte del maxifondo statale. Quando furono liquidate le Savings and Loans all'inizio degli anni Ottanta, il loro patrimonio era fatto di immobili che lo Stato riuscì a vendere sia pure a prezzi ridotti. Oggi i portafogli delle banche sono pieni di cartaccia, titoli legati ai mutui che non hanno più un mercato, quindi non hanno un prezzo attendibile; per comprendere e spiegare il fenomeno che ha mandato in frantumi il mondo della finanza bisogna guardare dietro la rapida successione degli eventi: prima i crac di colossi finanziari americani, poi i crolli delle Borse mondiali e la paralisi del credito, infine l'euforia "drogata" dal più gigantesco piano di nazionalizzazioni e salvataggi pubblici varato in America dai tempi della Grande Depressione. Non è solo un modello dell'economia di mercato senza regole a tramontare. La svolta di questo settembre 2008 ha un significato storico più profondo, ben oltre il bilancio dei punti guadagnati o persi da questa o quella ideologia; da questa grande crisi esce distrutta l'autorevolezza del modello economico americano, quel capitalismo finanziario reso ipertrofico e irresponsabile da un ventennio di ritirata dei poteri dello Stato sui mercati. Il crac di Wall Street del 1929 preannunciò un'epoca nuova, nuove idee e dottrine rivoluzionarie che segnarono la storia del secolo: per superare la Grande Depressione l'America di Franklin Delano Roosevelt esportò un modello universale di regolazione dei mercati, di intervento keynesiano nell'economia, di Welfare State e investimenti pubblici nei beni collettivi; sarebbe troppo comodo, e sostanzialmente inesatto, attribuire questo disastro alla sola Amministrazione Bush o alla destra americana. Dai tempi di Ronald Reagan anche larga parte dell'America progressista e democratica è stata soggiogata dall'egemonia culturale del neoliberismo economico. Dalle privatizzazioni, dalla benefica deregulation anti-monopolistica, dalla giusta valorizzazione dello spirito d'impresa e del dinamismo dell'economia di mercato, si è scivolati progressivamente verso qualcosa di molto diverso. Si sono stravolti i valori e i principii essenziali del liberalismo fondato sui contropoteri e l'etica della responsabilità. Si è teorizzata sempre più apertamente la capacità dei mercati di auto-regolarsi. Il potere dell'alta finanza e della grande industria si è annesso le istituzioni che dovevano essere le guardiane indipendenti dell'economia, della moneta e del credito. Alla guida dei massimi organi di controllo e di vigilanza sono stati chiamati coloro che dovevano essere controllati e vigilati. Le authority sono diventate succursali subalterne delle lobby. È in questo groviglio di conflitti d'interessi che affondano le radici antiche del disastro attuale; all'Europa non conviene certo aspettare che siano le future potenze - Cina, India, Russia - a negoziare con l'America le nuove regole del gioco dell'economia di mercato. In questa fase di transizione e di incertezza, mentre le potenze emergenti non hanno veri modelli alternativi da proporre, l'Unione europea deve pretendere dagli Stati Uniti l'apertura di un tavolo di negoziato sui nuovi principi di regolazione della finanza globale. I danni che Wall Street e i debiti americani stanno infliggendo al mondo sono più che sufficienti: autorizzano ad esigere che l'America elabori insieme al nostro Paese un sistema di controlli e di vigilanza globale, per impedire il ripetersi di una crisi simile; la tanto decantata autoregolamentazione del mercato si è dimostrata totalmente incapace di mantenere il sistema su binari funzionanti. Il fatto che anche i fautori e gli organizzatori della deregulation economica siano giunti a questa conclusione non dovrebbe creare l’illusione che esiste un consenso sulle analisi e sulle contromisure necessarie; la crisi, che ha avuto un’accelerazione esponenziale negli ultimi 10-15 anni, è in realtà partita con la decisione del 15 agosto del 1971 di sganciare il dollaro, moneta dei pagamenti internazionali e del commercio mondiale, dal valore delle riserve auree. L’oro, che non ha qualità magiche, serviva solamente ad ancorare il valore del dollaro e delle altre monete a un riferimento reale. Da quel momento si sono permessi la crescita cancerosa di capitale fittizio, l'affermazione di un sistema di cambi monetari fluttuanti e il progressivo sganciamento della finanza, soprattutto quella speculativa, dagli andamenti sottostanti dell’economia reale produttiva; il sistema finanziario e monetario sempre più deregolamentato e sottratto ai controlli preposti, ha minato ogni forma di governance dando così origine ad una serie di bolle finanziarie, fagocitando i settori industriali, commerciali e agricoli produttivi; la bolla speculativa finanziaria più pericolosa e fuori da ogni controllo è quella dei cosiddetti prodotti finanziari derivati. Secondo le stime della Banca dei regolamenti internazionali (BRI) di Basilea, il valore nozionale dei derivati Over The Counter (OTC), cioè quelli trattati fuori dai mercati ufficiali e non registrati sui bilanci delle banche e degli altri operatori finanziari, ammonta a oltre 600.000 miliardi di dollari, con un aumento medio esponenziale annuo del 25 per cento. Basta paragonare questa bolla speculativa, inesistente 20 anni fa, al Pil mondiale, calcolato intorno a 55.000 miliardi di dollari a prezzi correnti, per avere la fotografia della crisi; più recentemente, e con una pressione sempre crescente, questa speculazione in derivati (future, eccetera) si sta impadronendo di settori produttivi strategici come l’energia, il petrolio, le materie prime e i prodotti alimentari, provocando artificialmente impennate inflazionistiche sui prezzi che avranno conseguenze drammatiche anche sul piano sociale, migratorio, ambientale, politico e militare; gli Stati e i Governi, le banche centrali e altre simili istituzioni, che sono stati sempre più esautorati dal processo di deregolamentazione, adesso sono chiamati dalle stesse banche e società finanziarie in crisi a intervenire con i soldi pubblici a coprire le perdite, a iniettare nuova liquidità in un sistema fallimentare; sempre più governi e istituzioni chiedono a gran voce una nuova architettura monetaria e finanziaria globale, una Nuova Bretton Woods, come il governo russo e quello cinese, tutti i Paesi emergenti e recentemente, a nome di grandi organizzazioni politiche e sociali, anche un gruppo di leader della socialdemocrazia europea guidato dall’ex cancelliere tedesco Helmut Schmidt. L’Italia è stata pioniera in queste iniziative: recentemente è stato il Ministro dell’economia e delle finanze Giulio Tremonti a farsi promotore della Nuova Bretton Woods, ma già nel 2005 una mozione per una Nuova Bretton Woods presentata dall’allora onorevole Mario Lettieri (che avrebbe successivamente ricoperto, nel corso della XV Legislatura, la carica di Sottosegretario di Stato per l’economia e le finanze), venne dibattuta e approvata dalla maggioranza della Camera dei deputati; come nella conferenza del 1944 tenutasi nella città di Bretton Woods nello stato del New Hampshire (USA), dove si incontrarono i rappresentanti dei governi del mondo occidentale per definire un sistema di relazioni economiche e monetarie per regolamentare la ricostruzione del dopoguerra e i futuri rapporti internazionali, oggi i capi di Stato e di governo di tutto il mondo, affiancati da istituzioni internazionali e anche da gruppi privati interessati, devono ritrovarsi per esercitare la loro autorità congiunta e collettiva, per definire le nuove regole di un sistema monetario e finanziario capace di sostenere lo sviluppo di tutti i partecipanti e affrontare le sfide globali del futuro; considerato inoltre che, potrebbero essere presi come spunti significativi della Nuova Bretton Woods le seguenti proposte elaborate in collaborazione con l’economista Paolo Raimondi, presidente dell’Associazione “Diritti Civili – Nuova Frontiera”: riforma del sistema monetario, reintroducendo tra l’altro: a) la stabilità di un sistema moderno di cambi fissi, modificabili solamente nel contesto di accordi sottoscritti dalle parti e agganciati agli andamenti delle economie reali; b) l’ancoraggio ad un sistema di riserve auree oppure a un paniere di materie prime e/o di monete da stabilire; c) la definizione di una nuova moneta o di un paniere di monete (quindi non più solamente il dollaro) accettato nel sistema dei pagamenti internazionali; d) controlli contro la speculazione sui cambi; e) controlli sui movimenti di capitali; f) definizione dei nuovi compiti delle organizzazioni internazionali come il FMI e la Banca Mondiale, il cui ruolo è stato stravolto nelle crisi recenti; riforma del sistema finanziario, attraverso tra l’altro: a) il congelamento dei prodotti derivati esistenti; b) l’introduzione per il futuro di regole più stringenti per gli accordi privati OTC, per prosciugare la bolla dei derivati; e per definire il loro funzionamento futuro; c) l’obbligo di negoziazione in borsa dei derivati, di standardizzazione, di autorizzazione da parte di un’autorità di controllo; d) la non detraibilità fiscale delle attività svolte nei centri off-shore; e) l’interdizione delle attività speculative degli hedge fund, delle operazioni di cartolarizzazione (emissione di titoli sulla base di altri titoli di debito); f) adeguata tassazione sia sulle operazioni finanziarie speculative che sui redditi provenienti dalle suddette operazioni; g) il sostegno del settore bancario e creditizio pubblico e privato necessario e indispensabile alla politica di investimenti reali e produttivi; riforma del sistema commerciale, attraverso tra l’altro: a) la revisione dell’accordo istitutivo del World Trade Organizations; b) la promozione e il sostegno di grandi investimenti infrastrutturali a livello continentale nei settori dei trasporti, energia, comunicazioni, R&D, eccetera; c) creazione di organismi di finanziamento (bond produttivi) di simili progetti come ad esempio previsto dal “Piano Delors”; d) riforme fiscali favorevoli agli investimenti e al riutilizzo virtuoso dei profitti nel sistema produttivo; definizione di principi doganali, di protezioni sociali e di garanzie ambientali in un nuovo trattato di unione commerciale globale, impegna il Governo a lavorare con urgenza, insieme al Parlamento e alle altre istituzioni competenti a livello nazionale, europeo e internazionale, affinché la riforma della Nuova Bretton Woods, cioè la riorganizzazione del sistema monetario e finanziario internazionale in crisi di collasso, sia messa come primo punto dell’agenda al prossimo summit del G8 programmato all’Isola della Maddalena in Sardegna nel luglio 2009.

05/10/2008

Documento n.7524

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