CRACK DELLA FINANZA: I COSTI DELLA CRISI AMERICANA ADDOSSATI AD ITALIA E UE.

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Il costo per noi della crisi americana ( KataWeb News del 24/09/2008 ) Alle 02:34 - Fonte: rampini.blogautore.repubblica.it - 0 commenti Sarkozy chiede la riunione di un G-7 speciale sulla crisi finanziaria mondiale. Si spera abbia le idee chiare su ciò che vuole in quella sede. Gli americani le hanno chiarissime: vogliono soldi. Il segretario al Tesoro Henry Paulson ha chiesto che l'Europa e il Giappone seguano il suo esempio, creando maxi-fondi (il suo è di 700 miliardi di dollari) per acquistare i titoli-spazzatura che affondano i bilanci delle banche. Paulson ha il terrore che i colossi bancari stranieri - soprattutto quelli con ampie attività americane come l'Ubs svizzera ola Barclays inglese - vogliano scaricare la loro "monnezza" finanziaria sul suo fondo. Gli europei, se hanno lucidità e coraggio, dovranno respingere le pressioni di Paulson. Questa crisi l'hanno fabbricata gli Stati Uniti, hanno contagiato il mondo intero: l'onere maggiore per uscirne tocca a loro. Ma non facciamoci illusioni. Perfino se l'Europa trova la forza per dire un secco "no" oggi, nei mesi e negli anni a venire scopriremo che gli Stati Uniti ce l'avranno fatta pagare lo stesso, la fattura di questa crisi. Per il momento il piano Paulson deve superare un fuoco di sbarramento in America. Col passare dei giorni quel maxifondo per il salvataggio delle banche ha rivelato difetti macroscopici. 700 miliardi che l'Amministrazione Bush chiede al contribuente rischiano di essere non il tetto finale ma la base minima di partenza. I costi possono lievitare ben oltre, se il Tesoro fissa un prezzo troppo alto per i titoli che compra dalle banche: cioè i titoli strutturati che rappresentano altrettanti mutui-casa, e che sono all'origine di questa crisi. Il dilemma è reale. Se Paulson compra quei titoli dalle banche a prezzi troppo bassi, nei bilanci degli istituti di credito possono aprirsi nuovi buchi, che provocheranno altri fallimenti. Pagarli generosamente, invece, servirebbe a ricapitalizzare le banche, restituendo un po' di solidità a un sistema finanziario disastrato. E' difficile trovare l'equilibrio. Da una parte c'è il rischio del favoritismo, la prospettiva di offrire un regalo scandaloso a una classe di banchieri incompetenti e ingordi (da cui proviene lo stesso Paulson). D'altra parte se il Tesoro è troppo "tirchio" la cura può rivelarsi inadeguata e ci saranno nuove crisi. Sulla valutazione dei titoli-spazzatura Paulson inizialmente ha adottato un atteggiamento sospetto. Il suo primo messaggio è stato: fidatevi di me. Ha chiesto al Congresso un mandato aperto, carta bianca, poteri assoluti. Dopo decenni in cui la mancanza di trasparenza e l'inadeguatezza dei controlli hanno creato le premesse del grande crac, Paulson ha riproposto la stessa ricetta: zero trasparenza, nessun controllo. E' la ragione per cui il Congresso di Washington non gli ha dato subito la sua approvazione, condizionandola a una serie di concessioni. Per esempio che vi sia un tetto alle buonuscite milionarie per i top manager delle banche che riceveranno l'aiuto pubblico. Sembra il minimo ma Paulson fino a ieri ha opposto una fiera resistenza. Il Congresso esige che il piano includa aiuti alle famiglie bisognose che subiscono i pignoramenti delle case. E' giusto che i parlamentari insistano sulla dimensione sociale di questa crisi. Ci sono milioni di pensionati e pensionandi, per esempio, che hanno visto decurtato il valore dei loro fondi pensione dopo la caduta di Wall Street. C'è il rischio tuttavia che a un mese e mezzo dalle elezioni (non solo presidenziali ma anche legislative) si assista a una gara demagogica, col risultato che il costo del piano di salvataggio salirà a 1.000 miliardi e oltre. Dal 5% del Pil americano la fattura potrebbe lievitare al 7% o più su. Le conseguenze saranno pesanti per il contribuente americano ma anche per noi. Dagli eccessi di debiti tutti gli Stati storicamente sono usciti stampando moneta, creando inflazione e svalutazione. In queste ore Washington genera una nuova colossale montagna di debiti, che l'America "spalmerà" sul resto del mondo come ha sempre fatto. Nell'immediato il potenziale inflazionistico non si vede, e probabilmente non lo si vedrà per qualche tempo. Perché siamo nel mezzo di una vera recessione - che coinvolge simultaneamente Stati Uniti, Europa e Giappone - e quindi la debolezza della domanda comprime i prezzi. La crescita sottozero dell'Unione europea a sua volta deprime l'euro, quindi si è arrestato il deprezzamento del dollaro. L'iperinflazione del petrolio e delle materie prime ha lasciato il posto alla deflazione, salvo brusche fiammate in controtendenza: la volatilità è dovuta alle scommesse degli hedge funds che non hanno più una bussola, in uno scenario mondiale ad altissima incertezza e instabilità. La forza della deflazione poggia su un dato dell'economia reale: le case in America perderanno ancora il 25% o il 30% del loro valore, la disoccupazione è in crescita, i consumi ristagnano. Ma quando sarà passata questa recessione vedremo l'immenso potenziale inflazionistico le cui premesse nascono adesso. Al di là dei frenetici sbalzi d'umore quotidiani dei mercati finanziari, dietro questa grande crisi c'è lo squilibrio fondamentale che da anni affligge l'economia mondiale. Da una parte c'è una nazione - ancora per qualche tempo la più ricca del pianeta - che ha vissuto al di sopra dei propri mezzi, accumulando debiti pubblici e privati, debiti delle famiglie e disavanzi commerciali con l'estero, buchi nel bilancio federale e nelle banche. Dall'altra ci sono le potenze asiatiche - dall'Estremo Oriente al Golfo Persico, con Cina e Giappone in testa - che hanno forti avanzi commerciali e colossali eccessi di risparmio. Questa è la madre di tutti gli squilibri, la faglia sismica profonda da cui hanno origine in superficie i sussulti tellurici che chiamiamo crac finanziari. Finché non si cura questo immenso squilibrio non saremo fuori dalle tempeste. Uno degli ingredienti della cura sarà la svalutazione del dollaro, con cui l'America ridurrà il valore dei debiti che ha con il resto del mondo. rampini. Alle 02:34 - Fonte: rampini.blogautore.repubblica.it - 0 commenti Sarkozy chiede la riunione di un G-7 speciale sulla crisi finanziaria mondiale. Si spera abbia le idee chiare su ciò che vuole in quella sede. Gli americani le hanno chiarissime: vogliono soldi. Il segretario al Tesoro Henry Paulson ha chiesto che l'Europa e il Giappone seguano il suo esempio, creando maxi-fondi (il suo è di 700 miliardi di dollari) per acquistare i titoli-spazzatura che affondano i bilanci delle banche. Paulson ha il terrore che i colossi bancari stranieri - soprattutto quelli con ampie attività americane come l'Ubs svizzera ola Barclays inglese - vogliano scaricare la loro "monnezza" finanziaria sul suo fondo. Gli europei, se hanno lucidità e coraggio, dovranno respingere le pressioni di Paulson. Questa crisi l'hanno fabbricata gli Stati Uniti, hanno contagiato il mondo intero: l'onere maggiore per uscirne tocca a loro. Ma non facciamoci illusioni. Perfino se l'Europa trova la forza per dire un secco "no" oggi, nei mesi e negli anni a venire scopriremo che gli Stati Uniti ce l'avranno fatta pagare lo stesso, la fattura di questa crisi. Per il momento il piano Paulson deve superare un fuoco di sbarramento in America. Col passare dei giorni quel maxifondo per il salvataggio delle banche ha rivelato difetti macroscopici. 700 miliardi che l'Amministrazione Bush chiede al contribuente rischiano di essere non il tetto finale ma la base minima di partenza. I costi possono lievitare ben oltre, se il Tesoro fissa un prezzo troppo alto per i titoli che compra dalle banche: cioè i titoli strutturati che rappresentano altrettanti mutui-casa, e che sono all'origine di questa crisi. Il dilemma è reale. Se Paulson compra quei titoli dalle banche a prezzi troppo bassi, nei bilanci degli istituti di credito possono aprirsi nuovi buchi, che provocheranno altri fallimenti. Pagarli generosamente, invece, servirebbe a ricapitalizzare le banche, restituendo un po' di solidità a un sistema finanziario disastrato. E' difficile trovare l'equilibrio. Da una parte c'è il rischio del favoritismo, la prospettiva di offrire un regalo scandaloso a una classe di banchieri incompetenti e ingordi (da cui proviene lo stesso Paulson). D'altra parte se il Tesoro è troppo "tirchio" la cura può rivelarsi inadeguata e ci saranno nuove crisi. Sulla valutazione dei titoli-spazzatura Paulson inizialmente ha adottato un atteggiamento sospetto. Il suo primo messaggio è stato: fidatevi di me. Ha chiesto al Congresso un mandato aperto, carta bianca, poteri assoluti. Dopo decenni in cui la mancanza di trasparenza e l'inadeguatezza dei controlli hanno creato le premesse del grande crac, Paulson ha riproposto la stessa ricetta: zero trasparenza, nessun controllo. E' la ragione per cui il Congresso di Washington non gli ha dato subito la sua approvazione, condizionandola a una serie di concessioni. Per esempio che vi sia un tetto alle buonuscite milionarie per i top manager delle banche che riceveranno l'aiuto pubblico. Sembra il minimo ma Paulson fino a ieri ha opposto una fiera resistenza. Il Congresso esige che il piano includa aiuti alle famiglie bisognose che subiscono i pignoramenti delle case. E' giusto che i parlamentari insistano sulla dimensione sociale di questa crisi. Ci sono milioni di pensionati e pensionandi, per esempio, che hanno visto decurtato il valore dei loro fondi pensione dopo la caduta di Wall Street. C'è il rischio tuttavia che a un mese e mezzo dalle elezioni (non solo presidenziali ma anche legislative) si assista a una gara demagogica, col risultato che il costo del piano di salvataggio salirà a 1.000 miliardi e oltre. Dal 5% del Pil americano la fattura potrebbe lievitare al 7% o più su. Le conseguenze saranno pesanti per il contribuente americano ma anche per noi. Dagli eccessi di debiti tutti gli Stati storicamente sono usciti stampando moneta, creando inflazione e svalutazione. In queste ore Washington genera una nuova colossale montagna di debiti, che l'America "spalmerà" sul resto del mondo come ha sempre fatto. Nell'immediato il potenziale inflazionistico non si vede, e probabilmente non lo si vedrà per qualche tempo. Perché siamo nel mezzo di una vera recessione - che coinvolge simultaneamente Stati Uniti, Europa e Giappone - e quindi la debolezza della domanda comprime i prezzi. La crescita sottozero dell'Unione europea a sua volta deprime l'euro, quindi si è arrestato il deprezzamento del dollaro. L'iperinflazione del petrolio e delle materie prime ha lasciato il posto alla deflazione, salvo brusche fiammate in controtendenza: la volatilità è dovuta alle scommesse degli hedge funds che non hanno più una bussola, in uno scenario mondiale ad altissima incertezza e instabilità. La forza della deflazione poggia su un dato dell'economia reale: le case in America perderanno ancora il 25% o il 30% del loro valore, la disoccupazione è in crescita, i consumi ristagnano. Ma quando sarà passata questa recessione vedremo l'immenso potenziale inflazionistico le cui premesse nascono adesso. Al di là dei frenetici sbalzi d'umore quotidiani dei mercati finanziari, dietro questa grande crisi c'è lo squilibrio fondamentale che da anni affligge l'economia mondiale. Da una parte c'è una nazione - ancora per qualche tempo la più ricca del pianeta - che ha vissuto al di sopra dei propri mezzi, accumulando debiti pubblici e privati, debiti delle famiglie e disavanzi commerciali con l'estero, buchi nel bilancio federale e nelle banche. Dall'altra ci sono le potenze asiatiche - dall'Estremo Oriente al Golfo Persico, con Cina e Giappone in testa - che hanno forti avanzi commerciali e colossali eccessi di risparmio. Questa è la madre di tutti gli squilibri, la faglia sismica profonda da cui hanno origine in superficie i sussulti tellurici che chiamiamo crac finanziari. Finché non si cura questo immenso squilibrio non saremo fuori dalle tempeste. Uno degli ingredienti della cura sarà la svalutazione del dollaro, con cui l'America ridurrà il valore dei debiti che ha con il resto del mondo. rampini. ( KataWeb News del 24/09/2008 )

24/09/2008

Documento n.7497

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