CRACK DEI MERCATI ASPETTANDO OBAMA. MISSIONE IMPOSSIBILE PER IL G 20. IL FALLIMENTO DELLA DOTTRINA BUSH

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A Washington la "Bretton Woods 2", ma senza Obama si rischia il flop Anche la Russia nella squadra europea guidata da Sarkozy. G20, missione impossibile per i Grandi della Terra di FEDERICO RAMPINI La Repubblica Una Bretton Woods 2 per ridisegnare le regole della finanza globale, i poteri di intervento delle autorità pubbliche sui mercati. Più un Piano Marshall 2, un potente rilancio degli investimenti pubblici concertato a livello mondiale per sconfiggere la recessione. Sono le aspettative irrealistiche che alcuni governi europei hanno alimentato sull'agenda del vertice G-20 che si apre oggi a Washington. Un summit al quale gli europei - guidati da Nicolas Sarkozy - si presentano con un sembiante di unità che include perfino la Russia, cooptata in un fronte unito dopo che il crollo del prezzo del petrolio ha turbato le ambizioni neoimperiali di Mosca. Ma a fare gli onori di casa a Washington c'è ancora George Bush, deciso a difendere la sua eredità storica e a respingere ogni processo contro il capitalismo americano. Il presidente uscente - in carica fino al 20 gennaio - ha accolto i suoi ospiti con una difesa dei principi del libero mercato. Ha fatto capire che ostacolerà ogni tentativo della vecchia Europa di imporre forme di "dirigismo" che soffochino i mercati finanziari. In questo momento in realtà è l'aspetto "Piano Marshall" ad avere il sopravvento. Dopo che l'America, l'Unione europea e il Giappone sono sprofondati nella recessione, l'urgenza di un'azione coordinata per rilanciare la crescita dell'economia reale supera perfino il bisogno di terapie contro la malafinanza. Ma il Piano Marshall - con cui fu finanziata la ricostruzione europea dopo la seconda guerra mondiale - ebbe un pagatore unico, l'America. Oggi nessun paese ha i mezzi per fare da locomotiva unica della ripresa. Molti, anzi, esitano a impegnarsi con manovre di bilancio troppo onerose per i conti pubblici: o perché sono ancora appesantiti dai debiti del passato, o per una logica mercantilista (chi si muove per primo con un forte rilancio della domanda interna rischia di vedere aumentare le importazioni, e di regalare ai propri vicini i benefici della ripresa). Così sul fronte delle strategie di investimenti statali per promuovere lo sviluppo, a Washington chi vanterà la mossa più ardita paradossalmente è la Cina: nessun altro paese può eguagliare la sua manovra di 586 miliardi di dollari di spese pubbliche (in un biennio), pari a circa il 16% del Pil della Repubblica Popolare. Eppure Pechino, anche se è preoccupata per il netto rallentamento della sua crescita, ha ancora avuto un aumento del Pil del 9% nel trimestre scorso. Gli americani hanno alle spalle un flop: quest'estate Washington aveva varato 150 miliardi di aiuti diretti alle famiglie (assegni del Tesoro recapitati a domicilio), ma il clima di paura ha indotto i consumatori americani a mettere quei soldi da parte anziché spenderli. Barack Obama vuole riprovarci, con un'iniezione di potere d'acquisto di dimensioni analoghe possibilmente entro Natale. Ma non è detto che il Congresso uscente l'approvi. E al G-20 di oggi Obama manda solo due osservatori, per evitare di essere coinvolto anzitempo nelle responsabilità di un eventuale fallimento. Tra i paesi che brillano per timidezza c'è la Germania: colpita duramente dalla recessione, ancora non ha varato manovre significative per rilanciare i consumi e la domanda interna. E' un attendismo che la dice lunga sulla presunta compattezza del fronte europeo. Alla fine il G-20 spaccerà per "azione concertata" contro la recessione un elenco di provvedimenti decisi dai singoli governi, secondo criteri e priorità nazionali. Sul fronte della Bretton Woods 2 il quadro non è migliore. I leader mondiali hanno già pronto l'alibi: per arrivare alla prima Bretton Woods (nel 1944) ci vollero due anni di preparativi e poi tre settimane di serrate trattative sui dettagli, malgrado la leadership indiscussa dell'America di Franklin Roosevelt e l'illuminata ispirazione teorica di John Maynard Keynes. Non s'improvvisa in un week-end la grande riforma della governance globale che allora creò il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e il Gatt (antenato del Wto). In realtà già da anni i nuovi progetti di riforma sono sul tappeto, e ogni dettaglio tecnico è stato esaminato ai massimi livelli. Per esempio nella task force dei banchieri centrali presieduta dal nostro Mario Draghi. Ma sulle ricette ci sono profondi dissensi di principio, fossati ideologici che neppure la gravità di questa crisi ha fatto superare. L'idea di creare una Organizzazione mondiale della finanza - con poteri analoghi a quelli che ha il Wto per il commercio - continua a essere osteggiata da lobby che estendono i loro tentacoli da Wall Street ai paradisi fiscali off-shore. Portare sotto un controllo stringente delle banche centrali gli hedge fund; costringere le banche a inserire nei loro bilanci anche gli strumenti derivati: queste soluzioni si scontrano con resistenze fortissime soprattutto in America. Obama darà forse un segno di cambiamento se sceglierà un segretario al Tesoro che non abbia legami con Wall Street. Per il momento il summit creerà gruppi di studio, per prendere tempo senza decidere nulla di concreto. L'unica novità di oggi è che il G-20 prende di fatto il posto del G-8. E' un riconoscimento dell'importanza delle potenze emergenti. Ma la Cina, l'India o il Brasile non hanno ancora il know how finanziario per essere gli ispiratori di modelli nuovi di regolazione. E sospettano che li stiamo cooptando nella governance globale soprattutto per esigere da loro contributi generosi.

16/11/2008

Documento n.7594

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