CAMERA (E SENATO) CON VISTA – DA AFFITTOPOLI A SVENDOPOLI FINO ALL’UNICUM DEL CASO SCAJOLA (CHE NON SI ACCORGE CHE GLI COMPRANO UNA CASA) –

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CAMERA (E SENATO) CON VISTA – DA AFFITTOPOLI A SVENDOPOLI FINO ALL’UNICUM DEL CASO SCAJOLA (CHE NON SI ACCORGE CHE GLI COMPRANO UNA CASA) – LA LUNGA LISTA DI POLITICI AD AFFITTO AGEVOLATO, PRIMA AFFITTUARI E POI PROPRIETARI (CON MEGASCONTI) DI SUPERCASE DI ENTI VARI E AVARIATI: DA MASTELLA A VELTRONI, DA D’ALEMA A DE MITA, FINO ALLA MELANDRINA E A DI PIETRO (CASETTA CARIPLO) - E OGNUNO HA LA SPIEGAZIONE PRONTA (TUTTO LEGALE CERTO, MA C’è UN’ETICA CHE UNA CARICA PUBBLICA DEVE RISPETTARE O NO?)… Goffredo Buccini per il "Corriere della Sera" www.dagospia.it SCAJOLA Sospira, e gli viene su uno spicchio di Merola: «Eh, in fondo è un punto d'arrivo!». Cosa? «La casa, sì, proprio la casa. Penso all'emigrante che mandava le rimesse dall'estero per comprarsi due stanzette al paese». E secondo lei è così anche per i politici nostrani? «Per tutti, certo. Anche per i politici!». Insomma, parva sed apta mihi, meglio se non tanto piccola, meglio ancora se poco costosa o addirittura gratuita: ecco la dimora dei sogni. Per quei 26 vani (cinque sobri appartamentini...) sul Lungotevere Flaminio presi tre anni fa con la moglie Sandra a poco più d'un milione di euro, Clemente Mastella è ancora un po' ammaccato dagli articoli dei giornali. Ma non è certo domo: «Che volete? Era tutto in regola. Ero in affitto da 30 anni! Ho fatto un mutuo di 400 mila euro! Tutti i miei risparmi». Il famoso punto d'arrivo, si capisce. La modalità Scajola, con la variabile dell'oscuro benefattore che integra nell'ombra il prezzo dell'alloggio, è, al momento, un unicum. Le altre storie s'assomigliano tutte, con i loro torti e loro ragioni, da vent'anni: dimore spesso splendide, orridi neologismi per raccontarne i passaggi sottocosto, prima Affittopoli, poi Svendopoli, uno scandalo figlio dell'altro e tutti in fondo derivati dal clima della Tangentopoli in cui Mario Chiesa, il patron del Pio Albergo Trivulzio, distribuiva nella Milano da bere case a canoni agevolati anche ai giornalisti che, appunto, si bevevano le sue fandonie efficientiste. Dal famoso mariuolo craxiano ai nostri giorni, il tratto ricorrente è questo demone dostoevskijano delle quattro stanze con vista, questa specie di dannazione italica. La stessa maledizione che porta tre anni dopo Mastella ad accusare: «Ve la prendete sempre con me e mai con la ministra del piano di sotto». Chi? «La Melandri! Indagate, scoprite, c'è anche lei». E Giovanna Melandri a mandarlo, tre anni dopo, ancora a quel paese: «Insiste quello là? È male informato, la casa l'ha comprata mia sorella Daniela, riscattandola regolarmente dopo che per trent'anni mio padre ci aveva tenuto lo studio». Tante sono storie così. Walter Veltroni, per dire, ci è nato nella casa di via Velletri che, assegnata negli anni Cinquanta a suo padre, l'ha fatto finire sulle colonne del Giornale nel '95, in quel valzer di vip privilegiati che poi spinse Repubblica a porsi il morettiano quesito se «Affittopoli» fosse di destra o di sinistra («La squadra guidata dal tandem D'Alema - Veltroni supera con largo margine quella capitanata dal terzetto Casini-Mastella-Tatarella», decise Giovanni Valentini: 15 inquilini eccellenti di sinistra e 9 di destra nelle case degli enti). Veltroni chiese che gli fosse alzato il canone d'affitto, in seguito la moglie Flavia acquistò l'appartamento. Massimo D'Alema lasciò la sua casa a Trastevere per un'altra in Prati e l'altra sera l'ha rivendicato nella rissa tv con Alessandro Sallusti del Giornale. Nulla eguaglia, naturalmente, l'attico ex Inpdai in via In Arcione, a due passi da Fontana di Trevi, dove Ciriaco De Mita planò a equo canone con la famigliola nell'88, da segretario Dc (mitiche le maniglie in ottone con le iniziali «DM»). «Il problema è la vulnerabilità», spiega Domenico De Masi: «La casa è la tana e contiene l'acqua e il fuoco, gli altri elementi di base per noi umani». Dicono che De Mita volesse la sua tana così sicura da affidarne la blindatura ad Adolfo Salabè, l'architetto degli 007. La vulgata è puntualmente smentita ma l'ascesa di Salabè, partito dagli uliveti della Sabina e arrivato fino ai saloni del Quirinale al tempo di Scalfaro, testimonia come la dannazione della casa (e delle annesse ristrutturazioni) possa salire molto in alto. «È sulle cartolarizzazioni che bisognerebbe fare un'inchiesta molto seria. A chi sono andate le case degli enti? E a quali prezzi?», si chiede Renato Nicolini, architetto, ex assessore romano dell'effimero. A questa domanda seguono da anni liste di grandi nomi legate ad affari tali che ai comuni mortali viene l'acquolina in bocca. E così ecco sui giornali Pier Ferdinando Casini, coi suoi trenta vani catastali per un milione e 800 mila euro in via Clitunno a Roma, presi con la ex moglie. Ecco Cossiga e Violante, Mancino e Cardia, ecco il segretario Cisl Bonanni. La lista è molto lunga, ci sono varianti cittadine a Napoli e a Milano, e ogni nome ha una sua ragione da addurre, si capisce, il rischio del tritacarne mediatico è molto forte. Eppure resta un senso di disagio. Quello che coglie Sergio Cusani, l'unico a farsi quattro anni e passa di galera nella Tangentopoli milanese, ora impegnato in Germania ad allestire mostre dopo un percorso di riscatto esemplare: «La lettura è amara. C'è stata una stagione in cui si pensava di poter cambiare costume e cultura in Italia. Ma si è lavorato solo sulla sovrastruttura». Del resto nemmeno il suo grande inquisitore, Di Pietro, è sfuggito al demone, sin dal tempo in cui finì sui giornali per la sua casetta Cariplo di via Andegari, a due passi da piazza della Scala. «False le accuse di favoritismo», ha sempre tuonato Tonino, il quale non ha mai avuto il dono dell'aplomb che vale invece a Mastella la battuta finale: «Pensi che al Flaminio avevo pure i viados sotto casa e gli altri inquilini mi supplicavano: ministro, li mandi via. Io intervenni». In fondo, un benefattore.

06/05/2010

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