BCE: I POTERI FORTI ALLA BILDERBERG CANDIDANO DRAGHI ALLA BCE

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Editoriali Il candidato italiano C'è una carica alla quale il Paese può legittimamente aspirare. È quella di presidente della Banca centrale europea. Il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, presidente del Financial stability board, è tra i candidati. Il mandato dell’attuale numero uno della Bce, il francese Trichet, scade l’anno prossimo. Ma i giochi si fanno ora. Molto dipenderà dalla scelta di chi dovrà prendere il posto del vice presidente, il greco Papademos, che si congeda a maggio. I candidati sono due: il lussemburghese Mersch e il portoghese Constancio. Se dovesse prevalere quest’ultimo, apparirebbe difficile portare alla presidenza nel 2011 un altro rappresentante latino. Chissà perché persiste questo pregiudizio, che non riguarda però i francesi. Il caso greco non aiuta. Favorito è il governatore della Bundesbank, Axel Weber. La cancelliera Merkel lo appoggia, anche perché preoccupata dallo stato precario degli istituti di credito tedeschi. I nostri, al confronto, stanno decisamente meglio. Questa considerazione potrebbe incoraggiare la scelta di Draghi. La Germania nel ’97 si oppose, finché fu possibile, all’ingresso della lira nell’Unione monetaria, affermando che il neonato euro sarebbe stato sfiancato dall’alto indebitamento italiano. Il nostro debito rimane elevato, purtroppo vista anche la bassa crescita, ma quello tedesco non scherza e in valore assoluto lo ha quasi raggiunto. L’avessero saputo all’epoca i Kohl e i Waigel, sarebbero arrossiti dalla vergogna. Altri tempi. Dunque, il debito italiano non è più una buona scusa per dire di no a Draghi. Che non è nemmeno una colomba, come dicono i tedeschi per indebolirne la candidatura. Le votazioni a Francoforte sono segrete, ma i suoi colleghi governatori lo sanno. Certo, aver lavorato per la banca d’affari americana Goldman Sachs può apparire oggi discutibile. Il sostegno a Draghi è l’occasione, specialmente dopo il fallimento delle candidature di Mauro al vertice del parlamento di Strasburgo e di D’Alema al «ministero degli Esteri» europeo, per dimostrare agli altri e a noi stessi che l’Italia, Paese fondatore dell’Unione, non è né distratto né assente. E soprattutto non esprime nei contatti internazionali una sconveniente doppiezza. I rappresentanti di altri Paesi, quando si tratta di promuovere per una carica internazionale persone che hanno il loro stesso passaporto, dimenticano rivalità e differenze. Noi no, noi spesso godiamo, a destra come a sinistra, della bocciatura europea del nostro acerrimo avversario. Tempo fa, Giulio Tremonti, che va giustamente fiero del relativo buono stato di salute delle banche italiane rispetto a quelle di altri Paesi, promosse, come presidente dell’Aspen Institute, una lunga riflessione sulla mancanza di spirito e di interesse nazionale. E fece bene. La storia è piena di stranieri chiamati in Italia per battere il vicino. E casi recenti, non più militari per fortuna, sono significativi. Si scelsero i francesi, per esempio, per dirimere le dispute in Mediobanca, o gli spagnoli per risolvere (?) l’infinita partita di Telecom. E s’invocò l’interesse nazionale per non dare l’Alitalia ad Air France (che l’avrà soltanto fra un po’). Riusciremo a ritrovare orgoglio e spirito nel sostenere la candidatura di Draghi? Si può anche perdere, anzi è probabile che ciò accada. Ma perdendo uniti si ha il rispetto degli altri e si accumulano crediti per il futuro; perdendo divisi si suscita solo compassione e si scivola nell’irrilevanza. Ferruccio De Bortoli

24/01/2010

Documento n.8436

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