BANCHE: TUTTI CONTRO GERONZI. MA ALLA FINE CESARE.......

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TRATTO DA WWW.DAGOSPIA.IT LA GUERRA TRA ‘SILVIOLANDIA’ E IL VECCHIO MONDO DELLA FINANZA LAICO-MASSONICA BOTTINO IN BALLO: UNA NUOVA STAGIONE DI PRIVATIZZAZIONI (TUTTI CONTRO GERONZI) ECCOLI I VERI PROTAGONISTI DI AGOSTO CHE HANNO RUBATO LA SCENA A POLITICI E VIP Eccoli di nuovo a Milano i grandi banchieri, veri protagonisti di agosto, che hanno rubato il palcoscenico ai politici e alle truppe smutandate dei vip. Alessandro Profumo, un uomo che si definisce fondamentalmente noioso e grigio, sta per riunire in queste ore il Comitato permanente strategico presieduto dal tedesco Dieter Rampl e composto da dieci consiglieri. L’ex-boyscout di Genova è reduce da un viaggio in Perù con la “marita” Sabina (sposata nel 1977) che è inorridita di fronte alle pietre falliche della Valle Sacra degli Incas. Al banchiere è piaciuta invece la leggenda dei villaggi andini dove gli hanno raccontato che un tempo si adoravano il giaguaro, il condor e il serpente. Profumo è affascinato soprattutto dall’immagine del giaguaro, un animale possente che raramente attacca l’uomo ma quando lo fa lascia segni dolorosi. E lui qualche segno al suo ritorno in Italia l’ha lasciato sulla pelle di Corradino Passera quando con l’arroganza tipica di un McKinsey-boy, ha dichiarato che con la nuova Alitalia “si viaggerà peggio e si pagherà di più”. Ma la zampata del giaguaro l’ha riservata a Cesarone Geronzi che il 1° agosto in un’intervista a Flebuccio De Bortoli, direttore del “Sole 24 Ore”, si era divertito a ricordare le contraddizioni del capo di Unicredit. Nelle parole del banchiere di Marino, Profumo faceva la figura di uno smemorando che non solo si era dimenticato il patto stipulato a maggio per la conquista di Capitalia e la poltrona di Mediobanca, ma il 14 luglio durante una colazione aveva dato via libera alla presa di possesso di Geronzi su Piazzetta Cuccia “e poi stranamente una domenica sono apparse idee diverse” (così ha detto Geronzi nella sua intervista). In agosto, dopo il viaggio in Perù, il giaguaro-Profumo ha ripetuto queste idee davanti ai ragazzi del Meeting di Rimini, organizzato da Comunione&Confusione, e ha detto che “Mediobanca è un grosso snodo perché dentro ci sono i pacchetti di Telecom, Generali, Rcs”. Bella scoperta!, ma perché il banchiere più pagato d’Europa ha fatto questa giravolta improvvisa e ha deciso di mettersi di traverso rispetto al “caro Cesare” con il quale a maggio in soli 17 giorni aveva stipulato un patto di sangue?, per quali ragioni oscure l’uomo di Unicredit deve dare corda alle istanze di manager come Alberto Nagel e Renato Pagliaro, proprio lui che governa la sua banca in modo assolutamente verticistico e lascia ai manager soltanto la facoltà di respirare? Queste domande Geronzi se le è fatte anche stamane quando poco prima delle 8 è partito per Milano da Ciampino con il solito jet privato. Nonostante gli affettuosi richiami della moglie Giuliana il banchiere romano ha fatto una vacanza da operaio della Fiat di soli dieci giorni in Sardegna, e il 18 agosto era già nel suo ufficio di Piazza di Spagna a Roma. Poi è salito quattro volte nella roccaforte dei longobardi con la determinazione di chiudere al più presto la partita sulla governance, anche a costo di ricevere ed ascoltare le proposte dei cinque “ragazzi” di Piazzetta Cuccia (Nagel, Pagliaro, Cereda, Di Carlo, Trotter) che scalpitano per non scendere dalla carrozza dorata delle stock options. Anche nei loro confronti Cesarone aveva messo, con l’intervista d’inizio agosto a De Bortoli, il coltello nella piaga e dopo aver ricordato che in 50 anni la sua regola aurea è sempre stata “freddezza, distacco, trasparenza”, ha sparato contro l’autoreferenzialità dei manager facendo capire tra le righe che nell’esercizio del licenziamento c’erano stati precedenti più importanti come quelli di Maranghi e Matteuccio Arpe che avevano ben altro spessore. Come se non bastasse il banchiere romano aveva ricordato che il Consiglio di Sorveglianza aveva ridotto il suo ruolo e quello degli altri membri “a sindaci senza poteri”. E qui Dagospia nella sua infinita miseria, è in grado di rivelare due episodi fra tanti che hanno scatenato le ire di Geronzi. Il primo si riferisce alla nascita repentina di “CheBanca!”, un’operazione concepita per drenare il risparmio della quale Cesarone pare sapesse ben poco. Anzi, l’ha scoperta aprend i giornali. Il secondo episodio è più recente e riguarderebbe una telefonata di Pierfrancesco Guarguaglini, il comandante supremo di Finmeccanica, che annunciava al banchiere di Marino il seguente scoop: Nagel e compagni della parrocchietta di Piazzetta Cuccia avevano venduto in Borsa la partecipazione del 2% di Finmeccanica, con susseguente crollo del titolo. Se questi episodi che si raccontano a Milano sono veri, si spiega l’affondo che Cesarone vuole fare per cambiare regime dentro una banca che “è sempre stata – sono parole sue – al centro del sistema e non può emarginarsi”. A suo dire Mediobanca non può emarginarsi di fronte alle grandi partite che si giocano in Italia dove c’è un ministro come Tremonti che “è molto maturato, meno professore, più uomo politico e di Stato, e perfino migliore nel carattere”. Non può emarginarsi – così la pensa Geronzi – lasciando il palcoscenico a Corradino Passera che oggi dalle colonne del “Corriere della Sera” e ieri da quelle di “Repubblica”, suona la grancassa sull’Alitalia e sulla cordata dei “furbetti della Magliana” che vengono esaltati come capitani coraggiosi anche quando uno di loro (Colaninno) ai tempi di Telecom comprò in Brasile per migliaia di miliardi un sito internet destinato al fallimento. Ma non è il Corradino bocconiano che preoccupa Geronzi. Quest’ultimo ha un rapporto con Bazoli che ricorda l’amore tra le balene bianche di vecchio stampo democristiano. Ciò che gli interessa è soprattutto capire il senso dei numerosi segnali di fumo e di Profumo che in questi giorni un certo mondo gli ha mandato a ripetizione. La visione “laica e pura” della banca del tedesco Profumo sembra infatti molto funzionale a un’operazione più sottile che si sta tessendo dietro le quinte. Non sembra casuale infatti che pezzi importanti dei poteri forti abbiano colto al volo le giravolte del banchiere di Unicredit per creare intralci alla marcia di Geronzi su Milano e su Trieste. È questa l’interpretazione più probabile dei segnali lanciati da un vecchio “laico” come Maccanico che chiede di guadagnare tempo e invoca il buonsenso per soddisfare le ansie dei manager di Mediobanca. E così si possono capire anche gli attacchi di “Repubblica” e del suo padrone De Benedetti che chiedono per Mediobanca un comitato esecutivo “blindato”. Tra una passeggiata e l’altra a Cortina in compagnia di Fabiano Fabiani, Eugenio Scalfari ha trovato il tempo di sferrare un attacco al ventre alla moralità e alle vicende giudiziarie di Geronzi, e sul giornale della Fiat si chiede a Mario Draghi di fare il “grande mediatore” nell’affaire di Piazzetta Cuccia. Guardando dentro le nuvole anche stamane il banchiere romano supertrasversale si sarà chiesto se dietro i segnali di fumo e di Profumo non ci sia qualcosa di più robusto. La domanda non è peregrina perché questo mondo di finanza laica, che è sempre stato protagonista delle grandi operazioni, oggi è totalmente fuori dal perimetro di “Silviolandia”, il pianeta di potere che sta cambiando la geografia economica del Paese e ha cominciato a muovere i suoi passi con l’operazione Alitalia dentro la quale ci sono imprenditori nemici come Colaninno e banchieri ambiziosi (come Passera). Questo mondo ha sempre avuto nel tandem Ciampi-Draghi il suo riferimento principe, e considera il bilancio dello Stato un sacro totem. Ebbene, la Finanziaria concepita dalla mente geniale di Tremonti che genio non è, apre un varco enorme alla necessità di fare cassa con una nuova stagione di privatizzazioni. Tra un paio d’anni, se non prima, bisognerà mettere in vendita i gioielli della mano pubblica (come a suo tempo per rientrare nei parametri di Maastricht si diede vita alla privatizzazione di Telecom). Come si può pensare che gente come Draghi&Company restino alla finestra per consentire che un gruppo di capitani “perniciosi”, cittadini di Silviolandia, possano fare affari succulenti con la complicità di quale banchiere? Da queste premesse nasce l’invocazione a un ruolo attivo di Mario Draghi per mediare e condizionare la balena bianca Geronzi, trasversalone cinico di 73 anni, che non può giocarsela soltanto con i francesi per conquistare gloria e impunità sulla poltrona delle Generali, la principale cassaforte e ultima multinazionale del Paese (insieme all’Eni). Il governatore atermico di via Nazionale che a 30 anni studiava con Modigliani e a 40 gestiva le privatizzazioni, finora non si è esposto più di tanto. Invece di sgallettare tra Rimini e Cortina ha preferito varcare ancora una volta l’oceano e volare alto. Il 22 agosto ha partecipato al Simposio organizzato come ogni anno dalla Federal Reserve Bank of Kansas City, dove ha incontrato i veri potenti della finanza mondiale. Basta scorrere l’elenco dei partecipanti per vedere che a Draghi piace dialogare con i governatori di Israele e di Inghilterra, e insieme ai capi di Morgan Stanley e JP Morgan. Mentre in Italia ci sono banchieri come Bazoli che seguono la voce della coscienza e scrivono saggi quasi illeggibili sulla responsabilità sociale delle banche, Draghi sente soprattutto “la voce dell’America” e di quei centri di poteri forti che nel ’92 si riunirono su un panfilo a largo di Civitavecchia per decidere le privatizzazioni in Italia. Il suo rapporto con Tremonti è molto difficile e questo stringe terribilmente gli spazi di manovra, ma in una partita come quella di Mediobanca che per l’amico Geronzi deve diventare sempre di più “centro del sistema”, un uomo come il governatore non può essere estraniato. Finora non ha esercitato alcuna moral suasion, ha semplicemente detto all’ex-collega di Bankitalia, Cesarone Geronzi, che il duale gli faceva ribrezzo. È inutile quindi immaginare che Draghi abbia spinto Profumo e il pallido Nagel a sferrare un’offensiva contro il banchiere di Marino, ma è altrettanto ingenuo pensare che il mondo laico assista al trionfo di Silviolandia senza mettere delle condizioni per fare i suoi affari. Quindi ciò che avviene attraverso le parole di Profumo, gli sgomitamenti dei manager, gli attacchi moralistici di Scalfari, i furori privatistici di Giavazzi, è semplicemente frutto di automatismi che nascono da affinità ideologiche e da interessi non soddisfatti. Geronzi queste cose le sa e oggi le avrà bene in mente quando il notaio Marchetti e il giovane Nagel gli faranno vedere le loro bozze di statuto. Povero Marchetti!, vero eroe e martire di questo agosto caldo per il risiko bancario. Lo hanno lasciato solo, chiuso in una stanza a sudare copiosamente sulle carte di Piazzetta Cuccia. Ma c’è di più: quando quel fighetto immarcescibile di Giavazzi ha fatto la sua sparata contro la soluzione Alitalia di Corradino Passera, gli è toccato difendere anche il baluardo del “Corriere della Sera” dove azionisti come Benetton e Tronchetti Provera hanno scatenato la loro ira funesta. Il notaio dalla cravatta rossa si è difeso con onore. Ha cercato disperatamente Paolino Mieli che con lo stupore del cinico incallito gli ha detto che l’articolo di Giavazzi era scivolato in prima pagina perché al desk del “Corriere” era rimasto soltanto P.G. Battista, uno che di economia ne capisce poco. L’intervista di oggi di Dario Di Vico a Corrado Passera è un atto di riparazione che solleva il cuore del vecchio notaio che dopo aver difeso ad oltranza la scelta del duale in Mediobanca, adesso deve rimangiarsela per difendere la sua poltrona sulla plancia di via Solferino. Dagospia 01 Settembre 2008

01/09/2008

Documento n.7473

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