BANCHE: IL CAPITALE DI BANKITALIA E L'INTERESSE DEI SOCI

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Il capitale di Bankitalia e l'interesse dei soci ( Corriere Economia del 19/01/2009 ) REDAZIONALE DI STEFANIA TAMBURELLO I banchieri hanno interpellato il governatore Mario Draghi, dopo le Considerazioni finali all'assemblea della Banca d'Italia del 31 maggio scorso. «Non si potrebbe avere un rendimento più alto per le nostre quote?» hanno chiesto, nella grande sostanza, gli illustri rappresentanti dell'azionariato della Banca, guidato da Intesa Sanpaolo e Unicredit. Della risposta di Draghi non si sa nulla, ma è probabile che non sia stata molto circoscritta. Già, perché quello del rendimento delle azioni e prima ancora dello stesso valore dell'Istituto è il problema centrale, ancora irrisolto, per dare forma al puzzle del riassetto proprietario di Bankitalia. La questione sollevata dalle banche partecipanti (55 su 64 partecipanti) non è stata, comunque, trascurata. Anzi, il tema della proprietà di Bankitalia è stato intrecciato all'esigenza di sostenere il patrimonio dei gruppi creditizi, indeboliti dalla crisi finanziaria internazionale. Si è molto studiato, si è molto discusso, ma alla fine l'abbinamento è stato abbandonato e la soluzione dei due problemi ha preso strade diverse. Con uno solo dei protagonisti della vicenda, le banche quotiste, a tifare per un intervento il più possibile rapido. Ma cominciamo dall'inizio. Tutto nasce dalla legge sul risparmio, entrata in vigore il 12 gennaio 2006, che dava tre anni di tempo per completare il passaggio delle quote in mano alle banche allo Stato o ad altri soggetti pubblici. Il termine è passato senza che succedesse nulla. «Si tratta di un termine ordinatorio e non perentorio» avevano anticipato i giuristi. Il fatto è però che nessuno, compreso, forse, anche il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti (il quale starebbe pensando a un decreto di proroga della delega), sembra credere più in quella norma ostacolata dai trattati europei che impediscono allo Stato di controllare la banca centrale. E poi, in ogni caso, il bilancio pubblico non ha, soprattutto in questa fase, le risorse per pagare le quote alle banche poco disponibili, con i chiari di luna della crisi, a fare sconti. Anche il governatore Draghi non sembra avere fretta. Per lui, il tema della proprietà non rappresenterebbe un problema urgente visto che, come ha più volte spiegato, le banche partecipanti, secondo legge e statuto, non hanno alcuna voce in capitolo nella gestione della Banca: quindi, non condizionandone l'autonomia, non rappresentano una fonte di conflitto di interessi. Tanto più che anche nelle materie di competenza dell'assemblea, statuto e bilancio, possono disporre ognuna di un massimo di 50 voti, indipendentemente dalla quantità di quote (in tutto 300 mila) detenute. L'obiettivo di Draghi è comunque un riassetto che non tocchi il modello giuridico istituzionale della Banca e la sua autonomia gestionale e finanziaria. Le banche, come si è detto, vorrebbero invece porre a frutto le rispettive partecipazioni. Che spesso sono registrate a valore storico e che comunque rendono pochino: a maggio scorso, come dividendi per l'esercizio 2007, hanno ricevuto 15 mila 600 euro, pari al 10% di capitale nominale, a cui si è aggiunto un ulteriore importo di poco più di 56 milioni a valere sul «fruttato» delle riserve. Lo Stato ha invece ricevuto il 60% degli utili netti (il 40% è destinato a riserva), pari a circa 57 milioni di euro. Gli istituti hanno quindi riposto grande attesa nel progetto, nato prima dell'estate, dell'acquisto di una percentuale delle quote da parte della stessa Banca d'Italia, che in un secondo tempo le avrebbe ridistribuite tra altri soggetti «idonei»; ma da Palazzo Koch è arrivato, dopo gli approfondimenti di rito, il disco rosso. «Non si capisce. Lo statuto non vieta di comprare azioni proprie. Non sarebbe del resto la prima volta per la Banca», dice Antonio Patuelli, vicepresidente di Abi e Acri e presidente della Cassa di Ravenna (quotista di via Naziona-le), affermando che le gli istituti di credito non hanno intenzione di rassegnarsi. Le fondazioni bancarie, infine. Sarebbero per molti, e Tremonti è fra questi, i soggetti più idonei, singolarmente o tramite la Cassa Depositi e Prestiti, ad assumersi l'onere di subentrare alle banche come partecipanti. è una vecchia ipotesi mai tramontata, che non piace, però, agli interessati. Il presidente dell'Acri, Giuseppe Guzzetti, ha sempre fatto resistenza, opponendo la scarsa redditività delle quote Bankitalia, fuori linea, e quindi fuori legge, rispetto al rendimento medio del patrimonio delle fondazioni. Torna così il nodo del valore. Sono state ipotizzate le cifre più disparate, dagli 800 milioni ai 20 miliardi, ma senza individuare procedure univoche. Tanto che, nello stand by, la voce che sembra creare meno dissonanze è quella che indica come via d'uscita un nuovo intervento del legislatore.

19/01/2009

Documento n.7721

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