BANCHE: IL BLUFF DEI TREMONTI BOND

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Il bluff dei TremontiBond ( Affari e Finanza (La Repubblica) del 02/02/2009 ) Il bluff dei TremontiBond ADRIANO BONAFEDE Cinque mesi di gestazione, due decreti già approvati ma mai di fatto utilizzati e un terzo in dirittura d?arrivo. Quest?ultimo ha avuto, dicono i bene informati, ben sette versioni. E in mezzo a tutto ciò una strisciante guerra non dichiarata fra il ministro Giulio Tremonti e il governatore della Banca d?Italia, e fra lo stesso ministro e le banche. In più, all?inizio si parlava di un intervento da 20 miliardi, che sono poi scesi a 15, mentre ora si parla addirittura di 12. Questa è, raccontata in sintesi e con estrema crudezza, la storia dell?intervento d?urgenza a favore del sistema creditizio che lo Stato italiano aveva messo in cantiere come tutti gli altri Paesi e che finora ha prodotto zero risultati. In questo lasso di tempo tanto per fare un paragone il primo ministro Gordon Brown ha di fatto nazionalizzato l?intero sistema bancario britannico, in Francia è stata salvata Dexia e tutte le banche hanno la possibilità di avere dei prestiti subordinati, mentre in Germania sono stati stanziati fondi per 80 miliardi di euro. Tutto si potrà dire, quando saranno esaminati nei dettagli, dei Tremonti bond, ma almeno una qualità gli deve per forza essere negata a priori: la tempestività. «Si è andati un po? troppo per le lunghe», ammette Marco Onado, docente di Economia degli intermediari finanziari alla Bocconi di Milano. Del resto, se la crisi era davvero grave, se alcune banche con un basso Core Tier 1 (il principale indice di patrimonializzazione) stanno aspettando con impazienza l?intervento dello Stato (e Alessandro Profumo, ad di Unicredit, ha avuto il coraggio la settimana scorsa a Davos di ammettere apertamente che userà questi fondi appena saranno messi a disposizione), non si comprende il perché di questo continuo slittamento. Gli stessi addetti ai lavori sono perplessi. «Al momento è tutto nebbioso dice Salvatore Bragantini, presidente del Mac, il mercato alternativo alla Borsa per le piccolissimi imprese ma questo clima di incertezza deve essere risolto al più presto». In verità nessuno sa esattamente cosa sia accaduto né dove stiano le ragioni di tanto ritardo. Ma qualcuno, a questo punto, comincia a parlare di un vero e proprio bluff del ministro. Che dichiara sì di volere un intervento ma poi, giorno dopo giorno, lo fa slittare riducendone anche la portata. E, secondo interpretazioni diffuse, alla fine i Tremonti Bonds ci saranno, ma le condizioni saranno così onerose che soltanto chi sarà con l'acqua alla gola li utilizzerà. In Abi, in Banca d'Italia e al ministero dell'Economia le bocche più che cucite sono saldate a fuoco. Dunque nessuna spiegazione ufficiale, ma ripercorrendo tutti gli avvenimenti di questi ultimi mesi è possibile ricostruire l'intera vicenda. Che comincia con un Tremonti all'inizio dell'estate che, contrariamente a quanto ha cercato di accreditare lui stesso nei mesi successivi, non aveva alcuna cognizione della fase drammatica che stava per aprirsi nella finanza internazionale. Facile dimostrarlo: all'inizio il ministro era partito con la Robin Tax per banche e petrolieri, pensando di poter mungere quelle che considerava le vacche grasse. Ma quelle vacche, almeno quelle del credito, sarebbero deperite molto rapidamente, riservandogli una pessima sorpresa. Tra settembre e ottobre, con i drammatici crolli dei listini di tutto il mondo, con il fallimento della pluricentenaria Lehman Brothers, ci si è resi conto, anche in Italia, che si rischiava il crollo di tutto il sistema. Tremonti sembrava aver compreso la gravità della crisi e subito presentava un primo decreto, che prevedeva che lo Stato entrasse nel capitale delle banche in difficoltà, previo parere della Banca d'Italia. «Ma questa prima versione dice Marco Onado aveva un'impostazione vagamente punitiva. Nel testo infatti si parlava di banche sottocapitalizzate e nessuna voleva ovviamente presentarsi per prima con questa etichetta». Ma c'è di più. Non appena fu chiaro che un intervento dello Stato era consigliabile e forse indispensabile, Tremonti lanciò una frecciata ai banchieri responsabili, a sua detta, di questa situazione: «Se la banca fallisce i banchieri vanno a casa, o vanno in galera». Non pochi lessero queste dichiarazioni come un aut aut a banchieri come Alessandro Profumo (Unicredit era in quel momento la banca più penalizzata sul mercato borsistico) o a Corrado Passera. Per un certo tempo si pensò che Tremonti pretendesse, a fronte di un intervento dello Stato, la testa di alcuni grandi manager. Ma poi, si racconta nei corridoi dei palazzi che contano, il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, lo convinse che un improvviso allontanamento di manager validi e ai quali non si potevano certo attribuire le colpe di un crack dei listini di proporzioni bibliche, non sarebbe stato compreso dal mercato. Tremonti mise sul piatto altre misure con un secondo decreto per introdurre una garanzia statale sulle passività; il decreto fu poi unificato con il primo. Non devono essere state delle norme ben studiate e neppure, semplicemente, utili se queste due leggi non hanno mai trovato fino a questo momento attuazione. Da qui la necessità di programmare un altro intervento, questa volta sotto forma di prestito subordinato da parte dello Stato alle aziende creditizie. Il terzo decreto sembrava già a novembre in dirittura d'arrivo. La formula, usata in altri paesi come la Francia, si mostrava più gradita alle banche, che avrebbero potuto attingere ai finanziamenti e restituire il prestito facilmente appena le cose fossero tornate alla normalità. Ma anche in questo caso la vicenda si è di nuovo inopinatamente ingarbugliata. Il tasso d'interesse, prima di tutto, è diventato uno scoglio: si parlava dell'8,5 per cento. Troppo, secondo l'Abi, con cui dovrà essere sottoscritto un protocollo d'intesa. Ora si parla di un 77,5 per cento, un tasso che appare più accettabile. Ma negli ultimi giorni sono venuti fuori chiaramente da fonti bancarie alcuni calcoli sulle penalità da pagare in caso di restituzione anticipata del credito: pare si possa arrivare anche al 25 per cento se la restituzione avviene dopo un solo anno. La trattativa con l'Abi si è dunque incagliata. Ancora una volta i banchieri hanno avuto l'impressione che in Tremonti prevalesse un intento punitivo. Represso, forse, ma sempre pronto a riemergere come un fiume carsico. In questa trattativa fra banche e Tremonti si è inserita anche la Banca d'Italia, che ha fatto delle proprie valutazioni in ordine al decreto in gestazione su cui è stata chiamata a esprimere un parere. Gli osservatori esterni hanno comunque preso atto che fra Tremonti e Draghi, oltre che fra Tremonti e le banche, non corre buon sangue. Lo dimostrerebbero anche le dichiarazioni estemporanee del ministro dopo le previsioni nere per il Pil italiano 2009 da parte di Bankitalia. Tremonti non ha perso l'occasione per chiosare: «Quelle della Banca d'Italia sono solo previsioni». Insomma questo triangolo TremontibancheDraghi ha poco di magico, e questo spiega il perché del ritardo. Qualcuno comincia a pensare adesso che, decreto o non decreto, le banche italiane possano (o debbano) persino fare a meno dell?intervento pubblico. Ma davvero gli istituti di credito possono rinunciare a quest'ancora di salvezza di fronte alla prospettiva di un deterioramento del credito nel 2009 per affrontare il quale occorrerà avere spalle più larghe ovvero un patrimonio più alto? «Non so cosa potrebbe accadere se non ci saranno aiuti di Stato o se questi saranno considerati troppo onerosi dalle banche dice Marcello Messori, presidente di Assogestioni . Dal punto di vista teorico c'è il rischio che gli istituti facciano un po' di credit crunch verso le Pmi e le famiglie». Ma c'è chi non crede che le aziende creditizie possano di fatto avere un Piano B. «C'è anche un problema di raffronti internazionali», dice Marcello Zanardo, analista di Keefe, Bruyette & Woods (Kbw). «Se le banche europee vengono ricapitalizzate dai loro governi, quelle italiane corrono il rischio di veder abbassare le loro quotazioni se non fanno altrettanto, anche se hanno attivi meno rischiosi». Zanardo ritiene che per alcune, come Mps, Banco Popolare e Bpm, la ricapitalizzazione sia necessaria. Unicredit avrebbe maggiore flessibilità in quanto potrebbe anche decidere di utilizzare i finanziamenti dello Stato austriaco, più difficilmente di quello tedesco. Alla fine, comunque, dovrebbe prevalere il realismo sui TremontiBond. «Certo continua Zanardo l'intervento pubblico potrebbe essere più circoscritto di quanto si ipotizzasse inizialmente. Questo anche considerando la volontà di salvaguardare al massimo le finanze pubbliche, in relazione all'alto rapporto del debito pubblico sul pil. Dal punto di vista teorico c?è il rischio che gli istituti facciano un po? di credit crunch verso le Pmi e le famiglie». Ma c'è chi non crede che le aziende creditizie possano di fatto avere un ?Piano B?. «C?è anche un problema di raffronti internazionali», dice Marcello Zanardo, analista di Keefe, Bruyette & Woods (Kbw). «Se le banche europee vengono ricapitalizzate dai loro governi, quelle italiane corrono il rischio di veder abbassare le loro quotazioni se non fanno altrettanto, anche se hanno attivi meno rischiosi». Zanardo ritiene che per alcune, come Mps, Banco Popolare e Bpm, la ricapitalizzazione sia necessaria. Unicredit avrebbe maggiore flessibilità in quanto potrebbe anche decidere di utilizzare i finanziamenti dello Stato austriaco, più difficilmente di quello tedesco. Alla fine, comunque, dovrebbe prevalere il realismo sui TremontiBond. «Certo continua Zanardo l?intervento pubblico potrebbe essere più circoscritto di quanto si ipotizzasse inizialmente. Questo anche considerando la volontà di salvaguardare al massimo le finanze pubbliche, in relazione all'alto rapporto del debito pubblico sul pil. Dal punto di vista del deficit di bilancio l'Italia è in una situazione molto migliore rispetto a Usa, Gran Bretagna e Portogallo. Con il peggioramento dei ratios pubblici di altri paesi per salvare le loro banche, l'Italia può risalire le classifiche internazionali del deficit sul pil».

02/02/2009

Documento n.7742

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