BANCHE. I BANCHIERI SVIZZERI HANNO PAURA DI ATTRAVERSARE LA FRONTIERA ED ESSERE ARRESTATI

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PRIGIONIERI DEI LORO SOLDI – I BANCHIERI SVIZZERI HANNO PAURA DI ATTRAVERSARE LA FRONTIERA ED ESSERE ARRESTATI O INTERROGATI – “IL segreto bancario NON C’ENTRA. UE E USA vogliono risolvere un problema trovando un nemico straniero da colpire”… Marco Zatterin per "La Stampa" MANAGER RICEVUTI DA OBAMANon vanno volentieri a Parigi e a Francoforte, meno che meno a New York. Hanno paura, i banchieri svizzeri, come i colleghi europei e anche qualcosa in più. Non devono solo preoccuparsi di rabberciare i bilanci perforati dalla crisi finanziaria globale di cui sono stati coprotagonisti, e nemmeno trovare un modo per stare alla larga dai disperati malintenzionati che hanno preso a contestare la categoria in modo anche rude in quanto «causa di ogni male». Il loro problema extra è che quando attraversano il confine temono di non tornare indietro con facilità. Possono essere interrogati, magari incarcerati, ora che tutti i governi stanno stringendo i controlli su evasione fiscale e frodi bancarie. La prudenza consiglia allora di restare a casa, sperano che prima o poi passi la nottata. Succede quando una piccola confederazione quasi integralmente circondata da montagne è celebre nel mondo per la cioccolata, i formaggi, gli orologi e 11 mila miliardi di dollari di capitali che si presuppongono essere sottratti alle verifiche di tutti gli erari del pianeta. Succede eccome. Il Financial Times ha rivelato, e la notizia è confermata da fonti concordanti, che alcune fra le più importanti aziende di credito elvetiche hanno ridotto al minimo, se non bloccato del tutto, le missioni all'estero dei loro alti dirigenti. «Se oggi io vado in Germania per incontrare due clienti - ha confessato un banchiere chiedendo l'anonimato - mi possono fermare alla dogana per interrogarmi». Un'esperienza di cui gli uomini in gessato preferiscono fare a meno. Lo fanno in molti, non tutti. Però questo non toglie che il problema è considerato reale e che il fantasma che fa più spavento è lo zio Sam vestito con l'uniforme grigia da agente del fisco. Lo scorso anno un pezzo grosso dell'Ubs è finito diritto dalla dogana alla gattabuia nell'ambito di un'inchiesta federale su una questione di imposte non pagate. «Oggi, se sei un banchiere svizzero e vai in America, hai paura di essere fermato e interrogato - ha ammesso un'altra fonte -. Io, prima di attraversare l'Oceano, ci penso due volte». E ancora: «Certi banchieri non si spostano nemmeno in Francia, altri non si allontanano più da Ginevra». Alcuni grandi istituti svizzeri stanno cercando di semplificare i loro rapporti con la Giustizia degli altri chiedendo la licenza bancaria nei paesi dove operano. È una mossa che garantisce la tutela del personale, visto che questo si dispone al rispetto delle regole del sistema che li ospita. Non basta. La grande lezione della crisi tratta nelle capitali dell'Ue, e oltre Atlantico, è che nessuna attività, in nessuno luogo o tempo, deve poter essere svolta senza regole o senza controlli. La minaccia di inserire Berna nella lista nera Ocse dei paradisi fiscali non cooperativi ha convinto il governo crociato a promettere un ammorbidimento del segreto bancario, pur se piena trasparenza resta comunque lontana e i margini di vischiosità non sono del tutto eliminati. Così mentre si insegue una quadra per il nuovo assetto della governance internazionale - col sogno di regole e vigilanza più stringenti messe nelle mani del vertice G20 di giovedì prossimo - le amministrazioni danno un giro di vite a quello esistente, e comportamenti che magari prima venivano tollerati adesso sono contestati con decisione. Una volta si diceva «male non fare, paura non avere». Il presidente svizzero Hans-Rudolph Merz ha affermato che la riservatezza fa parte della tradizione dell'economia nazionale, cercando in sostanza di non arretrare più di tanto, cosa che ovviamente raccoglie consensi fra gli elettori. «Questi controlli non hanno niente a che vedere col segreto bancario - protesta un banchiere -. I grandi paesi vogliono risolvere un problema trovando un nemico straniero da colpire». Buona scusa, ma non funziona. Non a Parigi, a Berlino, a Bruxelles, e nemmeno a Washington.

30/03/2009

Documento n.7845

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