BANCHE: GUARDARE AL FUTURO CHIEDENDO CHE ANCHE I BANCHIERI PAGHINO IL CONTO

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28/1/2010 (7:23) - RETROSCENA Grande gelo sui banchieri Applausi a chi li attacca Nicolas Sarkozy al World Economic Forum : "Bene Obama sulle banche ma gli Usa non devono agire da soli" tratto da www.lastampa.it I «rifondatori» del sistema provano a guardare il futuro STEFANO LEPRI DALL'INVIATO A DAVOS Chi cerca di scrutare nel futuro, qui a Davos, vede gli Stati Uniti ancora per molti versi all’avanguardia nelle tecnologie, ma costretti a risparmiare sulle spese militari, e a cedere aziende e risorse naturali alla Cina per ripagare i debiti contratti nella crisi del 2008-2009. Ma a questo domani come ci si arriva? Se questo consesso delle élites mondiali - potenti dell’economia e della politica, esperti, intellettuali - deve produrre idee, certo ne produce. Ma, per il momento, sono alquanto discordi. Una novità è che il capitalismo mondiale appare alquanto diviso: nel senso che ci sono i banchieri, e gli altri capitalisti. Ovvero gli imprenditori sembrano pronti a grandi sforzi, di tecnologia e di prodotto, per adattarsi al mondo del dopo-crisi dove i consumi si sposteranno verso i paesi emergenti; dubitano che la «innovazione finanziaria» abbia molto a che fare con tutto questo; e molti di loro ieri sera hanno applaudito la tirata anti-banchieri del presidente francese Nicolas Sarkozy. Quando il giovane vicegovernatore della Banca di Cina, Zhu Min, ieri ha posto la domanda se serva davvero all’economia mondiale un settore finanziario così esorbitante, sapeva che molti dei presenti avrebbero risposto no. Magari non era lui a doverlo dire, visto che la finanza mondiale campa sul patrimonio immenso che la Cina accumula grazie alla sua moneta sottovalutata; ma tant’è. Qualcuno ride ripetendo la battuta paradossale dell’ex banchiere centrale americano Paul Volcker, consigliere di Obama, che «l’unica innovazione finanziaria utile che conosco è il bancomat». In effetti, spiega il tedesco Daniel Gros, uno dei più noti economisti europei, «i benefici dell’innovazione finanziaria sono un problema aperto per la scienza economica»; e nota che il sistema bancario americano è in gran parte autoreferenziale, «dato che a differenza dell’Europa il sistema delle imprese nel suo complesso si autofinanzia». «Il guaio è che i capi di molte grandi industrie sono cambiati, o comunque ne vedo di pronti alle nuove sfide - dice un veterano di Davos, il consulente internazionale Stefano Aversa della Alix partners - mentre i banchieri sono rimasti in gran parte gli stessi; non mi riferisco a quelli italiani, che invece stimo molto». Troppi talenti di giovani sono stati attratti dai grandi guadagni della finanza, e sottratti ad altre carriere forse più utili, nota Cary Cooper, docente della Lums, nota scuola di management britannica: «Ora un po’ sta cambiando; ma qui a Davos non sento discorsi sul futuro che possano davvero dare una prospettiva diversa». Una critica radicale l’ha mossa il premio Nobel per la Pace Mohammed Yunus, l’inventore del microcredito: «Dietro a tutte le nostre crisi, dalla recessione mondiale al cambiamento climatico, c’è un sostanziale fraintendimento della natura umana». Non è poco. Ma chi sarà a offrire le soluzioni? I banchieri hanno sbagliato - «continuare con i bonus è stato come agitare un drappo rosso davanti a un toro» dice l’economista indiano Raghuram Rajan, uno dei pochi che avevano previsto la crisi - ma non ci si fida che siano i governi a trovare le soluzioni giuste. Il rischio del «populismo» ovvero della demagogia viene individuato nelle recenti iniziative dei politici, che assecondano gli umori popolari ma quasi mai, a detta degli esperti, colpiscono il bersaglio. Sarà dura incidere il bubbone. E nel futuro è proprio difficile guardare, se ai problemi elencati da brillanti economisti il potente e antipatico Rubenstein, del fondo di investimento privato Carlyle, replica che «gli economisti mi paiono i generali che sanno benissimo come vincere la guerra passata». Mentre per gli economisti vale ancora il detto di Maynard Keynes nella grande crisi degli anni ‘30, che gli uomini pratici sono spesso schiavi di idee più vecchie ancora; e forse stanno gonfiando nuove bolle.

28/01/2010

Documento n.8449

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