BANCHE E PARTITI: QUALI VINCOLI ALLO STRAPOTERE DELLA REPUBBLICA DELLE BANCHE ?

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TRATTO DA DAGOSPIA. BANCHE E PARTITI - NEI PROGRAMMI DI PD E PDL VINCOLI ALLO STRAPOTERE DEGLI ISTITUTI, MA CHI COMANDA DAVVERO? – DEBOLE AL CENTRO, LA POLITICA CERCA RIVINCITE IN PERIFERIA (LEGGI BANCO DI SICILIA)… Franco Locatelli per “Il Sole 24 Ore” Il Pdl promette mutui più sostenibili, la portabilità dei servizi bancari e il rilancio della Banca del Sud mentre il Pd punta l'indice sulle rendite di cui le banche ancora godono. Nei programmi dei partiti qualche riferimento alle banche c'è ma il vero tema che influenza da anni i rapporti tra la politica e il potere finanziario resta sullo sfondo: chi comanda davvero in Italia? Ancora la politica o sempre di più le grandi banche, nuova espressione dei veri poteri forti in grado di influenzare l'erogazione del credito e l'allocazione del risparmio ma anche la sorte dei grandi progetti infrastrutturali, la vita delle imprese e del mondo dell'informazione? Venticinque anni fa il ministro del Tesoro poteva spedire un avvocato di provincia alla guida del Banco Ambrosiano sull'orlo della bancarotta e nei corridoi del ministero del Tesoro e delle segreterie di partito c'erano file infinite di postulanti che imploravano, alla vigilia delle notti magiche del Cicr, un posto al sole nelle lottizzatissime banche pubbliche e nelle casse di risparmio. Oggi i grandi banchieri sono le star del momento e non solo per le cifre da capogiro che guadagnano. La privatizzazione delle banche e l'adozione del modello di banca universale hanno modificato i rapporti di forza tra il pianeta del credito e la politica. Ve li immaginate Bettino Craxi, Ciriaco De Mita o Enrico Berlinguer in visita promozionale alla sede della Bnl o della vecchia Comit? Oggi invece i segretari di partiti fanno a gara per farsi ricevere da Alessandro Profumo o da Corrado Passera e perfino a Siena il Monte dei Paschi, che è la banca più influenzata dalla politica attraverso la Fondazione, ha saputo ribellarsi alle indicazioni che venivano dai vertici romani dei Ds per scegliere sul mercato i compagni di viaggio più graditi. L'equilibrio dei poteri tra banche e politica è naturalmente un processo in evoluzione e l'aria che tira oggi non è più quella della stagione dei furbetti della finanza che, ingannando il mercato, volevano scalare - con la sponda della banca centrale del tempo - la Bnl, l'Antonveneta e anche il Corriere della Sera. Da allora la musica è cambiata e la Banca d'Italia, con l'arrivo di un Governatore come Mario Draghi, è tornata a fare l'arbitro piuttosto che il giocatore o il regista del sistema bancario. Ma il rafforzamento di un sistema finanziario già di per sé bancocentrico e l'indebolimento della politica restano davanti agli occhi di tutti. Oggi però una verifica aggiornata dello stato dei rapporti tra banche e politica e delle reali gerarchie del potere dovrebbe forse partire da Palermo. Dopo l'arrivo in forze di un grande gruppo internazionale come Unicredit, a seguito della fusione con Capitalia, in Sicilia conta di più la banca o la politica? Fa riflettere il recente «caso Mancuso», l'ex presidente del Banco di Sicilia, che, con l'esplicito sostegno di gruppi politici locali e in particolare dell'ex viceministro Gianfranco Miccichè e in forma più duttile del Governatore uscente Totò Cuffaro, ha duramente contestato il modello di fare banca di Unicredit ma ha perso la battaglia con Profumo che non ha esitato a liquidarlo. Al di là degli aspetti personalistici della vicenda, il caso siciliano è stata la dimostrazione di come, almeno a livello locale, la politica non abbia ancora perso il vizio e la speranza di rimettere le mani sulla banca e di dare l'assalto alla diligenza pilotando l'erogazione del credito e la politica delle assunzioni e delle promozioni del personale. Non è detto però che ci riesca come avveniva in passato. A Palermo il primo match lo ha vinto Profumo che recentemente, in un incontro con i direttori dei giornali tedeschi in Germania, si è sentito chiedere: «Ma lei come pensa di fare banca in Sicilia dove c'è la mafia?». La risposta che il ceo di Unicredit ha dato e che ha ripetuto pubblicamente in un convegno promosso nei giorni scorsi a Palermo dal Banco di Sicilia sugli «Interessi e passioni del territorio che incontrano l'impresa bancaria» è molto netta: «Noi facciamo banca nello stesso modo a Palermo, a Milano e a Berlino e cerchiamo di farla con standard di eccellenza sapendo che il nostro mestiere deve ispirarsi alla cultura del valore e deve trovare legittimazione sociale». Al convegno del Banco di Sicilia i politici non c'erano, ma il problema del rapporto tra banca e istituzioni si riproporrà, anche perché la Regione Sicilia è presente nel capitale di Unicredit. Una presenza che, secondo Profumo, può essere positiva «a condizione che la Regione faccia l'azionista e non voglia sostituirsi al management influenzando la gestione del Banco». Ma significative sono le parole pronunciate da un'icona della nuova imprenditoria siciliana, come è il presidente degli industriali, Ivanhoe Lo Bello, balzato agli onori della cronaca per la sua battaglia contro il pizzo, che non ha perso l'occasione per lanciare un altro segnale di rinnovamento: «Lo scambio a breve non è l'unica dimensione del rapporto tra banca-politica» e certamente non è il migliore se si vuole invece trovare, nel rispetto dei diversi ruoli, un punto di convergenza in un processo di sviluppo. Aggiunge un altro imprenditore ben conosciuto come Pietro Franza, ad di Framon Group: «Noi siciliani abbiamo bisogno di una banca che abbia grande coraggio anche per sfondare il muro della politica». In periferia, e non solo in Sicilia, il derby è dunque a parti rovesciate: se a livello nazionale il baricentro del potere pende dalla parte delle banche, a livello locale i rapporti di forza sono spesso differenti. Ma la partita è aperta e che cosa abbiano in mente i po-litici per ribilanciare il loro rapporto con le banche è un terreno tutto da esplorare.

07/03/2008

Documento n.7172

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