BANCHE: CON IL CONTAGOCCE ALLA IMPRESE,NON RENDE NULLA AI CORRENTISTI.

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AIUTO, MI SI È RISTRETTO IL CREDITO - ALLE IMPRESE ARRIVA COL CONTAGOCCE. NON RENDE NULLA AI CORRENTISTI. MA ALLE BANCHE IL DENARO COSTA SEMPRE MENO E SI TENGONO BEN STRETTI I SOLDI CHE RICEVONO - SOLO UN PARADOSSO DELLA CRISI? Vittorio Malagutti per "L'espresso" (ha collaborato Mariaveronica Orrigoni) Per trainare un'auto può bastare una fune. Ma se volete spingerla, la corda diventa inutile. La metafora del filo coniata ai tempi della Grande Depressione è ancora attualissima. E descrive alla perfezione il paradosso più grande della crisi globale dei nostri giorni. Economisti e banchieri, infatti, sanno bene che le manovre al rialzo sui tassi possono ridurre, come tirando un filo, l'offerta di denaro con il risultato di spegnere le fiammate inflazionistiche. Muoversi in senso contrario, e cioè pompare liquidità nel sistema, rischia invece di rivelarsi uno sforzo vano, incapace di rimettere in moto la macchina dell'economia. Proprio come spingere un oggetto servendosi di un filo. Le cronache di questi giorni raccontano gli effetti pratici di questo paradosso. Dopo gli interventi a raffica (cinque in sei mesi) della Banca centrale europea (Bce) i tassi sono precipitati al minimo storico, ma il denaro non circola quanto sarebbe necessario per superare la crisi. Imprenditori grandi e piccoli si lamentano di non aver accesso al credito. Se la prendono con i banchieri troppo prudenti. Li accusano di scaricare sulle aziende i problemi e le inefficienze del sistema finanziario. Eppure, come ha spiegato Giorgio Gobbi, capoeconomista di Bankitalia, nella sua audizione in Senato dell'11 marzo, "tra lo scorso settembre e la fine di gennaio i principali tassi sui crediti alle imprese si sono ridotti di oltre un punto percentuale, riportandosi sui valori prevalenti nella prima metà del 2006". Secondo le rilevazioni della Banca d'Italia, quindi, dopo le tensioni di ottobre e novembre, nel pieno della tempesta finanziaria, il costo del denaro per le imprese in queste ultime settimane si sarebbe ridotto dal 6,5 per cento al 5,5 per cento, gli stessi livelli del 2006. Una notizia senz'altro positiva per le aziende, ma solo a metà. Perché, a ben guardare, adesso i banchieri hanno la possibilità di fare provvista di denaro a un prezzo inferiore rispetto a tre anni fa. Eppure, come dimostrano le statistiche più recenti, il costo dei prestiti per gli imprenditori risulta lo stesso del 2006. In altre parole, gli istituti di credito hanno trasferito solo in parte ai loro clienti i ribassi varati dalla Banca centrale europea guidata da Jean-Claude Trichet. Tre anni fa il tasso di riferimento fissato dalle autorità monetarie di Francoforte era pari al 3,5 per cento. Ovvero due punti in più rispetto al livello (1,5 per cento) raggiunto con l'ultimo intervento deciso all'inizio di marzo. Anche l'Euribor, cioè il tasso medio a cui avvengono le transazioni finanziarie tra le grandi banche europee, si è ridotto di molto: l'indice a tre mesi viaggia ormai stabilmente sotto l'1,7 per cento. A metà del 2006, invece, l'Euribor superava di poco il 3 per cento. Di più: anche sul fronte della raccolta le banche stanno facendo il pieno a prezzi di saldo. I tassi offerti in media sui depositi a gennaio erano già scesi sotto l'1 per cento (0,91, dato Bankitalia). E le famiglie, dopo il crollo dei mercati finanziari, spesso non trovano di meglio che parcheggiare i loro risparmi sul conto corrente. Insomma, la curva del costo del denaro si avvicina sempre più alla fatidica quota zero, ma questo non basta ad allentare la stretta sul credito, perché le banche si tengono ben stretti i soldi che ricevono. "Lo fanno anche perché temono un ulteriore peggioramento della crisi", spiega Marco Oriani, docente di economia degli intermediari finanziari all'Università Cattolica di Milano. E intanto, lucrando sull'aumento del differenziale dei tassi tra raccolta e impieghi, gli istituti di credito riescono anche a puntellare il conto economico. Una manovra provvidenziale, visto che i bilanci, colpiti dalla crisi dei mercati finanziari sono imbottiti di minusvalenze su titoli. Resta il fatto che le imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, faticano sempre di più a trovare credito proprio quando ne avrebbero maggiore bisogno, mentre soffia forte il vento della recessione. Non è solo una questione di tassi. Martedì 17 marzo, durante la sua audizione alla commissione finanze della Camera, il governatore di Bankitalia Mario Draghi ha spiegato che "al ristagno del credito contribuisce anche una politica più cauta delle banche nella concessione di prestiti a famiglie e imprese". Una conferma indiretta di questa valutazione arriva da un'indagine condotta nei giorni scorsi dalla Confederazione nazionale dell'artigianato. "Le difficoltà più grandi", si legge nei risultati della ricerca, "riguardano la disponibilità dei finanziamenti bancari e il peggioramento delle condizioni imposte alle imprese". E così, come segnalano migliaia di imprenditori da un capo all'altro della Penisola, le banche si prendono tempi più lunghi (a volte infiniti) per le istruttorie sui fidi. Oppure concedono il prestito, ma solo a scadenze brevi. Oppure, ancora, chiedono al cliente un reintegro delle garanzie. Di recente, per esempio, si sono moltiplicati i casi in cui il titolare dell'azienda si sente richiedere una fideiussione supplementare firmata dai suoi genitori anche sui loro beni personali. La prudenza dei banchieri e l'aggravarsi della recessione finiscono per innescare una pericolosa reazione a catena. Prive di finanziamenti adeguati, le aziende vanno più facilmente in crisi. E così aumentano i prestiti in sofferenza nei bilanci delle banche, che diventano ancora più prudenti, stringono ulteriormente le maglie del credito e quindi contribuiscono ad aggravare la crisi dell'economia. I dati più recenti sembrano confermare questo scenario sconfortante. A gennaio il credito al settore privato è cresciuto solo del 2,3 per cento contro l'8,5 per cento del settembre scorso. I prestiti incagliati ormai superano il 2 per cento del totale contro l'1,4 per cento di giugno 2008. E già nell'ultimo trimestre del 2008, prima che la crisi economica si aggravasse ancora, il tasso di insolvenza delle imprese aveva raggiunto il valore più elevato dal 1999. Con queste premesse c'è poco da stupirsi se tutti i più autorevoli centri studi hanno rivisto al ribasso le previsioni sul Pil. Da ultimo si parla di una riduzione del 3 per cento nel 2009. Manca la fiducia nella ripresa e senza fiducia difficilmente le banche torneranno ad allentare i cordoni della borsa. Intanto il ministro Giulio Tremonti si affida ai prefetti per sorvegliare i banchieri e rilanciare il credito alle aziende. Una trovata ad effetto, ma dagli esiti incerti e di difficile applicazione. Quasi come spingere un'auto con una corda. [20-03-2009]

20/03/2009

Documento n.7831

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