Interpellanze del Sen. Lannutti. Su CMS e su Indennità di malattia

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Interpellanze LANNUTTI - Al Ministro dell'economia e delle finanze - Premesso che: la Corte di cassazione, con la sentenza n. 12028 della sesta sezione penale, depositata il 26 marzo 2010, ha chiarito che la tanto discussa commissione di massimo scoperto deve rientrare nei calcoli per la determinazione del tasso usurario; la Corte ha interpretato in maniera estensiva quanto disposto dall'articolo 644 del codice penale che impone di considerare rilevanti per la determinazione dell'usura «tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con un suo uso del credito». Tra questi, nella lettura della corte, deve rientrare indubbiamente anche la commissione di massimo scoperto, visto che si tratta di una commissione, di un costo legato all'erogazione del credito; la commissione di massimo scoperto, infatti, scatta tutte le volte in cui il cliente utilizza lo scoperto di conto corrente e va a compensare l'onere cui l'intermediario finanziario si sottopone nel procurarsi la provvista da mettere a disposizione del cliente; la Cassazione spiega che l'interpretazione estensiva è avvalorata dalla normativa che successivamente è intervenuta nella materia dei contratti bancari, riferendosi all'art. 2-bis, comma 1, del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, cosiddetto decreto "anticrisi", per cui sono nulle le clausole che prevedono una remunerazione alla banca per la messa a disposizione di fondi al correntista, indipendentemente dall'effettivo prelevamento e dall'effettiva durata dell'uso da parte del cliente e la commissione massimo scoperto, se prevista contrattualmente, potrà essere applicata solo in caso di un saldo negativo di trenta giorni, e non più anche nel caso di un solo giorno di "rosso" in conto; considerato che: nonostante le severe critiche espresse in più occasioni dalla giurisprudenza, la commissione di massimo scoperto era sopravvissuta in quanto costituiva una voce tutt'altro che secondaria fra gli introiti delle banche; la Banca d'Italia, con una circolare emanata all'indomani della legge n. 108 del 1996, recante "Disposizioni in materia di usura", aveva invece escluso dal calcolo dei "tassi soglia" la commissione di massimo scoperto e per anni le banche si sono nascoste dietro le nota dell'autorità di vigilanza, che ad opinione dell'interrogante inquinava quanto stabilito dalla legge antiusura; a giudizio dell'interrogante le istruzioni di Banca d'Italia, discutibili e chiaramente rivolte a garantire profitti alle banche senza che queste corrano il rischio di vedersi contestare l'illecito de quo, non possono mutare i termini per la determinazione del TAEG (tasso annuo effettivo globale) stabiliti dalla legge n. 108 del 1996; solo successivamente, in applicazione del decreto-legge n. 185 del 2008 citato, la Banca d'Italia diramava, nell'agosto del 2009, le nuove istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi sulla base di quanto richiesto dalla legge sull'usura; la recente sentenza della Corte di cassazione ricorda, infatti, che le istruzioni di vigilanza in vigore fino al secondo trimestre 2009 prevedevano che la commissione di massimo scoperto non entrasse nel conteggio del tasso globale, ma venisse rilevata separatamente ed espressa in termini percentuali; in seguito all'approvazione della legge n. 2 del 2009, che ridimensiona la commissione di massimo scoperto, le banche, per non applicare la legge e continuare ad agire senza vincoli, hanno solo cambiato nome: da "commissione di massimo scoperto" a "commissione di scoperto di conto", senza porsi il problema di chiedere ed ottenere un esplicito consenso del cliente, per cui le limitazioni che la legge prevede non avevano effetto; l'abolizione della commissione di massimo scoperto, infatti, più che avvantaggiare i correntisti li ha ulteriormente penalizzati visto che in questi ultimi mesi c'è stata una vera e propria proliferazione di nuove commissioni applicate dalle banche sui conti correnti che non solo assomigliano alla commissione di massimo scoperto, ma addirittura sono più salate e penalizzanti; il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà, ha già lamentato l'esasperante lentezza con cui il sistema bancario e finanziario accoglie i suggerimenti istituzionali, in particolare il caso della commissione di massimo scoperto, abolita e sostituita da commissioni il cui costo si è rivelato molto più alto per chi va "in rosso" occasionalmente e non ha un fido; Catricalà ha ribadito, al riguardo, che non è accettabile che chi vada "in rosso" sul conto corrente in maniera occasionale, e magari per un solo euro, paghi molto di più di chi lo faccia in forma continuativa, con il rischio che il cliente sia chiamato a corrispondere anche 15 volte in più di quando c'era la commissione di massimo scoperto; come si può confrontare dal documento pubblicato sul sito dell'Autorità, in occasione dell'audizione presso l'Ufficio di presidenza della 6ª Commissione permanente (Finanze e tesoro) del Senato, tenutasi in data 21 aprile 2010, sull'eliminazione della commissione di massimo scoperto e l'introduzione di nuove commissioni, il Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha riportato dati allarmanti in merito all'incremento dei costi derivanti dalla commissione di massimo scoperto (risorta come "l'araba fenice"); in particolare Catricalà afferma che: «La novità legislativa del mese di agosto ha posto un limite alla crescita delle spese connesse con i fidi che la clientela (...) è stata costretta a subire nella prima metà del 2009. Prima di quest'ultimo intervento normativo le aliquote applicate variavano dallo 0,9% sino all'1,5% ogni trimestre, non diversamente da quelle previste in regime di massimo scoperto: tuttavia l'onere risultava superiore in quanto le aliquote venivano applicate sull'intero ammontare del fido e non limitatamente all'utilizzato. Se questo ha posto, in linea generale, rimedio ai disagi subiti dalle imprese, lo stesso non può dirsi per i consumatori privati, principali fruitori della possibilità di andare in scoperto sul conto corrente ma di conseguenza vittime degli incrementi di costo derivanti dalle nuove tipologie di spesa. I dati riscontrati nell'indagine dell'Autorità sono allarmanti. (...) Assai più preoccupanti sono i dati sui valori degli incrementi nelle spese trimestrali tra vecchio e nuovo sistema: essi presentano valori compresi tra +37% e +1600%. Ovviamente, nei casi in cui le commissioni sono applicate in rapporto alla durata dello sconfino, gli incrementi sono superiori per l'ipotesi di permanenza "in rosso" più lunga. In generale, le nuove commissioni appaiono particolarmente penalizzanti per gli scoperti di durata medio-lunga, ma risultano peggiorative anche per quelli di durata molto breve e di entità limitata»; a giudizio dell'interrogante la sentenza della Suprema Corte di cassazione, che arriva inoltre dopo la sentenza n. 870 del 18 gennaio 2006 della prima Sezione civile di Cassazione, oltre ad assestare un duro colpo alla scandalosa prassi bancaria di appesantire il costo del credito, rivoluziona ancora una volta, come con l'anatocismo, i rapporti tra banche e clienti, sconfessando clamorosamente la tesi favorevole agli esclusivi interessi delle banche; considerato inoltre che: l'art. 33 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria per il 2008) attribuisce al Governo una delega ampia volta a disciplinare i rapporti di credito al consumo e in genere i rapporti banca-cliente allo scopo di assicurare una maggiore protezione dei consumatori; da una ricerca effettuata da Adusbef, negli ultimi cinque anni (2005-2009), su un totale di 6.155 miliardi di euro di finanziamenti per cassa, la commissione di massimo scoperto arbitrariamente conteggiata dal sistema bancario ai debitori al di fuori dei tassi soglia regolati dal comma 4 dell'art. 644 del codice penale, ammonta a 181,9 miliardi di euro; da rielaborazioni a cura dell'Adusbef di dati forniti dalla Banca d'Italia, contenuti in una tabella (trasmessa in allegato alla presente interrogazione e acquisita agli atti del Senato) si evidenzia come fra il 2005 e il 2009 in media il sistema bancario abbia beneficiato annualmente di oltre 35 miliardi di euro a titolo di commissioni di massimo scoperto; a giudizio dell'interrogante, l'aver garantito, in concorso tra loro, profitti illeciti e vantaggi usurari al sistema bancario con atto amministrativo ed una surrettizia interpretazione di una norma di legge chiara ed imperativa come l'art. 644 del codice penale, quindi scevra da suggestioni favorevoli agli esclusivi interessi degli istituti di credito, può aver configurato il concorso nel reato di usura; migliaia di imprenditori strozzati dagli interessi eccedenti il tasso soglia, quindi di fatto usurari, sono stati costretti in tal modo a dirottare il frutto della propria attività di intrapresa a beneficio delle banche, le quali senza la richiamata, criticabile circolare della Banca d'Italia, che non avrebbe potuto offrire interpretazioni difformi dalla legge, avrebbero pagato meno un costo del denaro così calmierato di almeno 3-4 punti su base annua, si chiede di sapere: quali iniziative intenda assumere il Ministro in indirizzo alla luce della recente sentenza della Cassazione al fine di tutelare tutti quei clienti di istituti di credito che si sono visti addebitare tassi ai confini della soglia di usura; se non ritenga che sia arrivato il momento di porre un freno alla prepotenza delle banche che sfocia spesso nell'illegalità orientandosi alla tutela del sistema produttivo e dei consumatori, su cui e di cui le stesse banche vivono; quali iniziative voglia intraprendere affinché siano realmente garantiti e rispettati da parte degli istituti di credito i principi di trasparenza e chiarezza che donerebbero al rapporto bancario uno sviluppo, attualmente assicurato solo dall'univocità dello strumento finanziario e da stringenti logiche di cartello; se sia a conoscenza delle ragioni del mancato adeguamento da parte di Banca d'Italia alla legge antiusura (legge n. 108 del 1996), ai tempi dell'approvazione, quando con la relativa circolare escludeva dal calcolo dei "tassi soglia" la commissione di massimo scoperto. (2-00195) LANNUTTI, CARLINO - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali - Premesso che: l'INPS, mentre assicura a tutti i lavoratori dipendenti un'indennità di malattia pari al 50 per cento della retribuzione per i primi 20 giorni e del 66,66 per cento per i giorni successivi (i primi tre giorni sono a carico del datore di lavoro), non eroga alcun contributo di malattia ai lavoratori domestici. Per questi ultimi dovrebbe sovvenire il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL), il quale pone esclusivamente a carico del datore di lavoro l'indennità di malattia cui ha diritto il dipendente; a giudizio degli interroganti si configura una duplice disparità di trattamento: 1) in danno dei lavoratori domestici che non godono dell'indennità di malattia a carico dell'INPS assicurata a tutti i prestatori di lavoro dipendente bensì di un trattamento affidato all'autonomia privata e di incerta applicazione. È vero che il CCNL prevede la possibilità di un intervento dell'Ebilcoba, ente bilaterale tra datori di lavoro e sindacati, ma questa misura è condizionata all'iscrizione del datore di lavoro all'ente e al pagamento di gravosi contributi mensili da parte dello stesso, sicché ben pochi hanno aderito alla convenzione stipulata tra l'INPS e l'ente suddetto; 2) in danno dei datori di lavoro cui incombe l'obbligo di corrispondere ai propri collaboratori domestici, per i quali pagano all'INPS i contributi previdenziali ed assicurativi previsti dalla legge per tutti i lavoratori dipendenti, l'indennità di malattia, senza la possibilità di rivalsa nei confronti dell'istituto previdenziale, si chiede di sapere quali iniziative urgenti il Ministro in indirizzo intenda assumere al fine di sanare la disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti e lavoratori domestici, priva di qualsiasi razionale giustificazione, in modo tale da garantire a questi ultimi l'effettiva copertura previdenziale da parte dell'INPS in caso di malattia. (4-03056)

23/04/2010

Documento n.8577

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