Da Il Denaro: Le banche e l’arte di variare le condizioni

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Le banche e l’arte di variare le condizioni di Carlo Alvano* Sembra proprio che le sezioni unite della Corte suprema abbiano impresso un nuovo corso ai rapporti con le banche. Dopo la rivoluzionaria sentenza sull’anatocismo, appena dieci giorni dopo, l’Autorità garante della concorrenza e la Banca d’Italia, chiudendo l’istruttoria congiunta avviata nei confronti dell’Associazione bancaria italiana (Abi) hanno deciso che i vecchi schemi contrattuali da essa predisposti per tutti gli associati, aventi ad oggetto la prestazione di alcuni servizi di investimento e l’utilizzo delle carte di credito, sono in violazione dell’articolo 2, comma 2, della legge numero 287 del 1990, vale a dire delle norme restrittive sulla concorrenza. Ricordiamo che tale disposizione vieta, rendendole nulle ad ogni effetto, le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali. Di applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; di subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l’oggetto dei contratti stessi. La clausola sottoposta a esame congiunto era quella avente ad oggetto la modifica unilaterale da parte delle banche delle condizioni economiche di conto, il cosiddetto “ius variandi”. Tale possibilità consentiva in qualunque momento alle banche di modificare le condizioni economiche di conto in senso sfavorevole al cliente, anche in forma retroattiva, senza dover esplicitare le ragioni di una simile decisione. Era sufficiente che le nuove condizioni fossero comunicate al cliente in maniera impersonale, mediante pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale anziché attraverso una informativa individuale. L’Abi ha già formulato un nuovo schema contrattuale per tutti i suoi iscritti, ritenuto valido, mantenendo soltanto una nota di richiamo per le banche che intendono ancora avvalersi di tale facoltà, raccomandando di tenere conto delle disposizioni a favore dei consumatori. La censura nasce dal fatto che tale disposizione costituiva una forma di coordinamento orizzontale delle condizioni di offerta, idonea a comprimere gli ambiti di concorrenza attraverso la fissazione di uno standard suscettibile di ostacolare la mobilità della clientela, che non è incentivata a ricercare le condizioni di offerta migliori, essendo queste ultime soggette a essere modificate unilateralmente dalle imprese. Da tempo l’Adusbef denunciava questo abuso di posizione dominante che si traduceva in un libero arbitrio delle banche. Dal 9 luglio 1992, epoca in cui entrò in vigore la clausola, i clienti che non volevano accettare la variazione non avevano altra possibilità che rientrare nei successivi quindici giorni. Risultava evidente uno squilibrio nei rapporti e sul mercato. Difatti, un imprenditore che avesse deciso di fare i suoi investimenti sulla base dell’analisi dei costi del denaro acquistato presso la propria banca sulla base di siffatto contratto, si trovava improvvisamente a dover fare i conti con una realtà diversa, all’interno della quale, pur subendo improvvisamente gli effetti negativi dello “ius variandi”, egli non aveva alcuna possibilità di scaricarli sui contratti già chiusi con la propria clientela. Di conseguenza a dover subire delle perdite improvvise con grave diseconomia delle scelte effettuate in base all’iniziale affidamento. A tanto si aggiunga che l’obbligo di rientrare nei quindici giorni si traduceva in un’imposizione che, se non accettata, comportava l’impossibilità di ricercare una offerta migliore, considerato che nessuna altra banca avrebbe concesso all’intimato fidi e soprattutto condizioni diverse da quelle praticate dalla prima, in quanto nel nostro Paese è stato tollerato che le banche costituissero un cartello sotto forma di un’associazione. Va tuttavia tenuto presente che anche la clausola del rientro “ad nutum” è stata oggetto di censura da parte della Cassazione, atteso che viola il principio di affidamento e di buona fede nell’esecuzione del contratto, e della causa del contratto di sconto della cambiale, disciplinata dall’articolo 1859 del Codice civile. *avvocato 26-11-2004

26/11/2004

Documento n.4283

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