l’iSTAT sa bene che ’aumento del 3,6% delle retribuzioni non è confrontabile con il dato sull’inflazione
COMUNICATO CONGIUNTO ADUSSBEF - USICONS L’aumento del 3,6% in un anno delle retribuzioni contrattuali non è confrontabile con il corrispondente dato di marzo sull’inflazione, che, secondo l’Istat, sarebbe aumentata di 1,9 %. Sarebbe sufficiente che l’Istituto nazionale di statistica, come dovrebbe essere suo compito, spiegasse al Paese i motivi per i quali l’indice delle retribuzioni contrattuali è uno strumento inadeguato per misurare le variazioni del potere d’acquisto degli stipendi. Infatti, la retribuzione contrattuale misurata dall’Istat, considera solo gli elementi retributivi aventi carattere fisso e continuativo (paga base, indennità di contingenza, mensilità aggiuntive, importi per aumenti periodici di anzianità, indennità di carattere generale, premi mensili), mentre esclude il salario accessorio (contrattazione integrativa), gli straordinari e i premi occasionali. Inoltre, il dato viene calcolato sulle variazioni della retribuzione contrattuale dal momento in cui il contratto è rinnovato e non dalla decorrenza dello stesso. Una misura più corretta sarebbe quella che confrontare le retribuzioni secondo un criterio di competenza effettiva, riattribuendo a ciascun anno la propria retribuzione, indipendentemente da quando avviene il pagamento degli arretrati. Infine, dalla retribuzione lorda di competenza, comprensiva di ogni emolumento, deve essere sottratta la tassazione per ottenere, così, il salario disponibile per il consumo o il risparmio. A questo punto, per un confronto corretto con gli indici dei prezzi al consumo, andrebbe sottratto dal salario disponibile la quota mensile destinata ai pagamenti di mutui sulle abitazioni e di tutte quelle altre voci che non sono considerate ai fini del calcolo dell’inflazione. Ovviamente, il discorso non è generalizzabile, in quanto vale solo per i lavoratori contrattualizzati, ma non per gli atipici o i disoccupati, per i quali l’inflazione è una perdita secca senza possibilità di recupero. Ci sono motivi a sufficienza per definire improprio l’accostamento tra la variazione delle retribuzioni contrattuali e l’indice dei prezzi al consumo, ma evidentemente i vertici dell’Istat, al costo di perdere irrimediabilmente la propria credibilità, già duramente messa alla prova nel recente passato, preferiscono continuare nella campagna di disinformazione sociale, già più volte messa in atto con i dati tra loro contrastanti sulle vendite al dettaglio e sui consumi delle famiglie, con le pseudo statistiche sulla povertà assoluta e sugli scioperi, con il rapporto deficit/Pil, calcolato senza tenere conto delle regole contabili definite in sede Eurostat, alle quali ciascun Istituto di statistica degno di questo nome, dovrebbe adeguarsi, anziché preoccuparsi di favorire il Governo.02/05/2005
Documento n.4620