BANCHE: MAFIE INVISIBILI GUIDATE DAI BANCHIERI CENTRALI, VINCONO SEMPRE ALLA ROULETTE TRUCCATA DEI DERIVATI

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FINANZA DROGATA – CONTROLLI INTERNI INESISTENTI. MANAGER SENZA SCRUPOLI CON COMPENSI DA CAPOGIRO. E QUANDO SCOPPIA UNO SCANDALO NESSUNO PAGA: IL CASO SOCGEN È IL SIMBOLO DI UN “SISTEMA” PERVERSO… Vittorio Malagutti per “L’espresso” Société Générale Rischi? "Nessun rischio. Noi non facciamo speculazioni". Non aveva tempo da perdere, quel giorno, Philippe Citerne, direttore generale della Société Générale. Andava di fretta, lui. Proprio come la sua banca. E quando un piccolo azionista, congratulandosi per l'ottimo bilancio, chiese lumi sulle possibili incognite del gran business dei prodotti derivati, fiore all'occhiello dell'istituto parigino, il supermanager troncò il discorso con poche parole che suonavano come uno slogan. "Siamo fieri di essere tra le tre-quattro società al mondo in grado di gestire questi rischi". Correva l'anno 2004, mese di settembre e Citerne era andato in trasferta a Nogent sur Marne, dieci chilometri dalla capitale, per illustrare i brillanti risultati di SocGen davanti a una platea di soci e investitori. Altri tempi, quelli. Alimentata dal doping del denaro facile, prendeva forma la gran bolla della finanza strutturata e il mercato veniva invaso da prodotti che promettevano rendimenti altissimi, ma erano difficili da maneggiare come bicchieri di cristallo purissimo. Ora che quel gigantesco castello speculativo sta miseramente crollando pezzo dopo pezzo, trascinando nella polvere anche le ambizioni di SocGen, sembra fin troppo facile bollare quelle incaute dichiarazioni come il testamento intellettuale di uno dei tanti maldestri apprendisti stregoni. Troppo facile farsi beffe degli ottimisti a oltranza, adesso che il terremoto ha fatto tremare colossi come Citicorp, Merrill Lynch e Ubs. Mentre i ministri delle Finanze del G7 riuniti a Tokyo il 10 febbraio fissano a 400 miliardi di dollari (275 miliardi di euro) il conto finale delle perdite causate dalla cosiddetta crisi dei mutui subprime. Una somma spaventosa di per sé. Che diventa ancora più allarmante se si considera che solo un paio di mesi fa i vertici dell'economia mondiale, a cominciare dalla Fed statunitense, accreditavano cifre inferiori della metà. Come dire che nessuno sa bene che cosa ci aspetta nell'immediato futuro. E perfino il governatore di Bankitalia Mario Draghi, nella sua veste di presidente del Financial Stability Forum, ha lasciato trasparire un certo senso d'impotenza, limitandosi a dichiarare che "saranno cruciali" i prossimi dieci-quindici giorni, quando molte grandi banche internazionali pubblicheranno i conti certificati del 2007. Meglio non fare pronostici, allora. Ma l'incredibile storia di Jérome Kerviel, il giovane trader capace di scavare un buco da 5 miliardi di euro nei conti di una delle più importanti e ammirate istituzioni finanziarie d'Europa, aiuta a comprendere da dove parte la miccia che rischia di innescare la peggiore recessione economica dopo la crisi del 1929. Perché, già nel lontano 2004, quando monsieur Citerne illustrava con orgoglio ai risparmiatori le magnifiche sorti della sua banca, al quartier generale della SocGen tutto sembrava già pronto per allevare il 'mostro' Kerviel. Comincia quattro anni fa, infatti, la formidabile impennata nei profitti delle attività a vario titolo legate alla finanza strutturata. La strategia di crescita viene etichettata con un marchio che è tutto un programma: Tgv, come i treni superveloci francesi. Solo che in questo caso la sigla sta per Turbo Growth Venture. Insomma, una crescita col turbo. Di nome e di fatto. I conti di SG Cib (Société Générale Corporate and investment banking), la società che tira le fila di trading e consulenza sui mercati, prendono il volo. Tra il 2004 e il 2006 gli utili netti di questa divisione passano da 1,4 a 2,3 miliardi, il 45 per cento del risultato complessivo del gruppo. E la marcia trionfale continua nei primi sei mesi dell'anno scorso. A giugno del 2007 la Sg Cib aveva già realizzato profitti per 1,4 miliardi, pari a quelli messi in bilancio nell'intero 2004. Per reggere la sfida con i colossi anglosassoni e coronare le sue ambizioni da banchiere globale, il presidente Bouton allenta le briglia dei suoi specialisti in derivati e affini, che presto si trasformano in una casta di privilegiati, riveriti e premiati con bonus milionari. Ci sono i venditori. Poi i trader, quelli che prendono posizione sui mercati. E infine gli 'strutturatori', metà scienziati metà alchimisti, capaci di inventare nuovi prodotti basati su complesse formule matematiche. In totale circa 2 mila e 200 persone. E, a partire dal 2000, ogni anno almeno un centinaio di nuove reclute sono andate a rafforzare queste truppe scelte nel quartier generale di SocGen, nei grattacieli in vetrocemento del quartiere parigino della Défense. Le teste di cuoio della banca francese sfondano su tutti i mercati. Dagli Stati Uniti al Giappone alla Corea, fino all'Italia (circa 200 dipendenti a Milano), conquistano posizioni di eccellenza confermate dal diluvio di riconoscimenti ottenuti nelle annuali classifiche stilate dalle più prestigiose riviste specializzate. Tanta gloria, certo, ma anche soldi, molti, maledetti e subito. Jean-Pierre Mustier, numero uno della SG Cib, nel 2006 è riuscito a guadagnare oltre 11 milioni di euro, quasi quattro volte i compensi del suo presidente Bouton, circa 3 milioni di euro. E Cristophe Mianné, 43 anni, già responsabile di tutte le attività in derivati, proprio a dicembre 2007 era stato promosso al grado di vice di Mustier, con uno stipendio, premi compresi, di poco inferiore a quello del suo capo. Erano loro le superstar, i protagonisti di una storia di straordinario successo. Ma adesso che è arrivata la tempesta nessuno di loro, e neppure Bouton, ha perso il posto. Giusto una sforbiciata al megastipendio, niente di più. E pensare che ancora poche settimane fa, intervistato da 'Risk', un magazine di settore, il rampante Mianné spiegava come la sua banca fosse riuscita a ridurre al minimo le conseguenze della crisi dei mercati finanziari, nonostante la forte esposizione sui derivati. Tempo scaduto, ormai. La bomba stava per esplodere, innescata da un trader poco più che trentenne alla disperata ricerca della sua personale ribalta di gloria. Kerviel, il figlio di una parrucchiera cresciuto in un remoto paesino della Bretagna (Pont L'Abbé) cercava visibilità e riscatto sociale al desk di trading di quella che era considerata una delle più agguerrite macchine da soldi della finanza mondiale. Lavorava fianco a fianco con i laureati in fisica, matematica e ingegneria nelle migliori università di Francia. E lui, uscito da un ateneo di provincia (Nantes), costretto per cinque anni dopo l'assunzione nel 2000 a farsi le ossa nelle retrovie del back office, aveva finalmente l'occasione di dimostrare a tutti quanto valeva davvero. Difficile dire che non ci sia riuscito. Quantomeno se si prende per buona la versione ufficiale diffusa dai vertici di SocGen. E cioè quella del truffatore solitario e geniale che in preda a una sorta di delirio di onnipotenza si infila in un tunnel di scommesse miliardarie per pura ambizione personale. Senza una prospettiva di guadagno per se stesso che non fosse quella di intascare i ricchi bonus garantiti ai trader vincenti. In effetti, riuscire ad aggirare i controlli interni per almeno un paio di anni fino a montare una posizione speculativa in prodotti derivati per un'esposizione complessiva di 50 miliardi di euro sembra davvero un'impresa più vicina alla categoria dell'illusionismo che a quella della semplice truffa. Eppure, nonostante il gran polverone di sospetti e insinuazioni, finora gli investigatori che indagano sul caso non hanno trovato un solo indizio concreto che accrediti l'ipotesi delle complicità interne. "Anche se proteggete la vostra casa con i migliori sistemi d'allarme, ci sarà sempre un ladro capace di aggirarli". Da settimane ormai questo è il ritornello ripetuto fino alla noia da amministratori (tra cui l'italiano Gianemilio Osculati) e top manager di SocGen nel tentativo di convincere magistrati e autorità di vigilanza che Kerviel ha fatto tutto da solo. Può darsi. Ma sono bastati pochi giorni di indagini per far emergere lacune clamorose nei sistemi di controllo, che già nel marzo dell'anno scorso erano stati al centro di una lettera di richiamo inviata dalla Banca di Francia. Si è scoperto, per esempio, che le verifiche si concentravano sulle posizioni nette dei singoli trader. E l'abile Kerviel, che aveva mascherato i suoi giganteschi contratti inventandosene altri di segno contrario e quasi equivalenti, era quindi riuscito a farla franca senza troppi problemi. Le compravendite fasulle venivano cancellate poco prima dell'esecuzione e quindi sostituite da altre, anche queste del tutto virtuali. Elementare. E funzionava alla grande. Anche perché gli ispettori della banca non erano soliti analizzare i contratti cancellati. Altrimenti sarebbe stato un gioco da ragazzi alzare il velo sulla truffa. Nel dicembre scorso si scoprì che Kerviel non prendeva ferie da otto mesi. Non poteva permetterselo. Infatti, solo presidiando quotidianamente il suo computer poteva tessere la trama dei suoi complicati affari e prendere provvedimenti tempestivi in caso di controlli. Il suo comportamento, in teoria, poteva alimentare sospetti. Ma quando un dirigente gli ha chiesto spiegazioni, il trader bretone se l'è cavata con una scusa. Ce n'è abbastanza per dare una qualche credibilità alle denunce riportate dall'agenzia di stampa France presse, che citando alcuni anonimi ex dipendenti ha segnalato controlli lacunosi e scarsa disciplina tra i trader di SocGen. Kerviel invece, una volta scoperto e arrestato, si è difeso spiegando che i suoi superiori erano a conoscenza delle sue spericolate operazioni. La banca ha respinto al mittente accuse e sospetti. E adesso per coprire il buco da 5 miliardi della maxi frode è costretta a svendere le sue azioni nel tentativo di convincere i suoi soci a sottoscrivere un aumento di capitale da 5,5 miliardi. Sarà molto difficile riconquistare la fiducia degli investitori. Perché le cifre ancora non tornano. Ad agosto dell'anno scorso, quando la crisi dei mutui subprime era già esplosa, i vertici di SocGen tranquillizzarono gli azionisti assicurando che l'esposizione nelle aree di crisi del mercato Usa era minima. A novembre però sono spuntati 500 milioni circa di perdite, che a gennaio sono diventati 2,1 miliardi. Mentre lunedì 11 febbraio, in un comunicato ufficiale a commento dei risultati annuali, il rischio su prodotti collegati ai subprime veniva addirittura fissato a 2,6 miliardi. Basta così? Oppure sono in arrivo altre brutte sorprese? Qui Kerviel non c'entra, ma i mercati non si fidano lo stesso.

16/02/2008

Documento n.7138

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