da Dagospia 7-5-07 SCENE DI FINE GOVERNO -

in Rassegna Stampa
SCENE DI FINE GOVERNO - VERBALI, INDISCREZIONI, INTERCETTAZIONI, OGNI GIORNO SUI DS SI APRE UN “CASO” - GUERRA PER LA POLTRONISSIMA DI SUPERCAPO DELL’INTELLIGENCE: DE GENNARO (DS) O DI PAOLA (DL)? - PIÙ PRODI STA IN PIEDI, PIÙ IL CAV. SALE NEI SONDAGGI… Augusto Minzolini per La Stampa Scene di fine governo. Quando il potere politico latita il Palazzo diventa una sarabanda. Nell’aula del Senato il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, tratta l’ex-comandante generale della Guardia di Finanza, Roberto Speciale, come un mezzo mascalzone per non aver ceduto ai suggerimenti del viceministro, Vincenzo Visco. Fuori da Palazzo Madama il sottosegretario, Mario Lettieri, margheritino, pur vivendo nello stesso ministero racconta tutta un’altra storia: «Visco si doveva dimettere e basta - si sfoga in confessionale -. Sarebbe stata la decisione più limpida. E’ una brava persona ma è presuntuoso e arrogante. L’Ocse ci dà dieci e lode ma qui ci copriamo di vergogna. Visco è indifendibile e la cosa peggiore è stata la nomina di Speciale alla Corte dei Conti. Speciale è una brava persona, io lo conosco, ma potevano aspettare almeno sei mesi. Invece gli hanno dato la possibilità di risponderci «no» e di pronunciare quell’«obbedisco» davanti al Paese. Un vero schiaffo che ci farà perdere le elezioni per venti anni». Scene di fine governo. Quando il potere politico non è all’altezza sul Palazzo si riversa una marea di fango. Verbali, indiscrezioni, intercettazioni, ogni giorno sul centro-sinistra si apre un «caso». Dieci giorni fa un’intercettazione tra Massimo D’Alema e il patron dell’Unipol Giovanni Consorte. Poi un dossier sui presunti conti segreti in Sud America del capo della Farnesina. E due giorni fa il Gip di Milano, Margherita Forleo, ha annunciato un’ondata di intercettazioni che vedrà come protagonisti soprattutto personaggi del gotha Ds dallo stesso D’Alema a Nicola Latorre, a Piero Fassino. «Non mi fate parlare della Forleo», si limita a dire in uno dei corridoi di Palazzo Madama Guido Calvi, principe del foro di fiducia dei Ds. Poco più in là lo stesso Latorre, uomo ombra di D’Alema, si confida con l’ex-procuratore di Milano e oggi senatore della Quercia, Gerardo D’Ambrosio: «Io gliel’ho detto a Massimo che dobbiamo reagire. Noi, però, non possiamo farlo con questi fantasmi delle intercettazioni. Io comunque sono tranquillissimo. Al massimo uscirà fuori che ho dato del testa di c. a questo e dello stron. a quello». C’è chi, invece, su quelle intercettazioni nutre più speranze. L’azzurro Luigi Grillo sente odore di rivincita: «Le mie intercettazioni sono uscite, ora spero che escano pure le loro. Bisogna vedere se questo fregnone vestito da generale ha le carte per arrivare a Telecom». E in tutto questo bailamme anche qualche anima candida si scalda. Il ministro della Difesa, Arturo Parisi, se la prende per quell’immagine data da qualcuno di un governo che non è riuscito a fare un repulisti nei servizi segreti e nella Finanza perché sotto schiaffo: «C’è chi deve mettersi in testa che non siamo tutti uguali, che c’è anche chi, come il sottoscritto, non ha nulla da nascondere». Scene di fine governo. Appunto, quando il potere politico è debole è sottoposto alle pressioni degli altri poteri, anche dei corpi dello Stato. Rocco Buttiglione è un filosofo prestato alla politica e proprio per questo cerca di organizzare ogni polemica, ogni duello dentro un quadro generale. «E’ in atto - osserva il senatore dell’Udc - uno scontro di potere dentro il centro-sinistra. In più quando c’è un governo debole tutti pensano di avere la forza per condizionarlo. Qualcuno parla di nuova P2, in realtà questa invenzione è solo un episodio di una guerra per una poltronissima, quella del supercapo dell’intelligence che verrà istituita dalla riforma dei servizi disegnata da Luciano Violante. In ballo c’è il capo della polizia, Gianni De Gennaro, e il capo di stato maggiore della Difesa, ammiraglio Di Paola. Il primo ha l’appoggio dei Ds. Il secondo quello della Margherita. Una guerra di potere di cui la guerra messa in piedi da Visco contro il generale Speciale è un’altra puntata. Caso vuole che D’Alema, Visco e De Gennaro facciano parte della stessa paranza, quella di Luciano Violante ma anche di Massimo D’Alema». Ieri per il solito capello il governo è riuscito a superare l’ennesimo voto difficile al Senato e a salvare Vincenzo Visco. Eppure lo scenario generale somiglia agli ultimi giorni di Pompei. Il motivo è nel peccato originale di questo equilibrio politico: Romano Prodi ha voluto governare il Paese con una coalizione composita e con appena due voti di maggioranza al Senato. Si tratta di un esecutivo debole sul piano strutturale. Enrico Berlinguer, finito da tempo nella soffitta Ds, su un punto aveva ragione: l’Italia è un Paese complesso che non può essere governato con il 51%. Prodi e l’Unione invece ci hanno provato con il 50,001%. E ora il Paese gli sta crollando addosso. Mai come ieri in Senato, una vittoria, quella su Visco, è stata vissuta dalla maggioranza come una sconfitta. Il fuoriuscito diessino, Cesare Salvi, in pieno transatlantico ha ironizzato sul «J’accuse» di Tommaso Padoa-Schioppa su Speciale: «Gli ha detto di tutto, ma si è dimenticato che era il suo candidato per la Corte dei Conti». Nello stesso momento altro ex-Ds, Gavino Angius, rimembrava il primo degli errori: «L’ho detto il giorno dopo le elezioni che non potevamo governare in queste condizioni». Tra scontri di potere e intercettazioni, il logoramento va avanti. Certo in molti dentro l’Unione vorrebbero staccare la corrente a Prodi, ma non hanno il coraggio di farlo. Il professore li tiene tutti incatenati dentro questo governo impopolare. Tutti hanno un gioco in piedi meno il gruppo dirigente del partito Democratico. Mastella sta nel governo ma per evitare il referendum si prepara a farlo saltare nella primavera del prossimo anno, a passare con Berlusconi e ad andare alle elezioni. Il gruppo dirigente di Rifondazione, se le cose non cambieranno, ha in mente un’operazione di sganciamento su Dpef e Finanziaria per riabbracciare il proprio elettorato scontento. E, in fondo, la crisi mancata non ha deluso neppure ieri più di tanto il Cavaliere: per lui l’opzione principale è quella di andare alle elezioni nella primavera del 2008 con il faccione del Professore ancora a Palazzo Chigi. Non per nulla gli sta passando per diversi motivi anche la voglia di «flirtare» con D’Alema. «Per noi - raccontava giorni fa un ex-ministro di Forza Italia che ha messo la sua intelligenza luciferina al servizio del Cavaliere - D’Alema non è più un interlocutore. Lui e Berlusconi si sono visti, ancora giorni fa, ma non si sono intesi. L’uno non si fida dell’altro. E poi D’Alema si nasconde dietro a Prodi per cui non ci serve. Tanto più ora che è nei guai. Inoltre Berlusconi non vuole un governo istituzionale guidato da Marini perché ci coinvolgerebbe troppo. E anche l’idea di un esecutivo Dini a me non piace. La frase che ripete sempre Silvio è “stiamone fuori”». L’immobilismo dell’Unione, insomma, fa il gioco di Berlusconi: più il governo Prodi sta in piedi, più il Cavaliere sale nei sondaggi. E anche i possibili interlocutori nel centro-destra degli «insofferenti» dell’Unione - cioè i vari Rutelli, Fassino, D’Alema - cominciano a perdere la pazienza. «Io - confidava ieri Pierferdinando Casini agli intimi - gli ho teso la mano per un governo diverso da Prodi e per dargli la possibilità di riprendersi. Ma a quanto pare sono degli incapaci. Affari loro. Io male che va, sarò il terzo o, forse addirittura, il secondo di Berlusconi». Dagospia 07 Giugno 2007

08/06/2007

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