Da Corriere.it (19.2.04). Prima sentenza civile per insider trading: condannati 7 istituti «Risparmiatori ingannati, le banche paghino».

in Rassegna Stampa
Da Corriere.it (19.2.04). Prima sentenza civile per insider trading: condannati 7 istituti «Risparmiatori ingannati, le banche paghino». Gli investitori compravano titoli Sci, i banchieri li vendevano perché sapevano che il salvataggio era fallito. Luigi Ferrarella - Giuseppe Guastella MILANO - «Per effetto delle condotte delle banche, i risparmiatori hanno pagato di più un bene che valeva molto di meno, e sono stati esposti a margini di rischio della cui reale dimensione non erano consapevoli». Per la prima volta in Italia, il Tribunale civile di Milano condanna 7 istituti di credito, seppure già archiviati in sede penale dall?accusa di insider trading, a risarcire 14 risparmiatori per il danno indiretto arrecato ai loro investimenti in Borsa con l?utilizzo di informazioni «assolutamente privilegiate e confidenziali»: notizie grazie alle quali Credito Italiano (Unicredito), Cariplo (Banca Intesa), San Paolo Imi, Banca di Roma (Capitalia), Crt, Carige e Centrobanca nell?estate 1997 si liberarono appena in tempo delle azioni che possedevano nella «Sci costruzioni», società genovese in crisi ma di cui i risparmiatori nello stesso periodo comprarono titoli fidandosi del proclamato impegno delle banche azioniste nel piano di risanamento. L?entità del risarcimento, in questo caso concreto, è modesta: circa 100mila euro. Ma è il principio che scuote le banche. Specie in vista dei casi Cirio e Parmalat. La Sci fallì il 20 marzo 1998. L?estate prima, il bilancio la dipingeva come un?impresa in via di risanamento gestito dal Comitato ristretto delle banche creditrici, con il pieno sostegno finanziario appunto degli istituti di credito. «Fatti assolutamente smentiti - rimarca invece l?ottava sezione del Tribunale civile - in un promemoria "strettamente riservato" che l?advisor legale «Vitale e Borghesi C.» consegnò alle banche il 10 giugno 1997, ben 20 giorni prima dell?approvazione del bilancio». Lì le banche decidono che è il momento non solo di non mettere più un quattrino nella società, ma anche di uscirne a razzo prima del tracollo. Così tra agosto e ottobre 1997 cominciano a smobilizzare le proprie azioni nella Sci (alla fine si disferanno del 44 per cento del capitale), violando peraltro l?obbligo di comunicarlo alla Consob: «Dismettendo alla chetichella gran parte dei titoli posseduti», le banche salvano dal crac 37 loro milioni di euro, e contribuiscono «all?illusione dei fruitori del mercato che vi fosse un rastrellamento da parte di raiders». Tra banche e risparmiatori (difesi in questa causa-pilota dall?avvocato Cino Raffa Ugolini) pesa «una discrasia informativa». Le notizie al mercato facevano credere che «il piano di risanamento continuasse ad essere sostenuto dalle banche». Invece, «al di fuori delle banche nessuno sapeva che il piano fosse già fallito, che le banche avessero deciso di non finanziare più la Sci e fossero scese sotto il 50 per cento, e che la Sci fosse di fatto in liquidazione». Le banche si difendono come avevano fatto davanti ai pm Francesco Greco ed Eugenio Fusco, che le avevano «prosciolte» nel 2002, e sostengono di aver fatto «scelte autonome e disgiunte, sulla base di notizie (la crisi della Sci) già diffuse o conoscibili da qualunque investitore secondo un criterio di normale diligenza o prevedibilità». Invece al giudice Francesca Fiecconi appaiono «sufficienti, univoci, precisi e concordanti» gli indizi di «una generale insensibilità» delle banche «alle regole di trasparenza e correttezza: i fatti dimostrano che c?è stata, da parte delle banche, non solo una condotta di insider trading, ma anche, a causa delle omissioni informative, un effetto di turbativa sull?andamento del titolo in Borsa». Certo, «non si può trascurare che gli investitori, nell?acquistare titoli di una società da anni in crisi, hanno dimostrato una spiccata propensione al rischio». Ma quello che conta per il giudice è che «le banche, nel vendere le loro azioni conoscendo la futura sorte della società, non hanno rischiato nulla e si sono ingiustamente avvantaggiate di una loro posizione di assoluto privilegio informativo, mentre i rischi degli investitori acquirenti» si sono rivelati «ben maggiori rispetto a quelli prospettabili secondo un comportamento di normale diligenza. Insomma, anche gli «speculatori propensi al rischio» meritano tutela: «Il mercato borsistico non può essere giudicato come un territorio di giocatori d?azzardo, perché una simile prospettiva genererebbe solo sfiducia verso un mercato su cui si fonda l?intera economia di un Paese industrializzato».

19/02/2004

Documento n.3783

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