Il PuntO. “Non scoperchiate quella pignatta “17”.Prodi e liberalizzazione nelle banche: perplessità e suggerimenti. Di M. Novelli

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Il PuntO. “Non scoperchiate quella pignatta “17”. Prodi e liberalizzazione nelle banche: perplessità e suggerimenti. Di Mauro Novelli 2-7-2006 L’iniziativa del governo nel settore creditizio è certamente da apprezzare: l’eliminazione della possibilità di annunciare in Gazzetta Ufficiale le vessazioni delle banche nei confronti dei clienti è cosa di pregio. Ma tale iniziativa non può considerarsi una liberalizzazione, una spinta verso la concorrenza nel settore bancario: essa, piuttosto va a sanare una aberrazione giuridica di cui lo stesso legislatore si fece complice tredici anni fa, distraendosi sul famigerato articolo 118 del testo Unico e con il beneplacito di CICR e di Bankitalia. Le banche dovranno comunicare al cliente ogni variazione di tassi, prezzi ed altre condizioni contrattuali (commissioni, spese). Il correntista dovrà essere avvisato 30 giorni prima ed avrà 60 giorni per decidere se accettare le variazioni o chiudere il conto. Riportiamo il testo dell’articolo 10 dello “Schema di decreto legge recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale”: Articolo 10 (Condizioni contrattuali dei conti correnti bancari) 1. L'articolo 118 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico bancario è sostituito dal seguente: " 1. Nei contratti di durata può essere convenuta la facoltà di modificare unilateralmente i tafsi, i prezzi e le altre condizioni di contratto qualora sussista un giustificato motivo. 2. Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente per iscritto, secondo modalità immediatamente comprensibili, con preavviso minimo di trenta giorni. 3. Entro sessanta giorni dal ricevimento dalla comunicazione scritta, il cliente ha diritto di recedere senza penalità e senza spese di chiusura e di ottenere, in sede di liquidazione del rapporto, l'applicazione delle condizioni precedentemente praticate. 4. Le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci, se pregiudizievoli per il consumatore. 5. Le variazioni dipendenti da modifiche del so di riferimento devono operare, contestualmente in pari misura, sia sui si debitori sia su quelli creditori." I dubbi sui primi quattro punti dell’art. 10 . Ci corre l’obbligo, però, di esprimere alcune perplessità: è vero che se il cliente non accetta le variazioni proposte dalle banche può chiudere il rapporto a “costo zero”, ma è anche vero che nessuno può impedire agli istituti di credito di inserire nei contratti la voce relativa alle spese di chiusura. Ci chiediamo: 1) Il cliente che decide di chiudere il conto d’iniziativa, cioè in assenza di cambiamenti chiesti dalla banca, pagherà le spese eventualmente previste dall’articolato per la chiusura del servizio? 2) Una buona metà di correntisti è sottoscrittore anche di altri servizi bancari, di custodia titoli ad esempio. Se la banca cambia le condizioni del conto corrente ma non quelle della custodia titoli, il cliente può chiudere il primo senza spese; ma che succede al secondo? Il costo di chiusura della custodia e di trasferimento titoli (uno dei servizi più costosi in assoluto) possono essere pretesi dalla banca, visto che si tratta di una iniziativa non susseguente a variazioni richieste dall’azienda di credito? 3) In teoria, l’art. 10 elimina la “licenza” bancaria in cui si è trasformato, nel tempo, lo jus variandi e sembra ridare libertà di scelta al cliente. Si consideri però che la politica di fidelizzazione del cliente (“un correntista, tanti servizi”) fa si che, oggi, pochi siano i rapporti di conto non integrati da servizi accessori (domiciliazioni di utenze, ordini permanenti per pagamenti ricorrenti, Rid, rateizzazioni, regolamento di carte di credito) o forniti a creditori quale destinazione di versamenti (stipendio, pensione, pagamenti di affitti). Ne deriva che chiudere un conto comporta una penosità - direttamente proporzionale agli accessori di cui è stato “arricchito” – sia in termini di procedure di disattivazione per le valenze che vanno abbandonate e poi ripristinate con l’eventuale nuovo conto; sia in termini di tempi necessari ai due processi, soprattutto al ripristino sul nuovo rapporto (si pensi alla nuova messa a regime dell’accredito della pensione) come destinatario delle valenze da ricostituire. Domanda: quante volte, prima di essere domato, un utente bancario chiuderà un conto perché non accetta l’ultima variazione imposta dall’ultima sua banca? Quattro volte? Otto volte? E poi? I suggerimenti. 1) Il testo definitivo del decreto richiami chiaramente l’ illegittimità di inserire nuove voci di costo, non presenti sul contratto a suo tempo sottoscritto. 2) Si imponga la definizione delle entità di prezzo (in euro) e di tasso (in percentuale) vietando le semplici indicazioni di aumenti monetari o in percentuale da calcolare su entità non più conosciute dall’utente e che non diano l’informazione precisa del costo del servizio. Sapere, ad esempio, che la commissione di massimo scoperto aumenta dello 0,250 per cento, ma non conoscere o non ricordare il livello a cui la variazione va applicata, dà luogo ad una informazione “inutile” ai fini della possibilità di comparazione tra più offerte. 3) Per promuovere una effettiva concorrenza nel settore bancario, si imponga alla Banca d’Italia di accentrare e rendere consultabili (anche via Internet) il testo dei contratti base e le condizioni base dei servizi offerti da tutte le banche operanti in Italia. In caso di variazioni, Bankitalia dovrebbe pretendere dalla banca, e rendere pubblica, una articolazione del “giustificato motivo”. 4) Si dica chiaramente che in caso di mancata accettazione della variazione da parte del cliente, costui ha la facoltà di chiudere, senza alcuna spesa o penalità, ogni rapporto con la banca (conto corrente, custodia titoli, cassette di sicurezza, ecc.). 5) Si imponga una valenza temporale (almeno di un anno) al contratto, alle condizioni sottoscritte dal cliente e/o alle variazioni dei nuovi livelli imposti dalla banca. Si introduca cioè la possibilità di rivedere le condizioni ad ogni scadenza annuale del contratto. I dubbi circa i dettami del punto 5 dell’art. 10 Il punto 5 impone alle banche di apportare variazioni equivalenti e contestuali ai due tipi di tasso (attivo per la banca sui conti affidati e passivo sui depositi) qualora intervengano modifiche del tasso di riferimento [è da ritenere che si intenda il tafso gestito dalla Banca Centrale Europea]. Non so a chi sia imputabile questa superficialità. Certo offre il fianco a coloro che cercheranno di minare il decreto nel suo complesso. Mi spiego. Al di là delle caratteristiche da rapina che in Italia ha assunto la leva dei tassi sui conti correnti, la gestione dei loro livelli è uno strumento di politica aziendale: la banca con eccesso di liquidità può incoraggiare la richiesta di fido diminuendo il tasso attivo e/o scoraggiare ulteriori depositi diminuendo quello passivo di remunerazione. Al contrario di ciò che farà una banca con carenza di liquidità. Possiamo anche obbligare le banche a variare in egual misura e contemporaneamente i due tassi in occasione di variazioni del costo del denaro imposto dalla BCE, ma nessuno potrà impedire loro di far precedere o seguire quelle variazioni da loro decisioni autonome di modifica dei livelli di tasso per il raggiungimento di obbiettivi aziendali, quindi indipendentemente ed al di là della politica della Banca Centrale Europea. I Suggerimenti. Se col punto 5 dell’art. 10 si intende impedire alle banche l’uso della leva sui tassi, la norma durerà poco: l’Europa ci obbligherà a toglierla di mezzo. Se non è quella l’intenzione, non si comprende perché si ponga in essere uno strumento di facciata, inutilizzabile. In entrambi i casi conviene cassarlo. Anche per togliere ai maligni l’argomento secondo il quale le leggi sulle banche le hanno sempre scritte e continuano a scriverle i banchieri, maestri nell’approfittare delle distrazioni del legislatore.

06/07/2006

Documento n.4826

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