Il PuntO n° 85. La domanda di qualità si va essiccando: è il segno della decadenza. Di M. Novelli

in Il Punto

Il PuntO n° 85.
La domanda di qualità si va essiccando: è il segno della decadenza.
Di Mauro Novelli – 11.11.2006

Intendiamoci: al mercato, dal macellaio, dal calzolaio ancora puntiamo al miglior rapporto qualità/prezzo. Ma questa accortezza si esaurisce con il consumo diretto, quello che paghiamo con i nostri soldi, tutti i giorni. Oltre non andiamo. Ci sono settori e servizi che ormai non dobbiamo più qualificare. Anzi, ne siamo tenuti bellamente a distanza. Sono proprio quei settori che, ereditati e gestiti da pochi, marchiano il futuro di tutti. Un esempio? La scuola. Quanti genitori ritengono di dover pretendere che la scuola frequentata dai figli sia valida, puntuale, efficace, magari anche rigida? Quanti considerano utili per il futuro dei loro figli i quindici, venti anni passati sui libri? Nel ’68 si studiava due volte: una per superare l’esame come richiesto dalla prassi meritocratica vigente da generazioni, l’altra per avere gli strumenti culturali per “far fuoco sul quartier generale”, come indicava Mao. Capita velocemente l’antifona, l’allora classe dirigente si accorse che i rampolli che uscivano dall’università non rappresentavano più (come era stato per secoli) i rincalzi per mantenere in piedi il sistema, ma puntavano apertamente a rivoluzionarlo. In breve tempo, la scuola pubblica fu disarticolata. Dal ’73, ’74 non si studiò più: tutti promossi. Nel frattempo, la classe dirigente trovò altri criteri di formazione dei successori predestinati: scuola privata, corsi di perfezionamento, magari all’estero, qualificazioni aziendali ecc. O altri canali: cursus honorum nei partiti politici o come clientes, ad esempio. Per la prima volta le famiglie “normali” furono costrette a decidere che il tempo scolastico dei figli era tempo perso, da far passare in fretta (se mi bocciano il ragazzo, ricorro al Tar!) perché altra era la promozione personale da coltivare per permettere l’ingresso nel mondo del lavoro: la raccomandazione del potente di turno, tra le altre. Perciò, a che serve studiare? Certo, pronti a manifestare per la scuola pubblica, ma maestri e professori non devono rompere con inutilità come formazione, meritocrazia, educazione, impegno, regole: promuovano e basta. A distanza di trent’anni, scopriamo che il medico di turno ti ammazza per imperizia, che l’ingegnere costruisce ponti infrequentabili, che il meccanico spera che la tua macchina si rompa di nuovo (e magari ci mette un aiutino di suo). Massima aspirazione? Calciatore, “artista”, velina, “modella”, al massimo “politico”. Progetti per il futuro? Né personali, né suggeriti dalla famiglia, solo speranza in un colpo di fortuna. Alla classe al potere non mancano rampolli in grado di rimpiazzare adeguatamente il genitore, il padrino o il padrone e di ereditarne gli strumenti di dominio. Sono quelli che non mettono in discussione il sistema (né avrebbero gli strumenti per farlo). Fateci caso: in ogni settore abbiamo figli d’arte, non ostanti i livelli infimi di qualità. Nessuno ha da ridire. Al massimo ci scappa un invidiosetto “però, che culo!” Altro esempio di un settore esclusivo, ormai intoccabile? La politica. Neanche ad essa si chiede più una produzione di qualità: prendere l’offerta o astenersi. Anche perché la media degli addetti è tale da non poter garantire alcunché di qualitativo. Di fatto, l’Italia è il paese europeo dove prospera il più alto numero di persone che campa di politica. Una volta il “partito” si costituiva per moto spontaneo (almeno iniziale) di una “parte” della società mirante a promuovere principi, valori, soluzioni di “parte”. Ci si tassava per mantenerne operatività e nome. Alcuni hanno pagato con la vita pur di mantenere vivo quello strumento. Oggi non più. Le nuove formazioni sono dei sarchiaponi promossi dai gruppi dirigenti, fecondati artificialmente e partoriti obbligatoriamente con taglio cesareo. Insomma, degli ogm. E’ la realizzazione della corporazione perfetta, autosufficiente, con la volontà di colloquiare solo con formazioni omologhe. E’ la storia della Rosa nel pugno o del Partito democratico. Le fatiche sono concentrate a risolvere il problema della sorte di due staff che dovrebbero ridursi ad uno (ma solo nominalmente). Dice: “Ma che cosa propugnano; chi mobiliteranno; chi li voterà?” Il problema è irrilevante: poiché il settore è privo di concorrenza a sinistra come a destra, i cittadini dovranno accontentarsi di quello che passa il convento. Se i gonzi non ci stanno, se ne possono rimanere a casa. Ed anche qui, figli, fratelli, mogli, clienti, faccendieri d’arte. Con i finanziamenti pubblici campano tutti comunque bene, come i loro clientes perennemente bisognosi. Qualcuno solleva problemi di qualità nel settore politico? Solo se si vanno a toccare sottorendite di posizione (tassinari, avvocati ecc.). Due le vicende a dimostrazione di quanto affermato. Da tempo si discute sul ruolo della provincia – ormai considerato, dagli intellettualmente onesti, inutile e troppo costoso – nell’ambito delle amministrazioni locali. La Sardegna ha 1.650.000 abitanti. Aveva tre province Cagliari, Sassari e Nuoro, mezzo milione di abitanti ciascuna, in media. Le tre province sarde sono state considerate nettamente insufficienti e miserelle per le esigenze dei cittadini. Si è deciso di ampliare i servizi della pubblica amministrazione. Hanno così visto la luce altre cinque province: Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra, Olbia-Tempio, Oristano. Otto province, con bilanci al seguito ed una media di “utenti” di 206mila abitanti ciascuna. Qualche politico si è opposto? L’opposizione ha armato una giusta canizza? Non scherziamo! Si è creata l’opportunità di sistemare molti clientes rompiballe, molti amici che hanno dato il sangue (il sangue) per il partito. Non è il caso di deluderli. Altra inclinazione della politica nostrana: basta pagare i potentati e si sta in sella per un’altra generazione. Si veda la vicenda dl TFR. Si arricchiscono banche e assicurazioni con clienti che possono solo versare soldi da investire e non possono prelevarli per decenni. E’ il cliente ideale. Qualche politico chiede garanzie di risultato? Chiarezza sui costi? Al massimo si schiera contro, sapendo di essere in netta minoranza. Tutti tranquilli, comunque: se la società di gestione sbaglia investimenti (in buona fede, certo!) gli interessati se ne accorgeremo tra quarant’anni. A chi daranno la colpa dell’eventuale disastro? I potenti si dicono crucciati e angosciati per l’assenza di progettualità dei cittadini che si affannano a governare, per la loro ristrettezza di orizzonti, per la mancanza di aspirazioni e di speranza. False ambasce. Agli addetti ai lavori sta bene così: un po’ di posti più o meno buoni, e sempre costosi, agli scherani, sempre molto esigenti. Il resto, senza speranza, si arrangi. Si potrebbe continuare con la qualità non più richiesta alla stampa, alla televisione pubblica; e ancora ai grands commis di Stato, alla magistratura. Occorre ricominciare a pretendere un po’ di qualità, non solo dall’erbivendolo, ma dalla società, cioè da noi stessi e dagli altri. Altrimenti ignoranti e pescecani avranno anche la giustificazione che le cose stanno bene a tutti, che nessuno ha mai sollevato obiezioni. Volete una sintesi del discorso? “Radio 24” – la cui qualità è tale da riconciliare con i media – trasmette, negli spazi pubblicitari, uno spot che promuove apparecchiature in grado di far risparmiare energia. Dovrebbe far sorridere. Rafforza solo i convincimenti dei pescecani furbi e necessariamente poco intelligenti, che si augurano di non dover mai sostenere esami seri o confronti con altri. Pena il loro crollo. Dello spot, riporto (a memoria) il colloquio tra due dirigenti d’azienda: “Al prossimo consiglio d’amministrazione dobbiamo proporre qualcosa di valido per risparmiare..” – fa il direttore. “Se adottassimo le nuove apparecchiature di …….. potremmo risparmiare il 30 per cento del consumo d’energia del centro … Sai, l’idea è di un certo Meretti…. Ma possiamo assumerci noi il merito..” - gli risponde l’altro. “ Bene, mi piace” - conclude il direttore. Stiamo proprio messi male.

11/11/2006

Documento n.6119

Sostieni i consumatori, sostieni ADUSBEF!

Puoi sostenere ADUSBEF anche attraverso il 5 x 1000: in fase di dichiarazione, indica il codice fiscale 03638881007

Informativa sull'uso dei Cookies

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.OK