PENSIONI: GOVERNO RIMBORSERA' SOLO 4 MLD SU 19 AD ALCUNE FASCE DI PENSIONATI. ADUSBEF E FEDERCONSUMATORI HANNO PUBBLICATO SUI LORO SITI LE ISTRUZIONI

in Comunicati stampa

COMUNICATO STAMPA

 

PENSIONI: GOVERNO RIMBORSERA’ SOLO 4 MLD SU 19 AD ALCUNE FASCE DI PENSIONATI, CON DECRETO A ‘BABBO MORTO’ DOPO LE ELEZIONI DEL 31 MAGGIO 2015, PER VINCERE REGIONALI ?

ADUSBEF E FEDERCONSUMATORI HANNO PUBBLICATO SUI LORO SITI LE ISTRUZIONI PER L’USO.

 

 

   Da alcune informazioni pubblicate sui quotidiani e non smentite, il Governo tramite un decreto da emanare dopo le elezioni regionali del 31 maggio 2015, dovrebbe restituire soltanto 4 miliardi di euro sui 19 calcolati per effetto della sentenza n. 70/2015 della Corte Costituzionale,  secondo la seguente graduazione: sotto i 1.500 euro lordi, indicizzazione piena (come adesso);   dai 1.500 ai 2.000 euro (sempre lordi) circa il 50% dell’indicizzazione;  dai 2.000 ai 2.500 poco più del 35%, dai 2.500 ai 3.000 intorno al 25%. Dal tetto dei 3.000 euro invece, l'indicizzazione non sarà rimborsata  per il passato, tantomeno per il futuro.

   Per evitare che la campagna elettorale per le elezioni regionali del 31 maggio, possa essere condizionata ed influenzata dalla disapplicazione di una sentenza erga omnes della Consulta immediatamente applicabile e rassicurare la commissione europea, che avrebbe  già concesso all'Italia una flessibilità per il 2015 di 5 miliardi di euro rispetto agli obiettivi di bilancio, in modo da poter spalmare i 4 miliardi sul deficit 2015, dei quali 1,5 miliardi come una tantum per il passato che porterebbe il deficit strutturale dallo 0,5 allo 0,6%; mentre 2,5 miliardi  per i pagamenti futuri tali da contenere il deficit sotto il 3% del Pil, precisamente al 2,8 % (+0,2 rispetto a quanto stimato).

   Adusbef e Federconsumatori, ribadendo ancora una volta che i pensionati che ad es. ricevono un rateo lordo di 2.000 euro, hanno una decurtazione fiscale di circa 700 euro, e non possono essere definiti pensionati d’oro coloro che hanno un netto mensile di circa 1.300 euro,  attiveranno le iniziative giuridiche e legali, per la tutela dei diritti sanciti dalla Corte Costituzionale.

 

                                                                Elio Lannutti (Adusbef) – Rosario Trefiletti (Federconsumatori)

Roma, 8.5.2015

 

Studio su sentenza n. 70/2015 della Corte Costituzionale

 

a cura dell’Avv. Alessandro Martines (Studio Legale Antonio Tanza)

I numeri

Con la sentenza n. 70/2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’ incostituzionalità dell'art. 24 del decreto legge 201/2011 in materia di perequazione delle pensioni, ossia la cosiddetta “norma Fornero” contenuta nel ''Salva Italia'' varato dal governo Monti.

Tale misura ha comportato il mancato adeguamento all’inflazione dei trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo Inps, per il biennio 2012-2013.

Secondo alcune stime , i recuperi potranno andare dai 4.700 euro circa per pensionati con assegni che valgono fino a quattro volte il minimo, a più di 10mila euro per pensionati con assegni che valgono dieci volte il trattamento minimo.

Il tetto di riferimento – in base ai dati contenuti nel casellario centrale dei pensionati, aggiornati a fine 2012 – è di 23.431.319 milioni di pensioni in pagamento quell’anno, delle quali 19.385.820 non superavano l’importo di 1.443 euro  (1.217,00 netti), cioè tre volte il minimo, non risultando dunque penalizzate dal blocco introdotto dal decreto legge 201/2011.

Quelle di importo superiore, che dovranno ora ricevere l’adeguamento a posteriori, sono dunque poco più di 4 milioni.

•          Il diritto al reintegro, per la maggior parte degli assegni (2.959.354) si concentra nella fascia da 3 a 5 volte il minimo. Aveva cioè nel 2012 importi compresi tra 1.443,01 e 2.405,00 euro.

•          Altri 475.028 assegni avevano importi oscillanti tra 5 e 6 volte il minimo, quindi tra 2.405,01 e 2.886,00 euro.

•          Nella fascia superiore si contavano 213.989 assegni di valore fino a 3.367,00 euro e 116.656 arrivavano a 3.848,00 euro (otto volte il minimo).

•          Erano 43.813 gli assegni compresi tra 4.810,01 e 5.291,00 euro (da dieci a undici volte il minimo), mentre erano 6.833 quelle oltre i 10mila euro (ma tra queste 231 superavano quota 24.050,00 euro).

A titolo esemplificativo, ed in attesa dei conteggi ufficiali dell’Inps, chi prendeva 4.609 euro al mese nel 2010 ora ne prende 4.692, ma a seguito della sentenza della corte costituzionale dovrebbe avere un assegno mensile di 4.923 euro.

La sentenza

Il Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, con ordinanza del 6 novembre 2013, e la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, con due ordinanze del 13 maggio 2014 , hanno sollevato questione di legittimità costituzionale del comma 25 dell’art. 24, del decreto-legge del 6 dicembre 2011, n. 201

Tutti i giudici rimettenti hanno ritenuto che il comma 25 dell’art. 24 dovesse essere dichiarato  costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., in quanto la mancata rivalutazione, violando i principi di proporzionalità e adeguatezza della prestazione previdenziale, si poneva in contrasto con il principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno della categoria dei pensionati.

Secondo i giudici a quo  inoltre, la norma censurata avrebbe determinato anche un vulnus agli artt. 2, 23 e 53 Cost., partendo dal presupposto (non condiviso dalla Corte) in virtù del quale la fattispecie in questione contemplerebbe una prestazione patrimoniale di natura sostanzialmente tributaria, ponendosi conseguentemente in violazione del principio dell’universalità dell’imposizione, a parità di capacità contributiva (in quanto posta a carico di una sola categoria di contribuenti).

La sola Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia - Romagna ha censurato invece la predetta disposizione (sulla base dell’art. 117, primo comma, Cost.), in relazione alla CEDU, richiamando, poi, gli artt. 6, 21, 25, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Secondo la Consulta, dall’analisi dell’evoluzione normativa in materia, si evince che la perequazione automatica dei trattamenti pensionistici sia uno strumento di natura tecnica, volto a garantire nel tempo il rispetto del criterio di adeguatezza di cui all’art. 38, secondo comma, Cost.

Tale strumento si presta contestualmente a innervare il principio di sufficienza della retribuzione di cui all’art. 36 Cost.; principio applicato ai trattamenti di quiescenza, intesi quale retribuzione differita (fra le altre, sentenza n. 208 del 2014 e sentenza n. 116 del 2013).

Per le sue caratteristiche di neutralità e obiettività e per la sua strumentalità rispetto all’attuazione dei suddetti principi costituzionali, la tecnica della perequazione si impone, dunque, sulle scelte discrezionali del legislatore, cui spetta intervenire per determinare in concreto il quantum di tutela di volta in volta necessario.

Un tale intervento (che il legislatore ha completamente omesso nel caso della norma impugnata) deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui agli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma Cost., principi strettamente interconnessi, proprio in ragione delle finalità che perseguono.

Per queste ragioni, ha concluso rilevando una violazione dei diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l’adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.). Quest’ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost.

Giuristi e fonti vicine alle Consulta, e a dire il vero lo stesso Presidente Criscuolo, hanno precisato che la sentenza n. 70/2015 , in attesa di eventuali provvedimenti da parte del governo (comunque attesi nelle prossime settimane), ha efficacia erga omnes, dalla data della pubblicazione in gazzetta ufficiale,  ed è immediatamente applicativa.

Per chiederne l’applicazione, tecnicamente, non serve un ricorso, anche se questa potrebbe essere una via necessaria per ottenere il rimborso, in caso di silenzio o diniego da parte dell’INPS.

Come procedere

1.         Pubblicare un box informativo su sito Adusbef e Federconsumatori;

2.         Fase stragiudiziale (Consulenza scritta  e istanza di rimborso all’INPS);

3.         Eventuale fase giudiziale (Ricorso).

 

 

05/08/2015

Documento n.10075

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