VATICANO: UNA TALPA ASSASSINA A SAN PIETRO

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SCOPPIA uno dei segreti meglio custoditi al mondo: una talpa ASSASSINA A SAN PIETRO - l’inchiesta che Wanda, la migliore amica di WOJTYLA, condusse SULl’attentato al Papa - IL dossier non è mai stato consegnato ai magistrati né Segreteria di Stato: PERCHé? TRATTO DA WWW.DAGOSPIA.IT Francesco Grignetti per "La Stampa" 1 - WANDA, 007 PER WOJTYLA... È stato uno dei segreti meglio custoditi al mondo, l'inchiesta parallela che Wanda Poltawska, la migliore amica di Giovanni Paolo II, condusse subito dopo l'attentato al Papa. Subito dopo il ritorno del Sommo Pontefice dall'ospedale, lei sola, la dottoressa polacca, e naturalmente don Stanislao, avevano accesso all'appartamento papale. E non soltanto per assistere l'illustre infermo, ma per indagare sull'accaduto sotto la sua stessa guida. E' qui che entrarono in gioco le misteriose fotografie che qualcuno scattò in quei giorni al Pontefice convalescente, foto «rubate» da una postazione sulla sommità della Cupola di San Pietro, e che per vie traverse arrivarono nell'appartamento papale. Wanda prese in mano le redini dell'indagine. Uno su cui s'appoggiò fu Arturo Mari, il fotografo dell'Osservatore romano. Mari preparò per la Poltawska una sorta di dossier, compresa un'analisi molto particolareggiata degli scatti «rubati» all'intimità del Pontefice. Un altro fu monsignor Francesco Salerno, consulente legale della Prefettura per gli Affari Economici, che era stato il «postino» che recapitò le foto a Wanda, «sapendola molto vicina al Sommo Pontefice». Le aveva ricevute da don Ennio Innocenti, un sacerdote, che a sua volta le aveva avute fortunosamente da un ignoto generale italiano. Quando fu interrogato dal giudice Rosario Priore, monsignor Salerno raccontò così: «La dottoressa Poltawska mi chiese se poteva esaminare assieme a Mari i reperti fotografici. Nel visionarle, Mari rilevò che le foto erano state scattate dalla cupola di San Pietro e che la distanza tra il punto di osservazione e il soggetto fotografico era molto ravvicinata, e comunque tale da sconsigliare una permanenza del Pontefice in un luogo così accessibile». Mari è un eccezionale professionista che dal 1956 segue i Pontificati. A Salerno e poi a Wanda Poltawska spiegò che il misterioso paparazzo doveva aver usato un teleobiettivo da 1000 millimetri, probabilmente raddoppiato, e un treppiedi. Con tutto questo armamentario, si era appostato chissà per quanto tempo sulla Lanterna che si trova sulla sommità della Cupola. Chiaramente in orari in cui non c'era il pubblico. E con il mirino fisso su un preciso terrazzino, il solo su cui si poteva affacciare il Pontefice. Ovvia la conclusione: c'era una talpa dentro il Vaticano. Quali fossero gli scopi, impossibile dirlo. Solo voglia di scoop? Il tentativo di replicare il più famoso colpo fotografico del secolo, ovvero le foto di Pio XII morente, fatta di nascosto dall'archiatra Galeazzi Lisi nel 1957? O c'era di peggio? Un tentativo di intimidazione? O ancora un'operazione per intaccare l'immagine di Karol Wojtyla? Tante brutte domande frullarono per la testa di Wanda Poltawska e del ristretto staff papale. «E' passato così tanto tempo», si schermisce oggi il fotografo Mari. «E poi da parte mia fu un intervento irrisorio». Dice di non ricordare più molto di questa storia. Non rammenta i suoi contatti con Wanda Poltawska. Ugualmente smentisce di aver parlato con monsignor Salerno. «Sa, la memoria fa brutti scherzi». Spiega però che la Lanterna sulla Cupola è da sempre un'ottima postazione per i fotografi. «Quando ci sono le udienze papali, la Lanterna viene chiusa al pubblico. Il 13 maggio 1981, quando ci fu l'attentato al Papa, sulla Lanterna c'era uno dei miei che fece una serie di foto. Riprese la jeep che si allontanava dalla Piazza con a bordo il Papa ferito. Foto che consegnammo alle autorità». Wojtyla e la famiglia Poltawska nel dopoguerra Eppure Mari aiutò molto Wanda Poltawska nella sua inchiesta. Anche lui, come monsignor Salerno, e come il sacerdote Ennio Innocenti, sapeva bene di trattare con una persona di piena fiducia del Pontefice. Raccontò il monsignore: «Mari dopo il nostro incontro ha trattenuto queste fotografie e le ha unite a un dossier contenente altre fotografie riguardanti l'attentato al Papa, e la sua degenza all'Ospedale e udienze o cerimonie precedenti l'attentato. Tutto questo dossier è stato poi consegnato da Mari alla Poltawska». Tutto ciò avveniva a caldo, nel giugno 1981. Oggi Mari continua a schermirsi. «Non ricordo granché. I giornalisti ne hanno avanzate di fantasie su questo attentato... Mi pare di rammentare solo qualche discorso sulla possibilità che un cecchino si sistemasse sulla Cupola... Oppure un fotografo... Mi sembra che un settimanale straniero, forse era "Stern", o forse era "Paris Match", non sono sicuro quale fosse la testata, uscì con una copertina dove c'era la figura del Papa nel centro di un mirino e la scritta: "Avremmo potuto sparargli"». Di quelle foto misteriose non s'è mai saputo più nulla. Il dossier che Mari consegnò alla Poltawska non è mai stato reso pubblico. Tantomeno ne è stata data copia alla magistratura italiana. C'è persino da chiedersi se l'abbia avuto la Segreteria di Stato oppure se è conservato nella famosa valigia che Wanda Poltawska ha portato con sé in Polonia e che imbarazza oggi il Vaticano, al punto da aver rallentato il processo di beatificazione di Giovanni Paolo II. Wojtyla prima della nomina ad Arcivescovo di Cracovia 1967 2 - DON ENNIO INNOCENTI: "ERO IN POSSESSO DI ALTRI SCATTI SEGRETI"... «Il nome di chi fu a darmi quelle foto, un generale dell'esercito italiano, non lo dissi al giudice Priore. Dovrei dirlo adesso a un giornalista? E' una persona anziana. Lasciamolo in pace». Don Ennio Innocenti è il sacerdote che scovò le famose fotografie che violavano la privacy di Karol Wojtyla e che testimoniavano di una clamorosa falla nella protezione di un Papa appena colpito da Alì Agca. Le fece avere a Wanda Poltawska perché sapeva che era l'unico modo sicuro per sottoporle a Giovanni Paolo II. Don Innocenti, come mai questo generale senza nome sapeva di Wanda Poltawska e della sua possibilità di contattarla? «Perché gli avevo fatto conoscere in un'altra occasione monsignor Francesco Salerno e quindi sapeva che tramite noi, sua eccellenza e me, aveva la possibilità di un contatto diretto con l'appartamento papale». Karol Wojtyla Come andò esattamente che lei entrò in possesso di quegli scatti «rubati»? «Esattamente come ho raccontato al giudice Priore quando mi ha interrogato. Questo generale dell'esercito che aveva fiducia in me in quanto io ero il suo confessore, ed era mio amico, si trovava a Fiumicino. Era in coda per salire su un aereo che l'avrebbe portato a Parigi. All'epoca era nel consiglio della Nato e stava andando lì per una riunione. Lo avvicinò un giovane fotografo che gli chiese il favore di portare un plico a Parigi. "Vede - gli disse - sono scatti presi a Vermicino. Dall'altra parte la contatterà uno di "Paris Match". Non c'è possibilità di errore. La riconoscerà in quanto lei ha la divisa". Il generale accettò. Però poi a bordo volle controllare meglio. E scoprì che oltre a quelle di Vermicino, nella busta c'era anche una serie di scatti sul Papa. Lo si vedeva che camminava a fatica su un terrazzino assieme a due medici. Capì subito che erano di grande importanza e quindi se le mise in tasca. Non arrivarono mai a Parigi. Quando poi tornò a Roma, mi chiamò e mi chiese di farle avere direttamente al Pontefice attraverso Wanda Poltawska». Perché? «Anche un fesso avrebbe capito che se al posto del fotografo ci fosse stato un cecchino...». Un cecchino avrebbe terminato l'opera che Alì Agca non era riuscito a portare a termine. E dopo? «Nulla. Il mio ruolo finì lì. Io diedi le foto a monsignor Salerno e so che lui le portò alla Poltawska. Mai incontrata direttamente. Non ne ho saputo più nulla». Perché non volle fare il nome del generale al giudice Priore? «Perché il colloquio con il giudice andò subito male. E pensare che io avevo in tasca un'altra fotografia che avrebbe potuto interessarlo. Era una foto del Papa in piscina. E di queste sapevo da dove venivano».

15/06/2009

Documento n.7981

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