TAVAROLI: TELECOM PAGAVA ALCUNI POLITICI

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LE TANGENTI PAGATE IN BRASILE, GLI INCONTRI SEGRETI, I LEGAMI CON PIRELLI UN DIRIGENTE DI SPICCO HA AMMESSO CHE TELECOM HA PAGATO ALCUNI POLITICI E FA I NOMI DI ALTRE AZIENDE “SPIONE”: MOTOROLA, CREDIT SUISSE, BANCA SELLA, IBM Giacomo Amadori per Panorama Tavaroli finisce nel fango, si rialza e si getta nuovamente nella mischia. Non è la metafora del ritorno sulla scena di Giuliano, l’ex capo della security Telecom, in carcere per più di 8 mesi con l’accusa di essere il Grande fratello delle intercettazioni e dei dossier riservati. Il Tavaroli in questione è il figlio quindicenne, promettente giocatore di rugby. Domenica 28 ottobre papà Giuliano lo segue dagli spalti di un melmoso campo di periferia milanese. Urla consigli, tifa, s’arrabbia. Il figlio guarda verso la tribuna e poi si lancia a caccia della palla ovale. Giuliano Tavaroli, dall’11 ottobre, è un uomo libero e felice (per quattro mesi è rimasto agli arresti domiciliari) ed è tornato a fare il capotribù a tempo pieno: altri due figli giocano a basket, la primogenita a pallavolo, la più piccola, 5 anni, fa danza. Nessun calciatore: «Sono un ex giocatore e ho capito che il pallone non era cosa loro». In tutto cinque ragazzi ed è lui a portarli a partite e allenamenti. Pur in versione «mammo», è sempre lo stesso: sopracciglio perennemente inarcato sull’iride trasparente. Si capisce che il giudizio di sé non è cambiato: «Nel mio lavoro resto il migliore» sorride. Scherza, ma non troppo. Con il Blackberry risponde a email e telefonate. Parla della Liguria, dove è nato 48 anni fa, e del suo Torino. Giacca e pantaloni di velluto beige, scarpe Clarks, sciarpetta vezzosa, accetta di raccontare come sta: «Ora bene. Anche se non è stato facile». Ma lui ha retto. Molti uomini del suo vecchio staff no: dal carcere sono passati direttamente all’ospedale psichiatrico. Tavaroli in prigione è stato tenuto in isolamento (due ore d’aria al giorno, una corsetta in un perimetro di 30 metri), ha letto moltissimo (compreso tutto Montalbano) e ha fatto conoscenza con varia umanità (anche con Olindo Romano, l’uomo della strage di Erba). Ma soprattutto ha affrontato decine di interrogatori. In cui ha detto cose che il gip milanese Giuseppe Gennari ha definito «parziali ammissioni». TANGENTI MILIONARIE Quali sono questi squarci di verità? Uno è particolarmente significativo. Ai magistrati Tavaroli ha detto: l’azienda, in Brasile, ha pagato tangenti. E ha citato una «dazione» del 2003 ad alcuni politici della commissione Scienza e tecnologia per ottenere l’assegnazione di frequenze telefoniche. Una vicenda per cui lui assicura di non essere responsabile. Con Panorama l’ex dirigente si trasforma in una specie di sibilla: «Anche se sono in discussione i metodi utilizzati da alcuni miei fornitori, il paradosso della vicenda è che io mi sono sempre sentito il presidio della legalità per l’azienda per cui lavoravo». La frase sembra una provocazione. Ma come, Tavaroli lo «spione» accusato per mesi di ogni malefatta, argine contro la corruzione? Ma l’ex boy scout di Albenga non parla a caso. Infatti, ha spiegato ai pm di aver sconsigliato a un suo dipendente di eseguire un ordine: quello di portare a Brasilia una valigia piena di denaro. Quindi ha dichiarato a verbale che l’ex presidente Marco Tronchetti Provera, il «capo» come lo chiama lui, era all’oscuro della vicenda. Ma allora chi ha ordinato il pagamento? L’ex carabiniere non lo spiega, perché ha sospetti, ma non prove. Resta il fatto: un dirigente di spicco ha ammesso che l’azienda milanese in passato ha pagato alcuni politici. Un episodio che può avere eco in Brasile ora che la Telefónica sta entrando nella holding che controlla la Telecom Italia (entrambe le compagnie hanno importanti business nel paese sudamericano), anche se ovviamente riguarda la precedente gestione della multinazionale. Panorama è in grado di ricostruire nei particolari quella vicenda, grazie alla voce dei protagonisti, contattati in Sud America. Uno di loro, Marco Bonera, ex responsabile della sicurezza in Brasile, ha conservato nel computer il dettaglio del pagamento. La prima tranche porta la data dell’8 aprile 2003. Il giorno del primo versamento Telecom ha problemi di liquidità e chiede aiuto a Pirelli. I cugini «gommisti» domandano alla banca centrale brasiliana un cambio di valuta di 300 mila dollari. I biglietti verdi vengono consegnati in contanti da un emissario dell’azienda a Marco Bonera che deve occuparsi del trasporto del «materiale critico». «Vista la delicatezza del carico mi rifiutai di prendere un volo di linea». Quindi noleggia un elicottero e vola a Brasilia con il tesoro nascosto in una scatola. Bonera nella capitale ha appuntamento davanti all’hotel Blue tree park con il responsabile delle relazioni istituzionali della Telecom. Quest’ultimo chiede a Bonera di accompagnarlo in una stanza dell’albergo dove ha appuntamento con due persone. Dopo i convenevoli, l’ambasciatore della multinazionale milanese estrae una lista con i nomi dei politici destinatari del «regalo». Iniziano i conteggi. Bonera spiega: «Solo in quel momento ho capito quello che stava accadendo e ho chiamato Giorgio Della Seta, il presidente della Telecom Italia in Sud America che firmava i mandati di pagamento, per dirgli che stava commettendo un errore». Della Seta, raggiunto da Panorama, ribatte: «Quel pagamento era perfettamente legale. Nessuna tangente». Fatto sta che il 30 aprile viene siglato, proprio da Della Seta, un contratto di consulenza di 4,12 milioni di reais (all’epoca circa 1,3 milioni di dollari) per Naji Nahas, imprenditore di origine libanese, una sorta di rappresentante di Marco Tronchetti Provera nel paese sudamericano. «Serviva a giustificare il primo pagamento e quelli successivi» assicura Bonera, che a fine estate è stato ascoltato in Italia dai carabinieri. L’8 maggio a San Paolo un altro funzionario Telecom, Marco Girardi (sentito pure lui in procura), ritira nella filiale della banca Bradesco 1 milione di dollari, di cui 300 mila da restituire alla Pirelli. Nella ricostruzione del settimanale brasiliano Veja, quella volta i pagamenti avvengono nella saletta Tokyo dell’hotel Renaissance di San Paolo. Il 22 maggio vengono ritirati altri 406 mila reais per l’ultima rata. Bonera ricorda quei giorni: «Dopo il primo viaggio, io mi limitavo a garantire un semplice servizio logistico: auto blindate e gorilla». Ma ormai a San Paolo quello è il segreto di Pulcinella. Per i dipendenti Telecom che operano in Sud America quello è stato l’unico pagamento non gestito direttamente dall’Italia. E comunque si trattava di «peanuts», noccioline. Chi ha lavorato in Brasile sa che quella presunta tangente potrebbe nasconderne altre. Magari dietro le consulenze «italiane» pagate a Nahas, come sospettano i magistrati. Sotto la lente d’ingrandimento c’è sicuramente un contratto di consulenza da circa 25 milioni di euro deciso a Milano e portato in consiglio dall’amministratore delegato Carlo Buora. Un contratto rinnovato più volte e su cui da tempo sta indagando anche l’ufficio audit and compliance services dell’azienda. A che cosa servissero quei soldi non è mai stato chiarito, ma ora le parole di Tavaroli ai pm aprono uno spiraglio. Soprattutto visto che, allo stato attuale, per quelle consulenze non risultano giustificativi ritenuti dagli inquirenti credibili, né report firmati da Nahas. Sotto la lente d’ingrandimento della procura è finito anche il cosiddetto centro di costo della presidenza vip, che gestiva più liberamente i pagamenti. NON SOLO TELECOM In questi giorni Tavaroli, con i suoi legali, Massimo Dinoia e Nicolò Pelanda, si sta preparando al processo. La strategia è chiara: niente patteggiamenti. Lui in tribunale vuole andarci per dimostrare che il peccato originale della security aziendale in Italia non è lui. «Io certamente ho pagato e pagherò eventuali errori. Ma le assicuro che il mio ufficio non è stato l’unico a utilizzare certi metodi». Il riferimento è a quello che lui chiama il «sistema Cipriani» (Emanuele Cipriani è l’investigatore privato che preparava la maggior parte dei dossier negli archivi di Telecom e Pirelli). «In Italia decine di aziende si sono rivolte alla sua agenzia, la Polis d’Istinto di Firenze. Ma l’inchiesta, almeno inizialmente, ha preso una sola direzione». Adesso il tempo delle asprezze con i magistrati è finito. Tavaroli è di nuovo insieme ai suoi figli e il tono si ammorbidisce: «Anche se ritengo di essere stato trattato duramente, sono convinto che la procura accerterà responsabilità e fatti. Ho la sensazione che i pm abbiano finalmente una visione più chiara di una vicenda che coinvolge non solo me, ma anche tanti altri. Ho davvero fiducia nel loro lavoro. Lo scriva». Nel frattempo alla procura di Milano stanno valutando la possibilità di incriminare alcuni manager Telecom per i reati contestati alla vecchia dirigenza della security, in particolare la corruzione. La legge che prevede la responsabilità amministrativa delle società è la 231 del 2001. L’opera di corruzione sarebbe avvenuta attraverso l’agenzia di Cipriani. Sicuramente per il detective fiorentino la mole di commesse che arrivava da Telecom e da Pirelli era la fetta di lavoro più consistente. Ma a scartabellare tra le fatture dell’archivio digitale sequestrato a Cipriani si scopre che anche altre società si avvalevano dei suoi servigi. Aziende sulle quali i legali di Tavaroli hanno chiesto alla procura un supplemento di indagine. Anche perché moltissimi clienti sono identificati solo dalle iniziali e alla maggior parte Cipriani offriva informazioni delicate. Ma quali sono le aziende sospettate di essere «spione»? Nel cd depositato dal gip Gennari l’elenco è cospicuo e non mancano le sorprese: si va dall’Ibm alla Calvin Klein, dall’Eni alla Olivetti, dall’Inter alla Banca Sella, dalla Vigilanza Città di Milano alla Manoli Rubber spa. In cima alla lista delle aziende con più fatture nell’archivio di Cipriani, dopo Telecom e Pirelli, ci sono Credit Suisse e Motorola: gli svizzeri ne totalizzano una ventina da svariate migliaia di euro e gli statunitensi quasi una decina. Per i loro clienti l’agenzia fiorentina non tralascia alcuna informazione. In alcuni casi le relazioni sembrano pagine di un rotocalco rosa. Per esempio, in un’inchiesta per la Motorola, i Cipriani boys si mettono sulle tracce di Massimo Pica, patron della Eldo spa. Nel report i detective segnalano che l’uomo si sta separando dalla moglie e sottolineano «una rottura dal punto di vista finanziario con la signora Zingone, moglie dell’onorevole Dini, ex ministro». Insomma si può finire sotto il microscopio anche indirettamente. Gli uomini della Polis d’Istinto, tra i servizi, offrono pure approfonditi accertamenti bancari. Come conferma il materiale sequestrato dai carabinieri: nell’elenco dei conti correnti spiati spunta pure quello di Fulvio Conti, amministratore delegato dell’Enel. DA KROLL AI POLITICI Con i pm Tavaroli ha approfondito molte questioni. Compresa la guerra spionistica con la Kroll, multinazionale americana delle investigazioni private. L’ex dirigente ha rivelato che il suo Tiger team, la squadra antihacker della Telecom, non solo ha «bucato» la rete informatica della Kroll, ma avrebbe «succhiato» tutto l’archivio della società Usa, pratica per pratica, utilizzando le password dei dipendenti. Un’immensa biblioteca di informazioni riservate (tra i clienti c’è anche la Cia) che ora sarebbe conservata in un server estero. Ma se Tavaroli ha ammesso curiosità per i segreti aziendali, ha negato la passione per i dossier sui politici. «In molti anni ho preso informazioni solo su Aldo Brancher» ha detto ai pm. Perché? L’esponente forzista era critico con i vertici dell’azienda e, in vista di un incontro diplomatico con lui, Tavaroli aveva chiesto notizie sul suo conto. Per quanto riguarda le schede preparate dal giornalista Gugliemo Sasinini su imprenditori, politici e prelati, lo stesso autore e Tavaroli si sono difesi spiegando che si trattava di schede che attingevano a fonti aperte per il management ex Pirelli trasferito in una realtà romanocentrica come la Telecom. E il rapporto sul leader dell’Udc Lorenzo Cesa? L’ex carabiniere ha sempre negato di averlo ordinato. Lo sostiene in questa versione l’amico di sempre, Marco Mancini, ex numero due del Sismi, che nei suoi verbali dice di aver ricevuto il rapporto da Cipriani e individua il committente in un generale della Guardia di finanza ora in pensione. Insomma per Tavaroli la Telecom non era una Spectre ossessionata dalla politica. Tanto da essere rimasto sorpreso dal decreto di distruzione dei dossier licenziato in gran fretta dal Parlamento (con voto unanime) e ora all’esame della Corte costituzionale che deve valutarne la legittimità, dopo l’opposizione dei giudici. «La verità deve emergere dai processi» dice Tavaroli. «Noi non siamo interessati all’eliminazione dei documenti e auspichiamo che la sentenza della Suprema corte sia favorevole alla prosecuzione delle indagini. Noi non abbiamo paura di quelle carte». Tavaroli si ferma. Vuole evitare di essere frainteso: «Sennò dicono che lancio messaggi cifrati». Il discorso passa alla sua esperienza carceraria. Nega di essere diventato amico di Olindo Romano: «L’ho solo conosciuto. Eravamo nello stesso braccio nel carcere di Como. Non ho scritto io, come ho letto sui giornali, una richiesta di perdono al suo posto». In cella i suoi «veri» amici erano Ernesto, Silvio e Vittorio. Il primo è un narcotrafficante colombiano: «Abbiamo passato lo scorso Natale a parlare e lui mi ha raccontato la vita spietata di Cali». Silvio è un colletto bianco e Vittorio un calabrese conosciuto a Voghera nel carcere di massima sicurezza. Alla sera leggevano insieme la Bibbia. «La religione mi ha molto aiutato in questa esperienza. Don Luciano, il cappellano di Voghera, e il francescano padre Giovanni, guida spirituale dei detenuti a Como, mi sono stati molto vicino». Oltre alla moglie Marina, lo ha sostenuto anche il fratello Paolo, insegnante di religione ad Alassio. Ma la rinnovata fede non ha spento il suo estro imprenditoriale. Lo sguardo torna quello dei tempi belli: «Ho una business idea. Sto cercando i soci e la struttura giusta. Magari di fronte al mare. Il resto è top secret». IL DISCHETTO DEI DOSSIER Migliaia di dossier illegali, ricchi di informazioni riservate, venduti per decine di migliaia di euro. Un business da quasi 30 milioni di euro. È quello che nei mesi scorsi hanno scoperto i carabinieri dell’Arma di Milano perquisendo gli archivi informatici delle agenzie investigative Polis d’Istinto di Emanuele Cipriani e Althon srl di Nicolò Rizzo. Una rete informativa, secondo la procura di Milano, diretta da Giuliano Tavaroli, ex capo della security dalla Telecom. Per gli uomini del nucleo operativo, i rapporti dei detective privati (che avevano Telecom e Pirelli come principali clienti) contengono informazioni che venivano alimentate mediante l’accesso alle banche dati riservate (Sdi, anagrafe tributaria, casellario centrale, Inps, Motorizzazione), agli archivi bancari (conti correnti, fidi, mutui), a quelli delle società di telefonia fissa e cellulare. Dagospia 02 Novembre 2007

02/11/2007

Documento n.6922

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