Senato. Interrogazione di Elio Lannutti su Associazioni di consumatori e ipotesi di "normalizzazione" del consumerismo da parte del governo.

in Articoli e studi

Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-03054


Atto n. 3-03054 (con carattere d'urgenza)

Pubblicato il 18 settembre 2012, nella seduta n. 795

LANNUTTI - Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri dello sviluppo economico e della giustizia. -

Premesso che:

ad avviso dell'interrogante il tema della corruzione e della mancata approvazione del disegno di legge recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione dell'illegalità nella pubblica amministrazione" (Atto Senato 2156-B) pesa come un macigno sulla reputazione dell'Italia nel mondo. Le cronache riportano ogni giorno nuovi scandali, dazioni di tangenti, appalti pilotati per favorire "amici degli amici", ed una commistione tra soggetti sociali ed affaristi, sia per alterare il corretto gioco della concorrenza che per perseguire sporchi affari;

nei primi anni Ottanta, per riequilibrare lo strapotere di monopoli, oligopoli e cartelli nei settori strategici come il bancario, finanziario, assicurativo, energia, gas, eccetera, che hanno alterato il corretto gioco della concorrenza ed imposto politiche di prezzi e tariffe predatorie, sono nate, anche in Italia, le associazioni dei consumatori;

l'Enciclopedia Wikipedia, riporta la corretta evoluzione della tutela del consumatore o "consumerismo": «La tutela del consumatore o consumerismo si esplica attraverso l'insieme di disposizioni dell'ordinamento italiano e comunitario, volte a difendere i diritti e gli interessi del cittadino inteso come fruitore di beni materiali e di servizi per uso privato. (...) Fino al XIX secolo, la maggior parte della popolazione destinava le proprie risorse quasi esclusivamente a generi di prima necessità e l'attenzione alla qualità era scarsa. Con il raggiungimento di un benessere più diffuso, si è affermata la figura del cittadino consumatore, cioè di un soggetto sociale che si fa portatore di bisogni e interessi che necessitano di una difesa in quanto acquista o utilizza beni materiali prodotti su larga scala, che giungono sul mercato attraverso una serie di figure intermedie, estranee alla produzione e senza possibilità di influire sulla qualità dei prodotti. Gli Stati Uniti sono stati il primo paese in cui si è affermata questa difesa. Già nel 1899 era nata la National Consumers League, ma agli inizi del XX secolo, quando esplose uno scandalo per la vendita di carne avariata, in seguito alle proteste delle fasce più deboli della società il Governo Federale fu costretto ad approvare leggi che imponevano un controllo nei confronti dell'industria. Nel 1914 nacque la Federal Trade Commission (Commissione federale per il commercio) con l'intento di combattere le attività commerciali illecite. Nel 1928 venne fondata la Consumers Union, una associazione che attraverso un bollettino periodico informava gli iscritti sui nuovi beni e servizi disponibili sul mercato. Tale associazione è ancora oggi molto attiva. Negli anni sessanta assunse rilevanza internazionale il caso di Ralph Nader, giovane avvocato e giornalista americano che osò sfidare la potente General Motors affermando in una sua pubblicazione che le auto prodotte da questa azienda non erano sicure. L'azienda tentò di screditare Nader pagando degli investigatori privati per farlo pedinare: Nader se ne accorse e denunciò la General Motors e, oltre ad ottenere un cospicuo risarcimento per la violazione della privacy, costrinse l'azienda a porgere pubbliche scuse e ad aumentare i dispositivi di sicurezza delle auto prodotte. Nader si era fatto portatore dell'idea che i diritti del consumatore sono un'espressione dello spirito democratico americano, in altre parole, come tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, così sono uguali di fronte al mercato. Nello stesso periodo John F. Kennedy enunciò nel Bill of Rights i cinque diritti fondamentali del consumatore: alla salute, alla sicurezza, alla difesa economica, alla difesa legale, alla rappresentanza. In Europa, il diritto alla tutela del consumatore è stato riconosciuto intorno agli anni cinquanta: il Regno Unito e la Danimarca furono i primi due paesi in cui venne istituito un organismo di tutela. Ad essi fecero seguito Svezia, Francia e Germania, mentre l'Italia è stata ancora per molti anni carente sotto questo aspetto. La produzione paritaria tende a convergere con l'idea pro-consumerista avanzata di consumatori attivi che dirigano la produzione. (...) In Italia sono sempre state valide alcune norme del Codice penale che reprimono i comportamenti fraudolenti, messi in atto da produttori e commercianti, che risultino nocivi per gli interessi dell'acquirente. Tali norme tuttavia erano improntate al sistema di vendita tradizionale ottocentesco e consideravano solo l'ipotesi in cui il prodotto fosse privo di qualità essenziali o presentasse vizi occulti. Solo grazie alle direttive emanate dalla Comunità Europea a partire dal 1973 (anno in cui viene approvata la Carta europea di protezione dei Consumatori) si affermano concetti importanti quali la responsabilità delle aziende per i danni provocati da prodotti difettosi, la pubblicità ingannevole, la tutela dei consumatori sulle indicazioni dei prezzi, delle garanzie al consumo e della sicurezza dei prodotti. Il Trattato di Maastricht, entrato in vigore il 1º novembre 1993, prevede per la prima volta un titolo dedicato alla protezione dei consumatori. Queste direttive prescrivono sostanzialmente: che il consumatore deve avere a disposizione informazioni chiare (contenuto del prodotto, eventuale tossicità, scadenza, modo d'impiego) che gli consentano di scegliere il prodotto che meglio si addice alle sue esigenze; che possa pretendere il risarcimento di danni derivanti da un prodotto non rispondente alla pubblicità e alle informazioni fornitegli; che possa essere rappresentato, ascoltato ed eventualmente assistito legalmente attraverso organismi e associazioni aventi come scopo la tutela dei suoi diritti. La legge 142 dell'8 giugno 1990 prevede il diritto delle associazioni dei cittadini di avere accesso alle strutture e agli atti amministrativi. La successiva legge 146 del 15 giugno 1990 stabilisce l'obbligo di ascoltare le organizzazioni dei consumatori e degli utenti durante gli scioperi. La Legge 287 del 10 ottobre 1990 dà alle associazioni dei consumatori la facoltà di denunciare alcune iniziative. Solo nel 1998, con la legge 281 del 30 luglio, a distanza di più di vent'anni l'ordinamento italiano recepisce i principi contenuti nelle normative comunitarie riconoscendo i diritti individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti e promuovendone la tutela anche in forma collettiva ed associativa. L'articolo 1 di questa legge afferma che sono "fondamentali i diritti: alla salute; alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi; ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità; all'educazione al consumo; alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi; alla promozione e allo sviluppo dell'associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti; all'erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza". A seguito di questa legge, sempre nel luglio 1998 si costituisce, presso il Ministero per le attività produttive, il CNCU (Consiglio Nazionale dei Consumatori e Utenti), al quale fanno capo numerose associazioni di consumatori, quali: Acu, Adiconsum, Adoc, Adusbef, Altroconsumo, Assoutenti, Cittadinanzattiva, Codacons, Federconsumatori, Unione Nazionale Consumatori, Lega Consumatori. Tra gli interventi più diffusi che vedono impegnate le associazioni a favore degli utenti, vi sono: i contratti di vendita e le cosiddette clausole vessatorie, il diritto alla salute e alla casa, la lotta all'inquinamento e la difesa dell'ambiente, i rincari ingiustificati dei prezzi, i disservizi nelle telecomunicazioni e nei trasporti (ferrovie, autostrade, aerei). Nel 2000 il Parlamento Europeo ha stabilito l'obbligo per i rivenditori di prodotti alimentari di contrassegnare gli alimenti con un'etichetta che ne attesti la categoria qualitativa e l'origine di produzione»;

sono molte le battaglie portate avanti dalle associazioni italiane dagli anni Ottanta e novanta nei settori importanti e strategici, come banche (sui temi dell'anatocismo e dei mutui usurari), assicurazioni, energia, petrolio (in relazione ai cartelli, sanzionati dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato). Per offrire un ordine al consumerismo, è stato promulgato il codice del consumo di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, che disciplina, alla parte quinta, il modus operandi delle associazioni dei consumatori e l'accesso alla giustizia;

l'art. 137, infatti, sancisce le modalità di registrazione delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale, che devono avere determinati requisiti per essere iscritte nell'elenco istituito presso il Ministero dell'industria, poi delle attività produttive ed oggi dello sviluppo economico: «1. Presso il Ministero delle attività produttive è istituito l'elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale. 2. L'iscrizione nell'elenco è subordinata al possesso, da comprovare con la presentazione di documentazione conforme alle prescrizioni e alle procedure stabilite con decreto del Ministro delle attività produttive, dei seguenti requisiti: a) avvenuta costituzione, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, da almeno tre anni e possesso di uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica e preveda come scopo esclusivo la tutela dei consumatori e degli utenti, senza fine di lucro; b) tenuta di un elenco degli iscritti, aggiornato annualmente con l'indicazione delle quote versate direttamente all'associazione per gli scopi statutari; c) numero di iscritti non inferiore allo 0,5 per mille della popolazione nazionale e presenza sul territorio di almeno cinque regioni o province autonome, con un numero di iscritti non inferiore allo 0,2 per mille degli abitanti di ciascuna di esse, da certificare con dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà resa dal legale rappresentante dell'associazione con le modalità di cui agli articoli 46 e seguenti del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445; d) elaborazione di un bilancio annuale delle entrate e delle uscite con indicazione delle quote versate dagli associati e tenuta dei libri contabili, conformemente alle norme vigenti in materia di contabilità delle associazioni non riconosciute; e) svolgimento di un'attività continuativa nei tre anni precedenti; f) non avere i suoi rappresentanti legali subito alcuna condanna, passata in giudicato, in relazione all'attività dell'associazione medesima, e non rivestire i medesimi rappresentanti la qualifica di imprenditori o di amministratori di imprese di produzione e servizi in qualsiasi forma costituite, per gli stessi settori in cui opera l'associazione. 3. Alle associazioni dei consumatori e degli utenti è preclusa ogni attività di promozione o pubblicità commerciale avente per oggetto beni o servizi prodotti da terzi ed ogni connessione di interessi con imprese di produzione o di distribuzione. 4. Il Ministero delle attività produttive provvede annualmente all'aggiornamento dell'elenco. 5. All'elenco di cui al presente articolo possono iscriversi anche le associazioni dei consumatori e degli utenti operanti esclusivamente nei territori ove risiedono minoranze linguistiche costituzionalmente riconosciute, in possesso dei requisiti di cui al comma 2, lettere a), b), d), e) e f), nonché con un numero di iscritti non inferiore allo 0,5 per mille degli abitanti della regione o provincia autonoma di riferimento, da certificare con dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà resa dal legale rappresentante dell'associazione con le modalità di cui agli articoli 46 e seguenti del citato testo unico, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000. 6. Il Ministero delle attività produttive comunica alla Commissione europea l'elenco di cui al comma 1, comprensivo anche degli enti di cui all'articolo 139, comma 2, nonché i relativi aggiornamenti al fine dell'iscrizione nell'elenco degli enti legittimati a proporre azioni inibitorie a tutela degli interessi collettivi dei consumatori istituito presso la stessa Commissione europea»;

considerato che:

a quanto risulta all'interrogante, un'associazione che non aveva tali requisiti di democraticità, ma rappresentava lettori della rivista "Altroconsumo" spacciati per iscritti, è state cancellata dall'elenco del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (CNCU), con sentenza del Tar del Lazio ed obbligata a restituire alcuni fondi incassati illegittimamente.

per evitare che le associazioni dei consumatori potessero avere una contiguità con le imprese, specie del settore bancario ed assicurativo, tra i più impermeabili alla correttezza e trasparenza e, inversamente, disponibile ad offrire prebende e finanziamenti oscuri, il caposaldo del codice del consumo era quello di precludere alle associazioni dei consumatori e degli utenti ogni attività di promozione o pubblicità commerciale avente per oggetto beni o servizi prodotti da terzi ed ogni connessione di interessi con imprese di produzione o di distribuzione;

si pensi al fenomeno del risparmio tradito ed ai "bond patacca", già all'origine avariati, collocati disinvoltamente presso uno milione di consumatori, con un danno di circa 50 miliardi di euro, per comprendere la necessità di porre un freno alla collusione tra interessi di banche ed imprese, da una parte, e delle associazioni che tutelano i diritti ed interessi diffusi dei consumatori-risparmiatori dell'altra. Ma pare all'interrogante che il Governo in carica, formato da tecnici e da personalità con pregresse esperienze nel settore bancario tenti di rimuovere il vincolo di separazione tra le attività dei consumatori e le imprese, specie quelle bancarie, che con l'iniziativa Patti chiari dell'Associazione bancaria italiana erano venuti incontro alle proposte di alcune associazioni di consumatori, approvando un nuovo testo che, oltre a "mettere in vendita" le associazioni iscritte al CNCU, ne favorisce la commistione con i banchieri e gli altri monopolisti, sostituendo la vecchia normativa con una nuova che pare finalizzata a favorire i lobbisti;

il Governo infatti, a giudizio dell'interrogante, ha studiato nuove regole per ridurre il numero delle associazioni consumatori "scomode";

è solo questione di pochi giorni, ma ecco come il Governo Monti ha deciso, a parere dell'interrogante, di "affossare" il consumerismo in Italia, facendolo diventare "consumerismo delle lobby". Con la logica dei numeri sono premiate le associazioni legate al tesseramento ad un partito politico, ad un sindacato, nonché alla vendita di un giornale: si affossano le idee. Anche i lettori di "Famiglia cristiana", giornale apprezzato moltissimo dall'interrogante, diventeranno probabilmente un'associazione di consumatori. Per gli iscritti a taluni sindacati la tessera della rispettiva associazione sarebbe già, praticamente, una realtà;

questi, a quanto risulta all'interrogante, i punti chiave della nuova proposta di legge: l'art. 2, comma 2, lettera g), consentirebbe di "comprare" legalmente le associazioni dei consumatori, attraverso la possibilità per le associazioni dei consumatori di stipulare accordi con imprese private (ad esempio Enel, banche, eccetera.) ed associazioni di imprese (ad esempio Abi) senza che ciò comporti motivo di incompatibilità per il registro delle associazioni dei consumatori nel CNCU, a condizione che tali accordi economici siano resi pubblici agli iscritti mediante pubblicazione sui siti. A parere dell'interrogante si tratta di un modo per migliorare l'immagine di tutte quelle imprese che condizionano l'andamento dell'economia ed il futuro dei cittadini (ad esempio banche, compagnie petrolifere, telefoniche, energetiche, farmaceutiche, eccetera). Il Governo, invece di vietare che le associazioni facciano patti remunerati con le loro controparti, legalizzano tali accordi, fa sì che le associazioni dei consumatori potrebbero vedano minacciata la propria imparzialità (si immagini lo sponsor di qualche azienda di armi o di agenti chimici o nucleare, in aperto contrasto con i principi di indipendenza, libertà e tutela dei consumatori e dei soggetti più deboli); l'art. 2, comma 4, rischia di trasformare le associazioni dei consumatori in partiti politici o in bacini elettorali facilmente individuabili dalle tessere: diverrà fondamentale l'elemento tessere al di là di ogni altro. Bisognerà comprovare il pagamento di importo non irrisorio ed in forma tracciabile della quota associativa nella forma biennale; nel caso di pagamento in contanti servirà riscontro sia a bilancio che cartaceo delle iscrizioni effettuate e delle conferme di iscrizione -parimenti scritte- intervenute nel biennio successivo (pare dunque che la tessera duri un paio di anni), oltre ai requisiti di copertura territoriale di cui al codice del consumo (0,5 per mille nazionale, 0,2 per mille provinciale). Anche qui, però, la sensazione è quella di un sostanziale depotenziamento delle associazioni dei consumatori per trasformarle in collettori di tessere oggi, e probabilmente di voti domani. Discutibile poi anche il pagamento di importo non irrisorio: non significa nulla. Vogliono introdurre anche il divieto di doppio tesseramento con due diverse associazioni dei consumatori; l'interrogante si chiede se tale divieto non possa essere esteso anche a chi risulta iscritto al sindacato e poi anche alle rispettive associazioni dei consumatori; all'art. 2, comma 8, si prevede di introdurre il principio per cui ogni voto non è uguale all'altro, ma "il più rilevante" (che forse ha già stipulato diversi accordi con sponsor) conterebbe di più: si vorrebbe modificare il sistema di voto nel CNCU aggiungendo alla maggioranza dei votanti anche la maggioranza degli iscritti rappresentati, come se un voto fosse più pesante di un'altro. Anche qui sembra all'interrogante che sia riprodotta una dinamica aziendale in cui le rappresentanze meno numerose vengono escluse (si veda il caso della Fiom a Pomigliano). C'è qualcuno forse che non vuole sentire voci fuori dal coro, anche se piccole, e c'è pure qualcosa che pare avere poco a che fare con la democrazia;

a parere di autorevoli esperti di diritto, il requisito per il riconoscimento ed accreditamento delle associazioni dovrebbe, innanzitutto, prescindere dal contributo e dal numero degli iscritti, entrambi fattori che creano un'ingiusta disparità economica e sociale, specie tra i cittadini più e meno abbienti e tenere conto di molti altri indicatori di sostanza ad oggi non considerati. La quota associativa non può rappresentare o costituire il corrispettivo del servizio che le associazioni dei consumatori forniscono ai cittadini, risultando le stesse diverse, per rango e missione, da quelle meramente privatistiche che perseguono l'interesse dei soli soci, tant'è che il legislatore riconosce loro una sorta di personalità pubblica riservando alle stesse funzioni consultive e di controllo, da un lato, e, per altro verso, repressive (cfr. art. 140 del codice del consumo). Il finanziamento pubblico loro riservato, peraltro derivato da multe irrogate alle aziende (anche per l'effetto dell'attività di segnalazione e denuncia delle associazioni dei consumatori) e non prelevato dalle tasche dei cittadini, deve essere proporzionato non al numero degli iscritti, cosa che svilirebbe tale natura, ma piuttosto alla qualità e quantità delle prestazioni che le associazioni rendono ai beneficiari, tenuto conto che sostanzialmente esercitano una funzione pubblica delegata per conto dello Stato, il quale ha il dovere primario nazionale e comunitario di tutela degli amministrati.

per fare qualche esempio, la recente battaglia Adusbef sul termine della decorrenza prescrizionale, sfociata nella sentenza di illegittimità costituzionale n. 75 del 5 maggio 2012; nonché le denunce alla Procura di Trani contro le tre agenzie di rating che hanno stritolato e stritolano il Paese; la denuncia all'Autorità garante della concorrenza e del mercato ed alle Procure contro le modalità di formazione dei tassi Libor ed Euribor; e ancora quelle del passato sulle vertenze Cirio, Parmalat, bond argentini, eccetera e tantissime altre ancora (ad esempio sull'usura bancaria), hanno determinato una vera e propria svolta nella tutela diffusa, gratuita ed imparziale dei diritti di milioni di consumatori italiani. L'interrogante si chiede quale senso abbia, dunque, parlare di numero di iscritti e quote associative davanti al potere delle idee e della capacità ed ai valori di giustizia e libertà,

si chiede di sapere:

se il Governo non abbia il dovere di impedire che le associazioni dei consumatori recuperino fondi da industrie, banche, assicurazioni e poteri forti creando di fatto un possibile conflitto di interessi se non una vera e propria dipendenza, che tanto disdoro assume agli occhi dei consumatori, tenuto conto che, nell'ambito della tutela dei più deboli ed indifesi, assume rilievo non solo l'indipendenza, ma forse ancor più l'apparenza di indipendenza ed imparzialità;

se, nell'ipotesi di revisione della disciplina in materia di tutela dei consumatori, non abbia il dovere di garantire, in primo luogo, l'ampliamento delle forme di tutela collettiva degli interessi pubblici e la semplificazione delle modalità di accesso alle forme di azione collettiva, restituendo alle azioni di classe un valore ed un potere coercitivo diverso da quello oggi previsto, oltre a realizzare una reale e fattiva terzietà delle associazioni ed una forma di incompatibilità che le renda superiori ad ogni forma di collusione con i poteri forti, schierandosi insieme ad esse nella tutela dei soggetti più deboli;

se, nella scelta e valutazione delle associazioni dei consumatori, oltre alla valutazione del numero di tessere sottoscritte, non ritenga necessario valutare la qualificazione e capacità reale delle stesse di fornire assistenza e servizi occorrenti/utili alla collettività, titolare degli interessi diffusi;

se non ritenga opportuno favorire l'adozione di una normativa che, oltre ai requisiti di semplice pubblicazione od informazione data via telefono o di semplice esistenza di uffici di facciata, per individuare l'esistenza di una associazione dei consumatori attiva ed al servizio della collettività, richieda la prova che essa abbia esperito azioni concrete e qualificate, anche in via giudiziaria, al fine di demolire privilegi o normative inique, di cui poi tutti indistintamente beneficiano senza alcuna fatica, assieme all'esposizione del rischio ed al costo;

se, nella nuova riforma del codice del consumo, che a giudizio dell'interrogante mette all'asta le associazioni dei consumatori in modo da farle aggiudicare al miglior offerente, non occorra definire la missione stricto sensu di un'associazione a tutela dei consumatori, che ambisca a definirsi tale, sancendo che essa deve operare per proteggere e tutelare nel modo più imparziale, concreto e fattivo possibile -numero di tessere a parte- gli interessi dei soggetti che nella vita di tutti i giorni risultano indifesi e privi di ogni capacità di resistenza dinanzi ai poteri forti e dinanzi a quei poteri che in modo più o meno legittimo esercitano forme di coercizione o pressione in loro danno;

se sia a conoscenza che senza i ricorsi di alcune associazioni all'autorità giudiziaria ed alla Consulta, che ha annullato alcuni provvedimenti "salva banche" e "salva potentati", buona parte delle istanze degli iscritti andrebbero perse a tutto vantaggio di banche, gestori di telefonia ed energia, professionisti e tutti gli altri poteri forti;

se ritenga opportuno chiedere ad associazioni indipendenti dal potere politico ed economico di distogliere le energie volte ad affrontare problemi di interesse nazionale ed internazionale, come salute, giustizia e verità, per adempiere ad un onere prettamente formale, spesso, tuttavia, avulso dalla reale tutela di quegli interessi che si dice di voler proteggere;

se non ritenga che con tale riforma del codice del consumo si possa dubitare di una volontà di far venire meno la parte più seria, qualificata e meno adusa ai compromessi al ribasso del movimento italiano consumeristico per gettarla nelle fauci dei potentati economici, per favorire "intrallazzatori" dell'iscrizione, come avviene per le firme richieste per la candidatura a competizioni elettorali, alimentando il balletto di cifre del tesseramento in luogo della legittima e proficua competizione sulle battaglie da compiere la tutela dei tesserati;

se non ritenga che la riforma del codice del consumo appaia favorire alcune associazioni, per offrire maggior rilievo a chi porta più tessere, come avviene in politica, penalizzando coloro che si battono strenuamente, con indipendenza e competenza, per l'affermazione della giustizia, della verità, degli interessi generali e del bene comune, a prescindere dal colore dei Governi;

se il Governo sia consapevole che anche l'art. 140-bis del codice del consumo, sull'azione di classe, dove si ritiene sufficiente anche un solo iscritto per promuovere un giudizio, pare avere una funzione paradossale, e se non sia consapevole che il provvedimento che è in procinto di varare può apparire abnorme, liberticida ed in molti aspetti incostituzionale, e che a parere dell'interrogante non mancherà di essere impugnato di fronte alla Consulta.

19/09/2012

Documento n.9242

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