PROFUMO AVARIATO E I SUOI DERIVATI

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PROFUMO AVARIATO E I SUOI DERIVATI – C’ERA UNA VOLTA IL BANCHIERE “DIVERSO” - ORA IL GOLDEN BOY DEI MERCATI GIOCA IN DIFESA - DAL PATTO CON GERONZI ALLA GRANA-DERIVATI, FINO AL CONTROPELO DI “REPORT – IN UNA SETTIMANA IL TITOLO PERDE IL 23%... Francesco Manacorda per “La Stampa” La doccia fredda della Borsa dopo la fusione con Capitalia; l’intreccio di partecipazioni ad alta valenza «politica» che quella stessa fusione ha potenziato; il «Report» in tv della Gabanelli sul caso derivati, che pesa in negativo assai più dei report positivi di blasonate case d’investimento. E adesso, da Washington - dopo anni di una diversità da larga parte del sistema bancario teorizzata e praticata - Alessandro Profumo replica che quei derivati «non sono il male» e che comunque «suppongo che altre banche facessero esattamente le stesse cose». Appena cinque giorni prima, a Pavia - fresco di voto alle primarie del Partito democratico - aveva contestato «la strana tendenza italiana a criminalizzare le banche». Gioca in difesa, insomma, il «golden boy» dei mercati, diventato per molti - nei suoi dieci anni e passa di guida dell’Unicredit - una sorta di simbolo di un’altra Italia finanziaria, quella che fa della trasparenza un valore primario, quella che compra Hvb in Germania, quella che esce dal cda di Rcs Quotidiani perchè i banchieri i giornali li leggono e non li editano. Gioca in difesa anche perché a cinque mesi esatti dall’annuncio della fusione con Capitalia e dopo la scorsa settimana passata proprio sotto l’effetto «Report», il titolo Unicredit non ha certo brillato: dai 7,58 euro del 16 maggio, annuncio della fusione, ai 5,79 di ieri, con una perdita di oltre il 23%. Nel frattempo l’indice DJ Stoxx dei titoli bancari europei è sceso del 12%. Ma nonostante questo, Profumo gode di una grande reputazione sui mercati e la sua Unicredit è una scommessa sicura secondo molte banche d’affari. Il 1° ottobre Credit Suisse e Jp Morgan hanno indicato entrambe un obiettivo di prezzo di 8 euro. E anche i risultati semestrali, con 3,6 miliardi di utile netto, non hanno certo deluso. Sui «fondamentali», dunque, il mercato non ha preoccupazioni. Anzi. Ma che cosa è allora che minaccia la «diversità» di Profumo? La questione dei derivati - collocati per la maggior parte tra il 2000 e il 2004 quando alla guida di Unicredit Banca d’Impresa c’era Pietro Modiano, ora a Intesa-Sanpaolo - è senza dubbio uno degli elementi. Il gruppo tende ad archiviare la notizia che i suoi clienti sono esposti a una perdita potenziale di circa un miliardo come un evento già superato, che detona adesso solo sull’onda dell’emotività dei mercati e della pubblica opinione e che - dice Profumo - «abbiamo sempre gestito in assoluta trasparenza». Ma lui stesso spiega che «dove abbiamo fatto errori e cose non corrette stiamo lavorando con i nostri clienti per mettere a posto le cose». E a testimoniare gli errori ci sono le sanzioni per 511 mila euro comminate a fine agosto dalla Consob ai consiglieri di Unicredit Banca d’Impresa per il capitolo derivati. Sull’immagine e sulle strategie del numero uno di Unicredit influisce anche l’alleanza con Capitalia. Dal punto di vista industriale l’accordo con il presidente di Capitalia - e ora di Mediobanca - Cesare Geronzi e l’uscita di scena dell’ad della banca romana Matteo Arpe sono stati i presupposti migliori per assicurare un’integrazione senza ostacoli tra i due gruppi. E in casa Unicredit si pensa che aver ceduto a Geronzi porzioni di potere in Mediobanca e nelle sue partecipazioni – Generali ed Rcs – è un prezzo equo da pagare specie tenendo conto che in piazzetta Cuccia in precedenza Unicredit si sentiva messa sotto schiaffo dallo stesso Geronzi, creatore di un asse con i soci francesi. Ma proprio la partita delle partecipazioni ereditate da Capitalia e/o custodite in Mediobanca, è quella dove Profumo sembra muoversi con qualche difficoltà rispetto a quanto detto e fatto finora: martedì scorso a Pavia, ha di fatto confermato che Unicredit non uscirà da Rcs fino alla scadenza del patto di sindacato. E su Generali - al grido di «non siamo Alice nel paese delle meraviglie» - ha esposto la sua strategia: restare nell’azionariato per impedire che altri - ossia Intesa-Sanpaolo - possano trovare spazio. Una strategia che replica quella adottata a suo tempo in Mediobanca, quando la presenza di Unicredit veniva spiegata come esercizio di un potere d’interdizione nei confronti di Capitalia, e che come tutte le guerre di posizione italiane sembra poco coerente con il dinamismo di un gruppo europeo. Qualche osservatore più malizioso nota ora che per Geronzi non è uno svantaggio vedere Profumo subire qualche difficoltà. Un po’ perché in questo modo si attenua l’effetto Diavolo&Acqua Santa che ha visto finora i due in ruoli quasi obbligati. Un po’ perché un Unicredit meno forte fa il gioco del presidente di Mediobanca, abituato a mantenere delicati equilibri tra i suoi azionisti. E forse non è un caso che mentre da Profumo arrivano bordate contro Intesa-Sanpaolo Geronzi si dedichi anche a consolidare i rapporti con Giovanni Bazoli, il presidente di quella banca, che in settembre è stato suo ospite a pranzo in piazzetta Cuccia. Dagospia 23 Ottobre 2007 Vai alla notizia precedente - Vai alla notizia successiva Torna alla Home Page

23/10/2007

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