PRIVATIZZAZIONE ALITALIA: ATTENTI AGLI SPECULATORI Di P. Raimondi

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PRIVATIZZAZIONE ALITALIA: ATTENTI AGLI SPECULATORI Di P. Raimondi Paolo Raimondi, economista Quando si parla di futuro dell’Alitalia, la domanda d’obbligo è: il suo ruolo produttivo sarà privilegiato oppure diventerà un nuovo esperimento della grande finanza speculativa? Certamente la compagnia aerea ha viaggiato con perdite record di oltre 1 milione di euro al giorno e con debiti alle stelle. Ma la privatizzazione è la panacea di tutti i mali che si tendono superficialmente e ideologicamente a rifilare allo stato? Una seria riorganizzazione dell’Alitalia si dovrà basare su dei concetti di economia reale e non di alchimie finanziarie. Questo vuol dire collocarla in una strategia di sviluppo dei trasporti proiettata in un’economia e in un commercio in espansione soprattutto verso le regioni in crescita dell’Europa e degli stati che si trovano lungo il cosiddetto Ponte di Sviluppo Eurasiatico, verso la Cina e l’India. Il trasporto, veloce ed efficiente, di persone e di beni assume in questa prospettiva una valenza strategica, in un rapporto virtuoso con la crescita della produttività del lavoro, l’ammodernamento e il mantenimento e la qualificazione dell’occupazione. Se è difficile dire con precisione quello che si dovrà fare, è comunque possibile affermare con certezza quello che NON si deve fare. NON di deve dare l’Alitalia in pasto alla finanza speculativa, a quelli che anche alcuni banchieri centrali cominciano a indetificare come le “locuste”. Indubbiamente il ministro Bersani non è uno sprovveduto in queste cose, ma occorre far sì che ci sia una consapevolezza generale del pericolo insito in una soluzione primariamente finanziaria. Quando la vendita dell’Alitalia è stata aperta, ben 11 attori sono scesi in campo, salutati con gran cassa dai media, dal governo e soprattutto dagli addetti ai lavori, dai faccendieri. In verità se andiamo a vedere la lista dei possibili compratori, c’è da allarmarsi. Si tratta soprattutto di Private Equity Funds, che raccolgono capitali tra imprese di capitale le cui azioni non sono elencate sui listini delle borse. Questi capitali raccolti dai Fondi solitamente operano per operazioni a più lungo termine, quali l’intervento in imprese in difficoltà o in fallimento. Non essendo ispirati alla carità di Madre Teresa, bensì al massimo profitto e ad ogni costo, i loro interventi non possono che essere di una brutalità inaudita. Non ci sono considerazioni sociali, strategiche o occupazionali che tengano. Se fosse necessario, per ripagare l’investimento dimezzano l’occupazione, delocalizzano la produzione, chiudono interi settori, fanno fallire parte dell’impresa, ecc. Due sono le tecniche solitamente utilizzate: il Leverage Buyout (LBO) e il cosiddetto “spezzatino”. LBO vuol dire che la maggioranza del grande capitale che mettono in campo è preso a prestito da banche, finanziarie e a volte, spesso, con operazioni altamente rischiose in finanza derivata. Se l’operazione di acquisto va in porto il Fondo costringe l’impresa acquisita a sottoscrivere nuovi debiti solitamente nella forma di obbligazioni o nuove capitalizzazioni. Poi fa partire un processo aggressivo di ristrutturazioni da cui dovrà sortire un lauto profitto per i partecipanti al Fondo. Una delle operazioni è quello del famoso “spezzatino”, cioè quella di smembrare l’impresa acquisita, chiudendo le componenti reputate inefficenti, trasferendone altre con la struttura dei “debiti” in un nuovo raccoglitore creato ad hoc. Quest’ultimo viene reso legalmente autonomo e indipedente e lasciato a sè stesso sul mercato: spesso e volentieri va in fallimento e chiude per bancarotta. La polpa più prelibata, ancor meglio i filetti, vengono selezionati e privilegiati, abbelliti e messi sul mercato. Le loro azioni schizzano in alto, o sono aiutate da adeguate operazioni finanziarie a guadagnare nelle loro quotazioni. Dopo di che il Fondo solitamente vende quello che rimane in modo tale da portare a casa un grande profitto sul capitale inizialmente messo in campo. Nella lista trasmessa dal Ministero dell’Economia in base all’invito pubblicato lo scorso 29 dicembre troviamo infatti alcuni dei più grandi e aggressivi Private Equity Funds internazionali, ovviamente con agganci in casa nostra. Texas Pacific Group, il più grande a livello mondiale nel 2006, gestisce asset per 30 miliardi. Nel 2006 ha raccolto 15 miliardi di dollari per avviare le sue ultime operazione di LBO. Creato nel 1992, l’anno dopo ha acquisito la Continental Airlines, di cui sono rimaste solo le ossa. Nel 2002 con la Goldman Sachs e la Bain Capital ha lanciato una LBO nei confronti del Burger King, la catena di hambuger che paga salari da schiavi. E’ sempre stata attiva nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, media. Cerberus Capital Management è la società di private equity di marca americana repubblicana. Il suo presidente è John Snow, ex segretario al Tesoro di Bush e vanta tra i direttori l’ex vicepresidente Dan Quayle, l’aiutante in campo di Bush padre. Gestisce asset per 18 miliardi e un giro di affari per 45 miliardi di dollari. Lavora soprattutto nel campo della difesa e in quello immobiliare. L’anno scorso ha lanciato una LBO nei confronti della GMAC, la holding finanziaria che controlla la General Motors e si appresta ora a devastare il settore dell’auto incominciando con il licenziamento di oltre 30.000 lavoratori e la chiusura e la delocalizzazione di molti impianti. MatlinPatterson specializzata nell’acquisto di titoli azionari e obbligazionari di società in difficioltà per prenderne il controllo e ristrutturarle e riorganizzarle nel modo descritto. Mangement & Capitali, guidato da Carlo De Benedetti che ha tra i suoi soci anche Goldman Sachs, il fondo Cerberus e altri. De Benedetti ha alle spalle la partecipazione nel Quantum Fund del finanziere sedicente democratico americano George Soros, in prima fila nella speculazione contro la lira dal 1992 in poi e indagato per operazioni speculative a dir poco “strane”. Wonder & Dreams di Paolo Alazraki, un personaggio che fa da battistrada a parecchi hedge funds. Girano poi i nomi di altri interessati che vanno dalla Banca Rothchild alla Lazard Freres. Rimane quindi aperta la questione: Alitalia, progetto produttivo strategico o vittima di giochi finanziari? Per rispondere non basta usare la parola magica della “privatizzazione”.

17/02/2007

Documento n.6438

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