MANI PULITE: DI PIETRO JAMES BOND ! LA MACCHINA DEL FANGO DEL GIORNALE DELL'AMORE SPARGE VELENI PER INSINUARE DUBBI ED AMMANSIRE L'UNICA OPPOSIZIONE

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FACCI: "IL SEGRETO DI ANTONIO DI PIETRO? I SUOI RAPPORTI CON I SERVIZI SEGRETI" - L'INCREDIBILE STORIA DI UN GIOVANOTTO MOLISANO CHE LAVORA NEGLI AMBIENTINI DELL’AERONAUTICA (NATO, UFFICIO SICUREZZA) PER 5 ANNI; SI LAUREA IN SOLI 31 MESI, PUR LAVORANDO; DIVIENE POLIZIOTTO; LAVORA PER UN'INTELLIGENCE ANTITERRORISMO (?); DIVENTA MAGISTRATO, È POI PARTE IN MISSIONE PER CONTO DEL SISMI PER LE SEYCHELLES A CACCIA DI FRANCESCO PAZIENZA, IL PIDUISTA COINVOLTO NEL CRAC DEL BANCO AMBROSIANO - REPLICA DI PIETRO: "CAPPERI, ERO TONINO SUPER BOND E NEMMENO ME NE SONO ACCORTO! - CARO JAMES BOND, HO SCOPERTO CHE SU ORDINE DELLA CIA, HO MESSO IN PIEDI L’OPERAZIONE MANI PULITE, BEN PIÙ ARTICOLATA E PERICOLOSA DELLA TUA OPERAZIONE TUONO!" - 1 - DI PIETRO MISTERY STORY Filippo Facci per Libero «Dicono che sono stato pagato dalla Cia» ha reso noto Antonio Di Pietro nel denunciare la circolazione di fotografie che lo ritraggono, in effetti, coi vertici del Sismi e persino con un agente della Cia. La storiaccia che a suo dire vorrebbero cucirgli addosso - un intrico che l'avrebbe visto al servizio degli Usa e addirittura della mafia - appare tuttavia così improbabile che l'unico ad alimentarla, per ora, è stato oggettivamente lui, Di Pietro. Filippo Facci - Di Pietro, la storia vera Il quale, se da una parte si è prodigato nel rispondere a domande che nessuno aveva posto, d'altra parte non ha mai voluto spiegare altre vicende che appaiono molto più serie e tuttavia documentate. Il fulcro resta lo stesso: i suoi rapporti con i servizi segreti.Antonio Di Pietro, nel novembre 1984, era ufficialmente magistrato a Bergamo. Lo era diventato per vie decisamente inusuali: dapprima aveva lavorato per i ministero dell'Aeronautica presso una postazione dell'Ustaa (Ufficio sorveglianza tecnica armamento aeronautico) e in particolare controllava l'Aster di Barlassina, azienda che lavorava per l'Esercito - in stretto e ovvio contatto con il Sismi, i servizi segreti militari - e collaudava pezzi di alta tecnologia adottati dai paesi Nato; giusto in quel periodo riuscì a laurearsi con velocità e modalità non meno inusuali - 'Libero' avrà modo di tornarci la settimana prossima - e questo prima di divenutare poliziotto lavorando nell'antiterrorismo con Vito Plantone e Carlo Alberto Dalla Chiesa, circostanze che Di Pietro non ha mai ammesso ma sulle quali, pure, si avrà modo di tornare. Non meno rocambolesco, nel 1981, era stato il suo esame da magistrato: sicché tre anni dopo, a Bergamo, eccolo destreggiarsi dopo che i suoi superiori l'avevano deferito al Csm non ritenendolo «in grado di dare tutti quegli affidamenti che vengono richiesti a un magistrato». E' proprio in quei giorni, nell'autunno 1984, che Di Pietro decise di prendersi una vacanza decisamente particolare. Va premesso, per comprendere lo scenario, che in quel periodo il paese era ancora scosso dagli strascichi dell'eversione: nessuno aveva propriamente raccolto il testimone del defunto generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ma le più importanti inchieste sul terrorismo erano pervenute nelle mani del sostituto procuratore romano Domenico Sica. Un caso affidatogli fu quello del cosiddetto «Supersismi», sorta di servizio segreto parallelo creato dalla Loggia P2 e reo di gravissime deviazioni e commistioni col peggior mondo criminale. Capi occulti di questo organismo risultarono essere altri esponenti eccellenti del Sismi e tra questi il cosiddetto faccendiere Francesco Pazienza, inseguito da mandati d'arresto d'ogni tipo. Ma il faccendiere intanto se la rideva: inquisito anche per la bancarotta dell'Ambrosiano, dal tardo 1984, si era nascosto alle isole Seychelles. Un uomo d'affari, Giovanni Mario Ricci, l'aveva presentato al presidente dell'arcipelago Albert René con il quale il faccendiere era entrato in grande confidenza. Ogni tanto si limitava a far spedire in Italia memoriali difensivi dal suo avvocato americano o convocava finte conferenze stampa a New York. Sica intanto gli aveva già fatto sequestrare tutti i beni e gli aveva spiccato contro sette mandati di cattura internazionali. Il capo del Sismi, l'ammiraglio Fulvio Martini, venne a sapere che Pazienza era celato nell'arcipelago. Quello delle Seychelles era un regime comunista appoggiato dal Cremlino, e tentare la via diplomatica all'epoca era impensabile. Alla disperata caccia di Pazienza si ritrovarono insomma il Sismi, il Sisde (i Servizi segreti civili) e il superprocuratore Domenico Sica. Una prima missione del Sisde era fallita: due agenti erano atterrati nelle isole a bordo di un aereo dell'Eni ma avevano combinato poco o niente. La circostanza è stata confermata da Giovanni Mario Ricci, allora sporadico corrispondente dell'Ansa e uomo d'affari cui i due agenti si rivolsero. Ulteriore conferma era poi giunta dal suo avvocato Corso Bovio. Ed eccoci al centro dell'arcano. Proprio allora, il 20 novembre 1984, Antonio Di Pietro parte per le Seychelles. Con lui c'era una donna non identificata, e i due fecero di tutto fuorché i turisti. Sole e mare a parte, non si trattava di una meta facile: il presidente René non brillava propriamente per democrazia. Tonino fece di tutto per mettersi nei guai. A bordo di una Mini-Moke a noleggio cominciò a fotografare in giro ma nascondendosi, acquattandosi; incontrò, tra altri, un vescovo cattolico ritenuto tra i capi dell'opposizione interna e chiese appunto informazioni su Pazienza, ascoltatissimo consigliere di René. Di Pietro e compagna furono subito pedinati e intercettati. Un responsabile dei servizi di sicurezza locali, un nordcoreano, stilò un rapporto con tanto di fotografie e ipotizzò che quel signore potesse essere un agente del Sismi o del Sisde o della Cia, organismi interessati a Pazienza. Tutte queste circostanze, più molte altre, sono confermate da atti giudiziari nonché dal racconto di Francesco Pazienza e da un libro del medesimo pubblicato da Longanesi nel 1999, «Il disubbidiente». L'agente nordcoreano e altri due sovietici proposero tranquillamente di far fuori l'intruso spingendo la sua auto giù da una scarpata, ritenendolo appunto un agente della Cia o del Sismi. Tra l'altro, intercettandolo, avevano verificato che ogni sera Di Pietro telefonava e relazionava. Pazienza mantenne fede al suo cognome e prese tempo. Andò all'hotel San Souci, dove dimorava quello strano italiano al mare, e ne spiò le generalità: era tal Di Pietro Antonio, magistrato alla Procura di Bergamo. Così, agli agenti sempre più ansiosi di far fuori il turista ficcanaso, Pazienza spiegò che se ne sarebbe ripartito a breve, che si calmassero. Pensò comunque di architettare uno stratagemma che potesse svelargli i referenti italiani di Tonino, e con un complicato giro di telefonate fece avere al magistrato delle notizie false: ossia che lui, il ricercato Francesco Pazienza, sarebbe passato dall'aeroporto di Lugano il 13 dicembre. Contemporaneamente diede la soffiata anche agli svizzeri - tramite i servizi segreti della Germania Orientale - di modo che potessero bloccare e identificare gli agenti italiani sopraggiunti irregolarmente per arrestarlo: se fossero stati poliziotti significava che Tonino agiva per canali istituzionali; se fossero stati agenti del Sismi, invece, no.Andò tutto come previsto: gli arresti ci furono e gli agenti fermati dalla gendarmeria svizzera furono due, un tenente colonnello e un brigadiere dei carabinieri: agenti del Sismi, si appurò. La giustizia svizzera emise anche un comunicato in cui confermava un'azione contro due appartenenti a «un servizio di informazioni dello Stato italiano (Sismi)». I due carabinieri rimasero in carcere per ventisei giorni e poi furono espulsi. L'ammiraglio Fulvio Martini, del Sismi, non fece una bella figura, e non la fece neppure il pèresidente del Consiglio di allora, Bettino Craxi. «Le informazioni raccolte da Di Pietro finivano al Sismi», ha raccontato Pazienza, «e non c'erano dubbi... le passava a un altro magistrato il quale poi le riversava a Martini». Il magistrato, appunto, era Domenico Sica. Di Pietro ha fornito tiepidissime conferme ma non si è mai voluto soffermare sui particolari e neppure sulla sostanza. Pazienza, detenuto dal novembre 1995, ha confermato tutta la vicenda e così pure ha fatto Giovanni Mario Ricci, ma dell'intreccio si trova traccia anche nelle motivazioni della sentenza di primo grado per il cosiddetto crack del Banco Ambrosiano, dove si riferisce - pagine 2 e 3 - che «Il Pazienza era rifugiato alle Seychelles» e soprattutto di «irrituali indagini» di un allora «sostituto procuratore della Repubblica di Bergamo». Negli atti è finito anche un rapporto, con annesse fotografie, stilato da Di Pietro alle Seychelles: il presidente della Terza sezione penale Fabrizio Poppi prese appunto ampio spunto dalle «ricerche» di quello strano magistrato. Perché strano? Uno degli avvocati di Pazienza, Giuseppe De Gori, interpellato, è stato esplicito: «È chiaro che qualcuno ce l'ha mandato. A che titolo sennò poteva stendere un rapporto per Sica? Se era un sostituto procuratore a Bergamo, allora scriva tranquillamente che Di Pietro ha commesso un reato, non poteva né indagare né stendere rapporti. Di Pietro ha detto che l'aveva spedito alla Procura di Bergamo, ma questo non è vero. Io so solo, ed è strano, che quel rapporto finì non si sa come nelle carte dell'Ambrosiano. Non esiste una norma giuridica per cui sia ammissibile che si sia verificato ciò». L'allora capo della Procura di Bergamo, Giuseppe Cannizzo, dichiarò oltretutto, sempre all'autore di questo articolo, che «A me non è mai arrivato nulla. Se fosse arrivato un rapporto del genere l'avrei saputo, ero il capo della Procura. Per quanto ne so, Di Pietro era in vacanza». Bettino Craxi e Giovanni MinoliL'allora capo del Sismi ammiraglio Fulvio Martini, a suo tempo interpellato, ebbe a confermare l'agguato contro Pazienza in Svizzera nonché l'arresto dei due suoi agenti, non escludendo un depistaggio architettato dal faccendiere; ha specificato di aver saputo della sua presenza alle Seychelles a mezzo intercettazioni telefoniche intercontinentali, ma ha detto di non aver mai saputo nulla di Di Pietro e di un suo rapporto con Sica; ha chiarito che «l'operazione Pazienza fu gestita interamente dai Servizi segreti fino al suo primo arresto, negli Stati Uniti» nel marzo 1985, ma di non aver spedito suoi uomini alle Seychelles; ha ipotizzato che Di Pietro «lavorasse anche per il ministero dell'Interno e avesse mantenuto dei legami col precedente mestiere». Stando a Francesco Pazienza, poi, altri contatti tra lui e Di Pietro risalgono al periodo di Mani pulite. Prima si incontrarono per caso il 9 gennaio 1993, in Corso di Porta Vittoria a Milano. Ma fu un attimo. Poi, il 19 luglio 1994, decisero di vedersi e solo quel giorno Di Pietro apprese che Pazienza, dieci anni prima, gli aveva salvato la pelle. Ha raccontato il faccendiere: «Accadde un fatto strano. Di Pietro mi confidò il suo desiderio di dedicarsi presto a un'attività che non gli avrebbe consentito di avere più nulla a che fare con Mani pulite. Mi chiese se ero disponibile a dargli una mano. La mia risposta fu immediata a positiva». Questo accadeva cinque mesi prima che si dimettesse dalla magistratura. E' lo stesso anno, il 1994, in cui Di Pietro fu intervistato da Gianni Minoli a Mixer (Radue) e alla domanda «Ha mai incontrato un duro come lei?» rispose «Sì, Francesco Pazienza». Un altro «fatto strano» avvenne il 14 ottobre successivo. Di Pietro fissò a Pazienza un altro appuntamento ma quest'ultimo, mentre era in viaggio verso Milano per incontrare il magistrato, ricevette una telefonata dalla sua segretaria: i carabinieri gli stavano perquisendo l'ufficio di La Spezia. La motivazione ufficiale era legata ai suoi presunti rapporti con la contessa Francesca Vacca Agusta, allora già latitante. «Il giorno dopo, al ritorno nel mio ufficio, diedi un'occhiata per controllare se durante la perquisizione era state mischiate alcune carte. Mi accorsi subito che tutto era al suo posto tranne il dossier sulle Seychelles: era sparito. Provvidi a informare subito il mio avvocato Scipione Del Vecchio e il titolare dell'ufficio Rino Corniola. Appresi poi che non era stato stilato, come prevede la legge, un elenco dettagliato dei documenti asportati, ma soltanto un verbale in cui c'era scritto "scatola con documenti"». Il 17 aprile 1996 Francesco Pazienza venne convocato dalla Corte d'Appello di Milano per il citato processo sul Banco Ambrosiano. In primo grado, come detto, era stato condannato anche in base al rapporto che Di Pietro aveva steso su di lui alle Seychelles: lo si era utilizzato per sostenere che il faccendiere se la spassasse ai tropici coi soldi del Banco. Il faccendiere, per difendersi da quest'accusa, in aula raccontò parte della storia che si è appena narrata, ma priva di particolari decisivi. «Di Pietro spiava per Sica» titolò quindi il «Corriere» del giorno dopo con un tono di sufficienza, fingendo ironia. Nessuno o quasi realizzò. Tanto che Di Pietro, non poco imbarazzato, dovette ammettere ai giornalisti: «La faccenda è molto più complicata... comunque ne feci oggetto di un rapporto al pm Sica». Nulla più. Nessuno ci capì niente. A distanza di tanti anni, però, qualcosa si vorrebbe capire: anche perché Antonio Di Pietro frattanto è divenuto un politico col marchio di fabbrica della trasparenza: non ha mai spiegato, però, come e perché si ritrovò a condurre una missione da intrigo internazionale, spiando un latitante cui il responsabile del Servizio segreto militare teneva in particolar modo, e a cui pure teneva il principe dei magistrati antiterrorismo, e sopra tutti, se non disturba, teneva il presidente del Consiglio dei ministri. Si provi a ricapitolare: un giovanotto molisano ha lavorato negli ambientini dell'Aeronautica (Nato, Ufficio sicurezza, Aster, Ustaa) per cinque anni; si è successivamente laureato in soli trentun mesi, pur lavorando; è divenuto poliziotto; avrebbe lavorato per un'intelligence antiterrorismo; è divenuto magistrato, e - con una doppia bocciatura e un imminente «processino» al Csm - è poi partito per i tropici stendendo poi un rapporto per Domenico Sica, per alcuni aspetti continuatore del generale Dalla Chiesa, e su chi? Su uno come Francesco Pazienza, che racconta e mette nero su bianco - anche in un libro - storie di agenti sovietici e nordcoreani a tal punto convinti che Di Pietro sia un agente, guarda caso, da volerlo ammazzare. Poi si appura che, pur risultando egli magistrato, le sue informazioni arrivano al Sismi e fanno scattare altre azioni del Sismi, gradite alla Cia. Piacerebbe coltivare qualche curiosità a proposito, piacerebbe insomma conoscere la biografia di Antonio Di Pietro per intero: senza dover sospettare che ne esista un'altra, parallela a una carriera parallela. E' gradita risposta. 2 - LA REPLICA BY DI PIETRO CAPPERI, ERO TONINO SUPER BOND E NEMMENO ME NE SONO ACCORTO! "Capperi, chi l'avrebbe mai detto! Oggi, stando a quanto dicono i giornali (non tutti, solo i soliti due compari di merende), ho scoperto di essere stato, e forse di esserlo ancora, un importante agente dei servizi segreti italiani ed internazionali, in particolare del SISMI e della CIA". Lo scrive sul suo blog (www.antoniodipietro.it ) l'on. Antonio Di Pietro "Non ero mica uno qualsiasi. In veste di agente Sismi, mi sarei recato, quatto-quatto, alla fine del 1994, nelle lontane isole Seychelles, in compagnia di una conturbante "bionda", come nei migliori film di James Bond, per arrestare il noto latitante Francesco Pazienza, in combutta anch'egli con i servizi di mezzo mondo e ricercato dalla magistratura italiana proprio perché aveva creato un SuperSismi cattivo e segreto che voleva sconfiggere quello buono. Ma, dicono i nostri cronisti, grazie a Dio, quello buono - agli ordini dell'ammiraglio Martini e dell'allora Presidente del Consiglio Craxi - poteva contare su di me, super agente senza macchia e senza paura che, armato di macchina fotografica e cavalletto, ero andato a stanarlo nel suo rifugio segreto. Non è finita, ho fatto di più: nel 1992, questa volta su ordine e disposizione della CIA americana, ho messo in piedi l'operazione Mani Pulite, ben più articolata e pericolosa della tua Operazione Tuono, caro collega James. M.P. (nome in codice di Mani Pulite) consisteva nella volontà dei Presidenti degli Stati Uniti dell'epoca di volersi sbarazzare della classe politica italiana, che loro consideravano corrotta ed inaffidabile e, soprattutto, contraria agli interessi americani, dopo il rifiuto di Craxi di prestarsi all'operazione Sigonella. In pratica, i massimi strateghi USA, dopo aver a lungo riflettuto su come fare per liberarsi del CAF italiano (Craxi-Andreotti-Forlani) e dei loro portaborse e sodali a tutti i livelli, e non potendo più ricorrere alla bomba atomica, escogitarono un piano diabolico. Evidentemente in accordo con una parte della "intellighentia" italiana, richiamarono un loro super-agente segreto, dislocato in Germania sotto le mentite spoglie di operaio metalmeccanico. Costui si faceva chiamare "Tonino" ed era un agente così segreto, ma così segreto, che non sapeva nemmeno parlare bene l'italiano, figurarsi l'inglese. Gli spioni d'oltreoceano e nostrani però lo indottrinarono per bene, ma così per bene che riuscì a laurearsi in pochissimo tempo (praticamente quasi un anno prima di quanto facevano i migliori studenti italiani). Superò - sempre grazie ai servizi segreti, si intende - dapprima il concorso da segretario comunale, perché doveva capire come muoversi nei meandri della Pubblica amministrazione italiana. Poi vinse anche il concorso da Commissario di Polizia ed immediatamente inviato, così tanto per farsi le ossa, nei reparti antiterrorismo del generale Della Chiesa e del questore Plantone, mica scherzi (non fa niente se le date non tornano)! Quando l'intelligence americana ritenne che oramai il nostro uomo era pronto, Tonino fu mandato a fare il concorso in magistratura, che ovviamente vinse (d'altronde non ci voleva niente per vincere un concorso presieduto dall'allora giudice Corrado Carnevale, bastava convincerlo con un piccolo piagnisteo). Così l'operazione M.P. può finalmente partire. Dapprima viene usato come esca l'ignaro Luca Magni, (quello della mazzetta a Mario Chiesa, ricordate?). Poi, mano a mano, con precisione chirurgica e pazienza certosina, il nostro Tonino (che nel frattempo ha assunto il nome di Antonio Di Pietro e le sembianze di Sostituto Procuratore della Repubblica a Milano) risale la china fino a quando tutti gli esponenti politici italiani della famigerata Prima Repubblica non graditi agli americani (e nemmeno ai russi, che nel frattempo, a causa della caduta del muro di Berlino erano diventati amici) non vennero messi in condizione di non nuocere (perchè arrestati o rifugiati all'estero e anche, se proprio era necessario "lasciati suicidare", tanto gli agenti segreti hanno licenza di uccidere, che diamine). Ovviamente ToninosuperBond non fece tutto da solo ma si servì anche di diversi stretti collaboratori (consenzienti o raggirati lo scopriremo alla prossima puntata), del calibro di Francesco Saverio Borrelli, Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo e una miriade di selezionatissimi collaboratori ed investigatori. Capperi!, mi sono detto! Tutto questo sono stato io e nemmeno me ne sono accorto! Quasi, quasi, non smentisco nulla e lo lascio credere: finirei nella storia come il più grande agente segreto di tutti i tempi! Peccato che - a finire nella storia - rischia di esser la più grossa balla del secolo, inventata dai soliti noti pennivendoli berlusconiani ed oggi rilanciata perfino dagli amici di Craxi in pellegrinaggio ad Hammamet. Come si fa a spiegare a questi quattro mentecatti che la verità è molto, ma molto più semplice e banale? Nel 94 mi trovavo sì alle Seychelles ma per le vacanze natalizie insieme a mia moglie (sì è vero, era ed è bionda e bella, ma era ed è pur sempre e solo mia moglie). Ci siamo fermati una sera a casa di un amico fotografo italiano e qui conoscemmo anche altre persone che segnalarono - fra una chiacchiera e l'altra - che nell'isola c'era anche un noto latitante italiano, appunto Francesco Pazienza. Io appuntai la notizia e quando tornai in Italia feci quello che avrebbe fatto e dovrebbe fare qualsiasi cittadino italiano, specie se Pubblico Ufficiale (ed io ero addirittura un magistrato): informare immediatamente le competenti Autorità. Fu solo per questa ragione che scrissi una relazione e la inviai al Dr. Sica, che era il magistrato che stava indagando proprio su Francesco Pazienza e che ne aveva disposto la cattura e le ricerche. Ma ve lo immaginate un agente segreto del "SISMI ufficiale" della portata sopra descritta che si mette a fare una relazione scritta con tanto di nome e cognome, alla fine di un lavoro fantasioso? Recarsi in terra straniera per intercettare un altro agente del "SISMI deviato", rischiando di morire ammazzato, se non fosse intervenuto lo stesso agente "deviato" a salvarlo (sì, perché anche quest'altra panzana hanno raccontato i nostri autori di fotoromanzi che si sono bevuti le fantasticherie di un imbroglione del calibro di Pazienza che, come tutti sanno, una ne faceva e 100 ne inventava!). Quanto all'inchiesta Mani Pulite, quel lavoro è ed è stato sotto gli occhi di tutti, perché tutti hanno potuto seguire in diretta l'evolversi dell'inchiesta. Le tangenti non le abbiamo inventate noi del Pool Mani Pulite, c'erano davvero. Ed io ed i miei colleghi, proprio e solo perché facevamo i magistrati, non potevamo fare altro che il nostro dovere. A meno che non si voglia far credere che anche gli oltre 2.000 miliardi di vecchie lire che sequestrammo, mi furono dati sottobanco dagli americani, perché appunto non solo scoprimmo che all'epoca di Tangentopoli giravano tante tangenti, ma ne sequestrammo anche un bel po' e quei soldi stanno lì come pietre a dimostrare la bontà del nostro lavoro. Morale della favola: ma perché "due giornali, due", con tutte le tragedie che succedono nel mondo, terremoto ad Haiti compreso, bruciano le prime 3-4 pagine del quotidiano per sparare simili cavolate? Attendo risposta (dagli altri, ovviamente, non da quei due che non hanno nemmeno il senso del ridicolo)

18/01/2010

Documento n.8418

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