GRANDE CIABATTINO SHOW ! - COME SI DIVENTA BANCHIERI. COME SI RESTA PRESIDENTI A VITA. DA "PRENDO I SOLDI E SCAPPO" DI F.BONAZZI

in Articoli e studi
- DIKTAT AL SINDACO RENZI: O MI FATE FARE LA "CITTADELA DELLO SPORT" O LASCIO FIRENZE (TRATTO DA WWW.DAGOSPIA.IT) Filippo Grassia per Il Giornale Mai accaduto in passato che la Fiorentina targata Della Valle pubblicizzasse l'ordine del giorno di un Cda con tanto anticipo e altrettanta enfasi, fra l'altro nei tempi sbagliati. Si poteva evitare, suvvia, di darne comunicazione alla vigilia del match di Champions League a Lione, dove s'è parlato più della società che della squadra. Delicatissimi i due argomenti in discussione giovedì 24 settembre: 1) cariche sociali, 2) gestione della società. Si ha l'impressione, o meglio la certezza, che Andrea Della Valle lascerà la presidenza e la famiglia farà un passo indietro qualora l'amministrazione comunale non dia segnali confortanti sulla Cittadella viola. Per il patron Diego è un passo fondamentale: «Solo la sua realizzazione può incrementare i ricavi da stadio e permettere alla Fiorentina di avvicinare le grandi». Il progetto comprende non solo il nuovo impianto sportivo con campi d'allenamento e palestre, ma anche una zona commerciale, un parco a tema, un museo e una galleria d'arte. Il discorso, a dire il vero, riguarda tutto il mondo del calcio italiano e in particolare le società più titolate e ambiziose. Lo stadio, con tutti gli annessi e connessi, fa da spartiacque ai bilanci. I maggiori club inglesi incassano 80-100 milioni in più a stagione di Inter, Milan, Juventus, Roma e via cantando.È la diversità che fa la differenza sul mercato, e non solo. Da noi solo la Juventus è sulla buona strada: i risultati si vedranno nelle prossime stagioni sotto l'aspetto economico e sportivo. Per i fratelli Della Valle si tratta di una strategia irrinunciabile: «O lo portiamo avanti oppure viviamo da provinciali». Come dire: «Ci disimpegneremo, magari gradualmente, ma ci disimpegneremo». Dov'è allora il problema?, chiederete. Il problema riguarda l'ampiezza del progetto che dovrebbe estendersi su 50-60 ettari. Inizialmente ne erano stati paventati 80-90. E Firenze non possiede un'area così grande. O meglio. Ci sarebbe il Castello, di proprietà Ligresti. Ma subito dopo la presentazione del progetto è intervenuta la magistratura nell'ambito di un'inchiesta che ha bloccato i terreni e coinvolto l'ex sindaco Domenici. In ogni caso sarebbe indispensabile cambiarne completamente la destinazione d'uso. Per questo, a inizio anno, il sindaco di Sesto Fiorentino aveva proposto l'area di Osmannoro sud (in gran parte della famiglia Fratini) prevedendo una nuova uscita autostradale sulla A1, un collegamento con il nuovo parcheggio scambiatore e il prolungamento della rete ferroviaria fino a Campi Bisenzio.In questa zona, fra l'altro, il piano regolatore prevede il rilascio di licenze commerciali. A distanza di 8 mesi non s'è fatto un passo avanti. Il nuovo sindaco di Firenze, Matteo Renzi, dichiara che i rapporti fra Comune e Fiorentina sono ottimi. Ma forse lo erano di più nella legislatura precedente con Domenici. Altrimenti Renzi non avrebbe fatto slittare per il lutto nazionale il consiglio comunale, imperniato proprio sulla Cittadella viola, da lunedì 21 a giovedì 24, guarda caso lo stesso giorno del Cda viola.Nel frattempo i tifosi si chiedono perché la società, dopo aver incassato quasi 50 milioni da gennaio a oggi, non rinforzi la squadra. E, capitolo ancora più curioso, non sistema i famosi «campini». Adesso che i vigili li hanno lasciati liberi, ci vorrebbe un milione e mezzo per sistemarli e dare finalmente alla squadra una struttura seria per allenarsi. L'attesa di uno sponsor è tragicomica. È duro il tackle sul Comune. Ma la Fiorentina rischia di buttare via un anno e far montare la rabbia dei tifosi. 2 - GRANDE CIABATTINO SHOW! - COME SI DIVENTA BANCHIERI. COME SI RESTA PRESIDENTI A VITA - Nel libro scritto da un certo "bankomat" con Francesco Bonazzi, arriva la sputtanata totale dei nostri poteri marci. Non a caso, una copia con dedica degli autori campeggia sulla scrivania di Tremendino Tremonti. Che forse ha anche una vaga idea di chi possa essere il misterioso banchiere pentito che si e' divertito a scrivere il micidiale pamphlet... da "Prendo i soldi e scappo", di Francesco Bonazzi e Bankomat, Il Saggiatore Il Grande Ciabattino era un uomo d'ingegno e buona volontà che aveva saputo farsi largo nella vita onestamente. Suo padre era ciabattino e lui, dopo la sua morte, aveva trasformato la bottega di paese in un piccolo «atelier», come si dice oggi. Con un modesto fido bancario aveva costruito un piccolo capannone, assunto una ventina di operai, aveva iniziato a produrre scarpe, anziché ripararle soltanto. Per la sua banca era un cliente modello: aveva sempre restituito le rate dei prestiti senza incertezze, il fatturato della sua fabbrichetta e i suoi profitti crescevano in modo costante ed equilibrato. Una mattina, il Grande Ciabattino butta il Sole 24 Ore con il quale inizia la giornata e vola in banca. Entra dritto dal direttore e spara tutto d'un fiato: «Io e alcuni miei amici vogliamo comprare il 3% della vostra banca». Il direttore apre il computer, controlla le quotazioni di giornata, fa un rapido calcolo e risponde con un sorrisetto: «Caro amico, ai valori attuali, un pacchetto del genere costa un paio di miliardi di euro». E il Grande Ciabattino, che non per niente segue da anni con inspiegabile interesse le cronache finanziarie, lo mette a sedere: «Lo sappiamo benissimo, ma i soldi non sono un problema. Noi crediamo nella banca e in chi la guida e il nostro investimento va solo unicamente nel senso della fiducia reciproca e della stabilità complessiva del sistema». Il direttore smette di sorridere. Si attacca al telefono e capisce che deve salire la scala gerarchica, fino ai grandi capi. Passano un paio di settimane e il direttore chiama il Grande Ciabattino: «Venga in filiale, c'è una persona che vorrebbe conoscerla». Davanti alla banca c'è parcheggiata un'Audi A8 grigia metallizzata, con due autisti appoggiati ai vetri oscurati. Roba grossa. Si è scomodato il Presidente da Milano, uno che racconta ai giornalisti di fare solo il vecchio saggio per le fondazioni azioniste, ma in realtà ha il controllo assoluto su tutto ciò che accade. Il Presidente ha studiato il dossier sul cliente e vuole capire che cosa abbia in mente l'aspirante grande socio. Il Grande Ciabattino non esita a fargli la proposta choc: «Io e i miei amici, tutti piccoli industriali della zona, anziché fondare una piccola banca di credito cooperativo con i nostri risparmi, vogliamo comprare il 3% del vostro istituto. Dei due miliardi che servono, noi mettiamo una quota del 10%. Il resto ce lo finanziano le banche. Poi vincoliamo la nostra quota al patto di sindacato che governa l'istituto e c'impegniamo a votare sempre come dice il Presidente. In cambio, ci bastano normali dividendi e un minimo di attenzione quando abbiamo bisogno di credito per fronteggiare i nostri concorrenti». Calisto TanziIl Presidente ascolta solamente, e mentre torna a Milano fa due calcoli: ha quasi ottant'anni e nel patto di sindacato comanda grazie a una maggioranza risicata, roba da 2 virgola qualcosa. Mettere quel pacchetto del 3% in mani fidate e riconoscenti, anche se un po' inesperte e provinciali, equivale a un'assicurazione sulla vita. Della sua poltrona. In meno di sei mesi, mettendo in pista i giusti intermediari di Borsa e un paio di studi legali di assoluta fiducia, l'operazione va in porto come aveva prospettato il Grande Ciabattino. I giornali cominciano a occuparsi di lui e lui fa il modesto. Alterna interviste in cui racconta il grande salto dell'aziendina nata da una bottega di calzolaio ad altre nelle quali elogia il Presidente, «un banchiere al quale non solo io, ma il Paese intero, dovrebbe fare un monumento». E il Presidente? Per il bene del Paese, s'impegna a fare il banchiere di sistema finché morte non lo separi (dalla poltrona). Se gli va male, riuscirà sempre ad avere amministratori delegati che facciano il lavoro sporco, dalla gestione degli «esuberi» alla firma sotto i fidi più delicati, e poi tolgano il disturbo (a suon di milioni) prima di fargli ombra. Se mai si andasse allo scontro con qualche manager, uno come maneggerà sempre un po' di pacchetti azionari come quello del Grande Ciabattino. Se invece gli va bene, finisce a fare il Presidente a Palazzo Chigi o in Via Nazionale. Non sarebbe la prima volta, del resto.I protagonisti, nella realtà dell'alta finanza, sono signori illustri nei rispettivi campi. Gente semplice di provincia, come il Grande Ciabattino del nostro sogno, non esiste, o se esiste, balla per poche estati. Innanzitutto devono conoscere le regole del gioco. La prima è non giocare su tavoli ai quali non si è invitati. La seconda, non essere arroganti. La terza, tenere la bocca chiusa e non tirare in ballo chi è più grande di te quando si assaggia la galera. La quarta, non attaccare frontalmente, a meno che non si abbiano in mano armi di ricatto a prova di bomba e l'accesso diretto a «contesti» in cui queste armi possano funzionare davvero: informazione, come magistratura e politica. Solo dopo servono i soldi. Ma quelli bene o male, con gli amici giusti si trovano sempre. I vari Cecchi Gori, Cragnotti, Tanzi, Gaucci, Ricucci, Coppola, Statuto, Consorte o Faenza hanno violato almeno una di queste quattro regolette. Invece gente come Abete, Della Valle, Ligresti, Caltagirone, Riva o Pesenti non ha mai infranto le norme del sistema. E alla fine la differenza si vede.

22/09/2009

Documento n.8190

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