DUELLI RUSTICANI. TRAVAGLIO: POLITO EL DRITO, LIBERISTA A CARICO NOSTRO. POLITO: QUANDO GRAVIANO NON E' UN FATTO QUOTIDIANO

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TRAVAGLIO: "FACCIAMO PIAZZA PULITA DI "POLITO EL DRITO", LIBERISTA A CARICO NOSTRO" - 'IL RIFORMISTA'? CHIAMATELO IL "RIFORMATORIO"! HA PIÙ VICEDIRETTORI (4) CHE ABBONATI" - POLITO: "TRAVAGLIO, MA VAFFA-FICTION! FA L’ATTORE, ESSENDO ANCHE UN PO’ FIGHETTA, E RECITA IN TV CON SGUARDO STRANIATO DA ACTOR’S STUDIO TESTI FONDATI SU MEZZE VERITÀ E INTERE BALLE, COME DA MOLTI ANNI IN QUA NEL VANO TENTATIVO DI INCASTRARE BERLUSCONI" - 1 - EL DRITO, LIBERISTA A CARICO NOSTRO Marco Travaglio per "Il Fatto Quotidiano" Ora che persino Antonio Polito s'è accorto che "questo è regime" e l'ha scritto sul Riformista, informando così i parenti stretti, potremmo dichiararci appagati e riposare sugli allori. Purtroppo il direttore del samizdat arancione, già organo del finto partito Le Ragioni del Socialismo (ovviamente a carico nostro), ora trasformatosi in una strana cooperativa che fa capo agli Angelucci (noti cooperatori di mutuo soccorso), è giunto alla drammatica conclusione in seguito all'unica cosa buona del governo Berlusconi: il taglio dei fondi pubblici ai giornali (la seconda saranno le dimissioni). Intendiamoci: la norma, come chiede anche Fini, deve salvare le vere cooperative di giornalisti, come il Manifesto, e forse anche i giornali veri di partiti veri: Secolo d'Italia, Padania, Unità, Liberazione. Almeno finché resta il finanziamento pubblico, i partiti han diritto a dirottarne una quota per comunicare le proprie eventuali idee. Per tutto il resto, o un giornale si mantiene con i lettori e la pubblicità, o chiude. Come ogni impresa in ogni mercato libero. Purtroppo il Riformatorio non conosce la parola "lettori", essendone sprovvisto. E così, mentre predica liberismo e blairismo à go-go, difende quel residuo di socialismo reale che sono i soldi dello Stato ai giornali. Ben sapendo che i compagni Angelucci sono tanto bravi e tanto buoni, ma senza i 2,5 milioni di euro dallo Stato, lo chiudono. Anche perché ha più vicedirettori (quattro) che abbonati. Di qui la disinteressata denuncia di Polito El Drito. Non c'era regime quando furono cacciati Biagi, Luttazzi e Santoro, infatti El Drito attaccò chi gridava al regime. Non c'era regime quando chiusero "Raiot", anzi, intervistato da Sabina Guzzanti per "Viva Zapatero!", El Drito spiegò con quell'aria da figaro napoletano intento a spruzzare il proraso che "la Rai ha tutto il diritto di chiudere il programma". Non c'era regime nemmeno quando una sua firma di punta, tal Piroso, censurò su La7 un servizio su mafia e politica: anzi El Drito diede ragione al censore. Ora che Tremonti, finalmente, ci risparmia il fastidio di pagare giornali che ci guardiamo bene dall'acquistare, El Drito scopre il regime. Forse dimentica che è proprio nei regimi che lo Stato finanzia la stampa. E si scorda che quegli angioletti degli Angelucci ricevono altri 7,8 milioni l'anno (dato del 2008) per l'altro giornale che mandano in edicola, quello di destra: Libero. Che di vicedirettori ne ha addirittura sei, ma almeno ha pure dei lettori. Eppure incassa montagne di soldi pubblici in quanto, a un certo punto, divenne organo ufficiale del noto Movimento Monarchico Italiano. Di buon mattino infatti, dopo l'alzabandiera, la riunione di redazione di Libero si apre con la Marcia Reale. Poi prende la parola il direttore, Maurizio Belpietro principe di Val Cismon e Val Brembana. Almeno quando non è impegnato in battute di caccia alla volpe nella tenuta di San Rossore. Nel qual caso gli subentra l'aiutante di campo Franco Bechis conte della Margarita. Molto ascoltati anche il palafreniere di corte, Filippo Facciridere cavaliere di Ripafratta; il damo di compagnia Davide Giacalone di Val Mammì; la voce bianca della cappella reale, Mario Giordano marchesino di Canelli e Passerano Marmorito; e la baronessa Daniela Santanchè Serbelloni Mazzanti Viendalmare. Milioni ben spesi, quindi, quelli a Libero, se si pensa che servono pure a mantenere nobiluomini come Luciano Moggi duca di Monticiano e Civitavecchia, attualmente ristretto nelle segrete del palazzo da cui è appena fuggito monsignor Renato Farina de' Betullis al seguito del marchese Littorio Feltri di Forlipopoli, noto per la raffinatezza dei modi, dunque promosso a primo addetto alle scuderie della reggia di Arcore, da tempo vacanti. Si spera che il regime repubblicano non voglia spegnere queste ultime nobili voci della Real Casa. Viva il Re! ANTONIO POLITO CON IL SUO EDITORE ANGELUCCI 2 - QUANDO GRAVIANO NON È UN FATTO QUOTIDIANO Antonio Polito per "Il Riformista" Vedi come vanno le cose in Italia. Nasce un giornale che si chiama il Fatto quotidiano perché annuncia che, finalmente, farà parlare i fatti in un mondo dell'informazione dove i fatti non si pubblicano. E poi, quando succede un fatto, non lo mette neanche in prima pagina. Insomma, c'è fatto e fatto. Il coraggioso giornale di Travaglio, che appena una settimana fa titolava cubitale «SPATUZZA E MILLS, BERLUSCONI NELLA TENAGLIA», e il giorno dopo «SPATUZZA: BERLUSCONI FECE UN PATTO CON LA MAFIA», e il giorno dopo ancora «ALTRO CHE SPATUZZA, BERLUSCONI INCONTRAVA I BOSS» (tutto scritto in maiuscolo perché il Fatto è un giornale maiuscolo), ieri ha dato notizia in minuscolo, in un occhiellino di prima, così, en passant, dell'esito dell'accusa in nome della quale ha pure portato in piazza qualche decina di migliaia di onesti e candidi giovani, e voleva portarci anche Bersani a gridare Berlusconi mafioso: «Graviano: mai detto niente a Spatuzza». Che understatement inglese. Titoloni spariti, il Fatto non sussiste. (Roba che neanche la Pravda, avrebbe detto un tempo l'ex fascistello sul suo Borghese, il giornale di destra dove si è fatto le ossa come mattinale di questura vivente tentando di mandare in galera gli ex di Lotta Continua). Non avendo dunque ieri niente da scrivere sul fatto del giorno, non dico un'autocritica ma neanche un'analisi, chessò, una cosa alla D'Avanzo che ieri ha distrutto i magistrati dell'interrogatorio Spatuzza, il Fatto, o meglio lo strafatto Travaglio, se l'è presa con noi del Riformista. Per lui, siamo una vera ossessione. Ci ha dedicato tre editoriali in quindici giorni. Una campagna. Il cui contenuto è stato apertamente indicato ieri: Travaglio ci vuole chiudere. Non metaforicamente. Vuole proprio che chiudiamo. Applaude perciò Tremonti, che «ha fatto l'unica cosa buona del governo Berlusconi»: abrogare i finanziamenti pubblici che vanno alle testate politiche. Perché sono uno spreco. Non tutti però. Solo i nostri. Travaglio trova infatti giusti quelli al Manifesto, e ammette anche quelli ai giornali di partito: «Secolo d'Italia, Padania, Liberazione e Unità». E si capisce che li difenda, visto che quei finanziamenti finivano nel suo stipendio nei lunghi anni in cui ha lavorato per l'Unità, senza mai lamentarsene, e in quelli di Padellaro e Colombo che ora lavorano con lui, e che tra stipendi, sprechi e cause perse (il monte querele di Travaglio da solo affonderebbe un Titanic) hanno lasciato in dote a quella vecchia e gloriosa testata un debito da far spavento, pagato in parte da quegli stessi militanti del Pd che ora insulta. (A meno che la ragione per cui Travaglio salverebbe l'Unità dalla scure di Tremonti non stia nel fatto che anche l'Unità è stata capace ieri di censurare del tutto in prima pagina la deposizione di Graviano, finita a pagina 12). D'altra parte, anche l'altro stipendio di Travaglio viene dai contribuenti, e cioè quello pagatogli dalla Rai per Annozero a furor di popolo, visto che è l'unico giornalista capace di convocare una manifestazione di massa per farsi rinnovare il contratto, dove rischia di perderlo solo se passa l'idea di Masi di proibire la docu-fiction, perché ormai Travaglio fa fiction, fa l'attore, essendo anche un po' fighetta, e recita in tv con sguardo straniato da Actor's Studio testi fondati su mezze verità e intere balle, come da molti anni in qua nel vano tentativo di incastrare Berlusconi, sforzo che deve essere proprio maldestro se dopo tanto tempo e con un obiettivo così facile nel mirino non c'è ancora riuscito. (Quando non fa l'attore, Travaglio fa editoriali televisivi alla Minzolini, solo all'opposto, naturalmente pronto a condannare quelli del Tg1 come un uso indebito della tv pubblica). Questo tric-trac del giornalismo nostrano, ormai diventato autore di satira (il Fatto di ieri annunciava: «Tra Cosa Nostra e Berlusconi spunta una cascata di diamanti»), che vive in simbiosi con pm e poliziotti, e ci fa pure le vacanze insieme anche quando sono indagati per favoreggiamento alla mafia, non è il primo e non sarà l'ultimo a volerci chiudere con l'argomento che siamo un piccolo giornale (non abbastanza piccolo da ignorarci, però). Si vede che in sette anni di vita ne abbiamo rotte di scatole. Travaglio ci fa venire in mente un cartello esposto in una salumeria della nostra infanzia, che diceva: «Più conosco gli uomini e più amo le bestie», nel senso che più si conosce lui e più si rivaluta il lato liberale del berlusconismo. Che è minuscolo, è vero, ma che almeno non arriva - non ancora, per lo meno - a chiudere i giornali come farebbe lui se solo ne avesse il potere. Per parte nostra, tranquilli: hic manebimus optime.

13/12/2009

Documento n.8326

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